Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Stagione Lirica “Autunno 2024”
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Federico Maria Sardelli
Sopranista Bruno De Sá
Johann Anton Filtz: Sinfonia op.II n.2 in Sol minore; Wolfgang Amadeus Mozart: Aria di Sifare “Lungi da te mio bene” (da Mitridate, re di Ponto); Luigi Cherubini: Aria di Lauso “No, non cercar per ora” (da Mesenzio, re d’Etruria); Carl Philipp Emanuel Bach: Sinfonia in Re maggiore Wq 176, H 651; Wolfgang Amadeus Mozart: “Exultate, jubilate” K 165; Sinfonia n.39 in Mi bemolle maggiore K 543
Firenze, 15 novembre 2024
Quando due artisti fuori dal comune si uniscono all’interno dello stesso recital non desta stupore che un luogo enorme come la Sala Metha del Teatro del Maggio registri il tutto esaurito. Da un lato c’è squisito direttore d’orchestra che è anche compositore, flautista, romanziere, saggista, vignettista e pittore (di tale livello da venire esposto in modo permanente alla Galleria degli Uffizi); dall’altro il sopranista brasiliano, non ancora trentacinquenne, Bruno De Sá, fulgida stella in quel firmamento dei cantanti falsettisti che continua a esercitare grande fascino presso un pubblico sempre più trasversale, anche sul piano anagrafico. Se a tale vocalità è impossibile surrogare l’arte perduta dei castrati, è al contrario assai agevole diventare un simbolo di quella ‘fluidità di genere’ che in molti paesi viene a tutt’oggi osteggiata. Ascolteremmo, dunque, con lo stesso entusiasmo le performances di De Sá se fosse un soprano donna con la fascia delle note gravi che perde assai di volume (chi scrive distava dalla sua ugola sette metri) e nei sovracuti fa avvertire una certa contrazione? Probabilmente sì per il bellissimo e ottimamente proiettato suono del range medio-acuto, impreziosito da frequenti ‘filati’ (che di norma non associamo al repertorio barocco) o per i sempre ben sgranati passaggi di coloratura; ma ancor più per aver il coraggio di recuperare brani dimenticati di autori eccelsi (come Cherubini) o di carneadi (come il Luigi Caruso del bis, l’aria tratta dal Fanatico per la musica “In mezzo a mille affanni”) e confezionare con essi un CD per Warner Classic (il titolo è Mille affetti; oltre ai brani offerti in questo concerto contiene pagine inedite di Seydelmann, Reichardt e Alessandri). Di questa passione nell’indagare il repertorio serio e comico più scognito De Sá è capace di trasmettere tutta l’energia, conferendo una spiccata teatralità alle arie, specie nelle ampie cadenze (funzionali, va da sé, a esaltare i preziosi acuti che mandano il pubblico in visibilio). Non si dovrebbe mai giudicare un cantante dall’abbigliamento bizzarro o dalle stravaganze delle movenze sul palco, bensì dalla sua intelligenza interpretativa e De Sá ne possiede molta; non avrebbe raggiunto altrimenti un esito così intenso nella splendida aria di Sifare dove il suo timbro si sposava alla perfezione con quello del corno concertante, suonato in modo sublime da Alessio Dainese. Più tradizionale è apparsa l’interpretazione del mottetto Exultate, jubilate sulla quale gravava forse il ‘peso’ dei tanti falsettisti che, sin da Aris Christofellis, ne hanno fatto un cavallo di battaglia. Negli affondi verso il registro grave dell’aria di Lauso dal Mesenzio cherubiniano si è ben percepito il ‘lato maschile’ di questo ‘male soprano’ (come ama definirsi) che sul fattore androgino punta per consolidare il proprio successo ma che, glielo si augura, farà sempre più leva sui suoi preziosi progetti di riscoperta del secondo Settecento dimenticato o, meglio, obnubilato dalla presenza titanica di Mozart. Sardelli, da tutti conosciuto come il custode del ‘verbo’ vivaldiano, è un fine conoscitore anche del genio salisburghese che egli interpreta ricollocandolo nel contesto stilistico d’appartenenza e quindi sottraendolo a una mitografia che lo vuole antesignano dei maestri del grande Ottocento e che, pertanto, esige sia cantato come Verdi, Wagner e Puccini o suonato come Brahms. La direzione di Sardelli fa sembrare nuovo un brano arcinoto come la terzultima Sinfonia di Mozart grazie ai tempi più rapidi negli Allegro, ai giochi di contrasti dinamici più spiccati (quegli sforzando indicati come fp nei manoscritti e trascurati da tanti direttori), alle distinzioni sofisticate fra diversi tipi di staccato o di articolazioni degli archi, alla presenza del cembalo (qui l’ottimo Andrea Perugi) come retaggio del basso continuo ancora ben presente nella Vienna del 1788. Stesso discorso si può fare per i brani assai meno conosciuti (ma oggi facilmente reperibili sul web) del violoncellista Filtz (morto a soli 26 anni ma autore di centinaia di brani sinfonici e cameristici alla corte di Mannheim) e di Carl Philipp Emanuel Bach, interpretati rimarcando il nervosismo di fraseggio e la varietà di colori dinamici. Sardelli dirige senza bacchetta perché concerta secondo la prassi di un’epoca in cui la classica figura del direttore d’orchestra era di là da venire; e lo fa con una sicurezza di gesto che gli deriva dal cospicuo studio condotto sulle fonti originali. Lo segue attenta e partecipe l’Orchestra del Maggio, pienamente a suo agio con un repertorio che non è certo abituale nella programmazione concertistica invalsa nei grandi enti lirico-sinfonici e che potrebbe essere ben più spesso frequentato considerando l’entusiasmo di un pubblico tanto numeroso quanto variegato. Foto Michele Monasta