Bolzano, “33ma edizione Festival Internazionale Bolzano Danza 2017”: Il racconto della danza

Bolzano, Teatro Comunale, “33ma edizione Festival Internazionale Bolzano Danza 2017”
Ballet Du Nord – Olivier Dubois
“7 x RIEN”
Coreografia Olivier Dubois
Musiche François Caffenne, Billy Idol
Costumi Christel Zingiro con la collaborazione di Emmannuelle Geoffroy
Luci Adrien Hosdez
Interpreti Camerone Bida, Christine Corday, Sophie Lèbre
Prima assoluta

Compagnie de Soi / Radhouane El Meddeb
“À MON PÈRE, UNE DERNIÈRE DANSE ET  UN PREMIER BAISER”
Coreografia Radhouane El Meddeb
Musiche Olivier Renouf, Variazioni Golberg di J.S.Bach interpretate da Glenn Gould
Costumi Cidalia Da Costa
Luci Xavier Lazarini
Interprete Radhouane El Meddeb
Prima italiana

Alessandro Sciarroni e Karim Zeriahen
“FOLK
-S – I’ll BE YOUR MIRROR VERSION”
Drammaturgia Alessandro Sciarroni
Video Karim Zeriahen
Interpreti Anna Bragagnolo, Marco D’Agostin, Pablo Esbert Lilienfeld, Matteo Ramponi, Alessandro Sciarroni, Francesco Vecchi

