Roma, Teatro Vascello
SYRO SADUN SETTIMINO
Operina Monodanza in un atto di notte
Di Sylvano Bussotti
Poema di Dacia Maraini (1974 rev. 2024)
Voce recitante Manuela Kustermann
Danzatore Carlo Massari della C&C Company
Ensemble Roma Sinfonietta
Direttore M° Marcello Panni
EVO Ensemble
Filmati e proiezioni da Sylvano Bussotti, RARA (film) 1968/ 1970) nell’edizione restaurata dalla Cineteca Nazionale di Bologna
Roma, 25 Novembre 2024
C’è una notte di velluto scuro, di quelle che nascondono il mondo dietro un sipario delicato. È una notte che invita a camminare leggeri. Sul palco, una luce fioca dipinge un cerchio pallido, come il riflesso della luna sul mare. Lì, nel vuoto, prende vita il sogno di Syro, un ragazzo nato troppo presto, fragile come un filo d’erba. Vuole essere ballerino, ma il suo corpo è un campo di battaglia, la sua identità un enigma. Manuela Kustermann, con una voce che sembra affiorare dal tempo, narra la storia di questo giovane dall’identità fluttuante, sospesa tra il maschile e il femminile. La sua voce è una nenia dolce e amara, un racconto senza inizio né fine, come le onde del mare che ritornano sempre. Carlo Massari, il danzatore, si muove con la grazia di chi conosce ogni angolo della propria sofferenza. Le proiezioni di Bussotti si mescolano al corpo del danzatore, creando immagini che si sfaldano, si ricompongono, si dissolvono. Syro è in perenne trasformazione, come la luce che filtra attraverso una tenda al vento. Vuole essere ballerino, ma anche appartenere a qualcosa, definire la propria esistenza. Ma Syro non è fatto per le definizioni: è maschio e femmina, è forza e fragilità. L’ensemble Roma Sinfonietta accompagna ogni passo, ogni gesto, con note che sembrano precipitare nel vuoto, in bilico tra dolore e speranza. Marcello Panni, alla direzione, tiene le fila di questa trama evanescente con rigore e abbandono. La musica è la voce di Syro, il suo pianto soffocato, il suo grido di gioia. Le note si intrecciano alla danza, si fondono con le parole, creano un linguaggio nuovo, un codice segreto con cui Syro si racconta al mondo. Le immagini proiettate, tratte dal film “RARA” di Bussotti, restaurato dalla Cineteca Nazionale di Bologna, sembrano frammenti di un sogno o di un incubo. Corpi senza volto, mani che cercano qualcosa che non si trova mai. E in mezzo a tutto questo, Syro danza. Danza per sfuggire alla solitudine, per trovare un posto nel mondo, per dire che anche lui merita di essere visto e amato. Il poema di Dacia Maraini, scritto nel 1969 e rivisitato nel 2024, è come una ferita che non si rimargina. Le parole sono crude, raccontano il dolore di un giovane che non trova il suo posto nel mondo. La sessualità di Syro è fluida, come un fiume senza argini. In un’epoca in cui tutto doveva essere definito, la sua ambiguità era un atto di ribellione. Oggi, la fluidità è più accettata, ma la storia di Syro rimane potente. Il pubblico ascolta in silenzio, trattenendo il respiro. Ogni parola di Manuela Kustermann è una goccia che cade nel silenzio, ogni movimento di Carlo Massari è una domanda senza risposta. Syro si muove sul palco come un’ombra, un riflesso, un ricordo. La sua danza è insieme gioiosa e disperata, un canto di libertà e una supplica d’aiuto. I suoi movimenti sono fluidi, si piegano e si spezzano, come se il suo corpo fosse fatto d’acqua. Marcello Panni guida l’orchestra con delicatezza, come se avesse paura di spezzare la magia. La musica di Bussotti è complessa, piena di contrasti, come la vita di Syro. Ci sono momenti di dolcezza estrema, in cui la musica culla il giovane, e momenti di tensione, in cui le note si fanno taglienti, come per ricordargli che il mondo non è facile per chi non si adatta. La notte avvolge tutto, il buio è un abbraccio che sembra voler proteggere Syro, nasconderlo dagli sguardi giudicanti. Ma Syro non vuole essere nascosto, vuole essere visto, vuole che il mondo sappia che esiste, che anche lui ha diritto a un posto, a un sogno. E così continua a danzare, anche quando le forze lo abbandonano, anche quando il dolore è insopportabile. Danza per tutti quelli che, come lui, sono stati messi da parte, ignorati, respinti. Il coro invisibile, le voci a cappella che emergono dal buio, aggiungono una dimensione ulteriore. Sono voci da un altro mondo, un mondo in cui Syro potrebbe essere libero, un mondo senza etichette, in cui ognuno è libero di essere ciò che è. Le voci si intrecciano, si sovrappongono, formano un inno alla libertà, alla bellezza della diversità. Quando la musica si spegne, quando le luci si abbassano, rimane solo il respiro affannato di Syro, il suo corpo che trema. Ma nei suoi occhi c’è una luce, una luce che non si spegne mai, una luce che dice che, nonostante tutto, ce l’ha fatta. Ha danzato, ha raccontato la sua storia, e questo è tutto ciò che importa. Manuela Kustermann conclude il poema con un sussurro, un soffio di vento che si perde nella notte. Le ultime parole sono un invito a continuare a danzare, a non arrendersi mai. Il pubblico esplode in un applauso che è insieme liberazione e celebrazione. Syro sorride, un sorriso timido, quasi incredulo. Ha raccontato la sua storia, ha condiviso il suo dolore, la sua gioia, la sua speranza. In quel momento, su quel palco, Syro non è più solo. È un giovane che ha trovato la sua voce, la sua strada, il suo posto nel mondo. E forse, questo è il miracolo dell’arte: trasformare la solitudine in condivisione, il dolore in bellezza, la fragilità in forza. La notte continua, il sipario si chiude, ma il ricordo di Syro rimane. La sua danza, la sua storia, il suo coraggio sono una promessa, una speranza per tutti quelli che cercano il proprio posto, che lottano per essere se stessi, senza paura. E così, sotto il cielo scuro di una notte che sembra infinita, Syro continua a danzare, libero, finalmente libero.