CCN Créteil & Val-de-Marne / CIE Käfig
CARTES BLANCHES”
Coreografia Mourad Merzouki
Musiche Armand Amar in collaborazione con Hugo Gonzalez – Pioli “Barock”, AS’N Freestyle
Sound Vincent Joinville
Costumi Émilie Carpentier
Luci Yoann Tivoli assistito da Nicolas Faucheux
Interpreti Yann Abidi, Rèmi Autechaud, Kader Belmoktar, Brahim Bouchelaghem, Rachid Hamchaoui, Hafid Sour
Prima italiana
Bolzano, 27 e 28 luglio 2017
Per Dubois “L’arte appartiene alla sensazione, non al pensiero“, vale a dire che l’interesse dev’essere rivolto a mettere in risalto ciò che percepiamo con i sensi e non quello che riusciamo a capire con il ragionamento. Perciò la sua danza è piena di luce molto chiara e di suoni molto forti che lo spettatore traduce in emozioni: un gesto legato al suono, una parola legata a un passo. Si nota quanto il coreografo francese di Roubaix Hauts-de-France sia grande amico di Ricci-Forte, ovvero famoso per la maniacale attenzione all’aspetto estetico della danza, per cui è importante il perfetto connubio tra danzatore e scena, per meglio dire: il rapporto di complementarietà tra la coreografia e lo spazio scenico in cui è allestita. Per 7 x Rien è come assistere al set di un videoclip anni ’80: tutto pose e glamour. C’è un enorme materasso gonfiabile color argento in cui sono proiettate, nel loro perfetto carattere tipografico, le parole in inglese dei 7 vizi capitali, quindi fiumi infiniti di domopack e fredde luci al neon. La scena è monòcroma, di color argento vivo e luccicante, perché, come ci ha direttamente raccontato lo stesso Dubois al termine dello spettacolo, vuole richiamare la vanità e la lussuria, quindi il freddo ferro di una pistola e il riflesso di uno specchio, insomma il contrasto tra la realtà tentatrice e l’apparenza ingannatrice. Per contornare quest’allure sono state scelte le musiche più famose di Billy Idol, un simbolo di orgoglio e di rabbia (“Dance with myself”) per sottolineare come l’essere umano danzi (con la morte) su quell’esile filo sospeso sulle tentazioni, che inevitabilmente si spezza e lo rende debitore cui spetta il pagamento della pena eterna. Tuttavia non c’è in 7 x Rien nessuna intenzione moralistica, né didascalica, come visto a Bassano in “Jérôme Bosch: Le Jardin des délices” di Marie Chouinard in cui si tratta il medesimo leit-motif ( vedi la recensione). Qui l’intento è anche un po’ didattico perché in sala prove del teatro bolzanino c’è un bel numero di ragazzine e ragazzini appena adolescenti. Infatti lo spettacolo (uno studio in prima mondiale) è stato concepito, pescando dall’indole maieutica di Dubois, e dedicato a un pubblico di giovanissimi affinché imparino a raccontare le storie dando sfogo alla propria creatività. Simpatico, ma forse un po’ fuori tono, il siparietto sullo zucchero a velo (“barbapapa” in francese) con cui si torna bambini, ovvero si nutre il bambino che abbiamo dentro. Lo spettacolo è pieno di invenzioni e di travestimenti, ossia di reminiscenze forse inconsce: il balletto sopra e sotto la “scaletta domestica” della bravissima Christine Corday richiama i medesimi inginocchiamenti leonini di Guesch Patti (“Etienne”, 1987), mentre lo sfondo gonfiabile allude ai set di “He’s a Dream” e di “Imagination” in Flashdance in cui Alex, qui Camerone Bida, sembra proprio danzare col demonio in corpo nel vano tentativo di liberarsi dalle tentazioni. Tutt’altro set per Radhouane El Meddeb: un tappeto di pelle bianca sopra a uno sfondo tutto nero con accanto una carcassa acefala che sembra di antilope o di montone (“Dead Meat “: un’opera in ceramica di Malek Gnaoui) e nessun altro che lui. Una scena austera che allude al sogno surreale (e metafisico) che fa Gregory Peck in “Io ti salverò” (Spellbound, 1945, A. Hitchcock) su scenografia di Dalì: tutto luce e incanto, perciò molto toccante e forse volutamente angosciante. Stavolta gli infiniti occhi dipinti dal maestro catalano sono i nostri, incantati da una performance in cui è evidente come sia stato pesato ogni gesto e sia stata genialmente esautorata ogni espressione del volto del protagonista poiché danzante tutto di tergo in diagonale sul tappeto. Il coreografo tunisino, solista per vocazione e di tutt’altra “mole” rispetto ai più atletici fratelli musulmani nordafricani del CIE Kafig, riesce nell’intento di farci partecipi del racconto che fa al padre (“morto senza la possibilità di un addio” cit.): un racconto poetico estremamente intimo quanto universale, ecco la decisione di non mostrare il volto, né le fattezze sgraziate di un corpo in sovrappeso, entrambi segni di insicurezza, perciò di cose rivelate malvolentieri. Insomma una confessione ideale, che sa di commiato, incentrata, anzi espressa a gesti, sulle Variazioni Goldberg di Bach, quelle famose suonate al piano da Glenn Gould. Da ricordare la bravura di Radhouane nel misurare i tempi e su questi le figure, per farne frasi. Grandi e meritatissimi applausi.
Finale di serata “Site specific” al MUSEION per una sfida tra danzatori e spettatori giocosamente incentrata sulla resistenza psico-fisica. In sostanza, Alessandro Sciarroni annuncia all’inizio che lo spettacolo andrà avanti fino a che non rimarrà un danzatore o uno spettatore. Si tratta di FOLK-S in Sudtirolo (la versione per Bolzano: “I’ll be your mirror”, che ben incornicia il glamour di Dubois) in cui viene proposto in loop lo Schuhplatter, la tipica danza tirolese. Bravissimi i ballerini, alcuni dei quali tra l’altro selezionati da un workshop in cui hanno appreso questa difficile sequenza di passi e gesti in pochi giorni. Ottimo il sound design che con maestria ha modernizzato la danza, che è stata poi stigmatizzata con le gigantesche proiezioni (a cura di Karim Zeriahen) sulla facciata di vetro del museo in cui appaiono dei ragazzini, depositari di un’eredità popolare così preziosa. Viene a mente Where there is pressure there is folk dance”, (vedi “Political Mother di Hofesch Schechter) per alludere al fatto che ogni privazione ci venga sottoposta, questa fa nascere la volontà di esprimerla artisticamente.
Spetta a Mourad Merzouki della compagnia Käfig concludere la 33 ma edizione Bolzano Danza. È l’occasione per celebrare i vent’anni di successi (1996-2016) di questa prolifica compagnia, radunando i danzatori amici che l’hanno con lui fondata. Confessa che è stato parecchio difficile radunare i sei ballerini che oggi hanno una loro propria compagnia di successo e sono a loro volta in tournée. È stata data carta bianca (“Cartes Blanches”), affinché potessero dare al lavoro quel tocco personale che li ha resi famosi in tutto il mondo. Il risultato è stato uno spettacolo nello spettacolo, magistralmente evidenziato dal fedele Yoann Tivoli alle luci. I sei brillanti quarantenni (qualcuno grigio di capelli, qualcuno senza) ci sono apparsi sicuri, giocosi e complici per cui credibili nelle scene di gruppo messe in atto nel salotto della grandi occasioni. Sembra a tratti di vederli immortalati in posa come nelle fotografie in bianco e nero degli scrittori e dei pittori famosi delle avanguardie dell’inizio del secolo scorso. Poi eccoli evidenziarsi negli assoli di hip hop contemporaneo e B-boying: puro e godibilissimo esibizionismo a corpo libero ricco di pose, torsioni, allungamenti e salti da lasciare a bocca aperta. Qualche sana risata invece è concessa ai loro divertissement in stile goliardico. Tra tutti Brahim Bouchelaghem (Zahrbat Dance company, vedi la recensione)  maestro dell’hip hop e Rachid Hamchaoui che sembra non avere ossa, hanno saputo evidenziarsi tra gli altri. Acclamati più volte a uscire per gli applausi, hanno regalato un momento indimenticabile prendendosi per mano e facendo la scossa che passa di corpo in corpo, liberamente improvvisata ognuno a suo modo e finisce con un bacio al pubblico da parte di Mourad. La CIE Käfig sarà al Teatro Grande di Brescia questo autunno con PIXEL. Foto di Andrea Macchia