Roma, Teatro Sala Umberto
APPUNTAMENTO A LONDRA
Con Luigi Tabita e Lucia Lavia
Scene e costumi Anna Varaldo
Musiche originali nogravity4monks
Regia Carlo Sciaccaluga
Roma, 04 Novembre 2024
Dal 4 al 6 novembre, il Teatro Sala Umberto di Roma accoglie l’atteso spettacolo “Appuntamento a Londra”, ispirato all’opera del premio Nobel Mario Vargas Llosa, il quale ha dichiarato: “La scena teatrale è lo spazio privilegiato per rappresentare la magia di cui è intessuta anche la vita della gente: quell’altra vita che inventiamo perché non possiamo viverla davvero, ma solo sognarla grazie alle splendide menzogne della finzione”. Con una regia sensibile e attenta di Carlo Sciaccaluga, i personaggi Raquel e Chispas diventano Maddalena e Luca, magistralmente interpretati da Lucia Lavia e Luigi Tabita. La trama si svolge in una camera d’albergo, un luogo intimo e isolato dal resto del mondo, dove un uomo d’affari, Luca, riceve la visita di una donna che si presenta come la sorella di un vecchio amico, Nino. Ma la verità, ben più complessa, non tarda a emergere: è lei stessa Nino, che ha completato da poco il percorso di transizione. La scoperta scuote profondamente Luca, che, da inizialmente sicuro di sé, inizia a vacillare, rivelando insicurezze e paure finora celate dietro una maschera di apparente stabilità. In questo scambio intimo e serrato, il ricordo di schiaffi e baci non dati, riaprono ferite antiche e sentimenti mai risolti, dando vita a un viaggio introspettivo che tocca la scoperta di sé, tra l’amore e il tormento, il desiderio e il rimpianto. L’atmosfera si fa densa e sospesa, mentre il gioco di luci di Gaetano La Mela accentua i chiaroscuri della scena, creando un’ambientazione onirica che fonde sogno e realtà. Le scenografie, le luci e i suoi colori, richiamano le atmosfere del pittore Edward Hopper, con un realismo che evoca al contempo uno straniamento sottile, una sospensione temporale che amplifica il senso di isolamento umano e la complessità dell’anima. È un realismo che si perde, che sfuma i confini della stanza d’albergo come una bolla fuori dal tempo. La camera d’albergo appare così un microcosmo di tensioni emotive, capace di contenere tutte le sfumature dei personaggi, dalla fragilità alla forza, dall’amore al dolore. I costumi e le scene di Anna Varaldo contribuiscono a questa dicotomia, donando concretezza al mondo tangibile ma suggerendo, al tempo stesso, una dimensione sospesa. Lucia Lavia, nei panni di Maddalena, si distingue per la sua presenza scenica magnetica, dando vita a un personaggio complesso e sfaccettato. Con un linguaggio diretto e a tratti crudo, riesce a trasmettere l’intensità del ruolo che interpreta, mantenendo un distacco quasi onirico dalla realtà. In un momento di particolare forza emotiva, recita un monologo tratto da Io canto il corpo elettrico di Walt Whitman, un inno alle meraviglie del corpo sensuale. Il suo corpo diventa fluido, la sua voce riecheggia tra il pubblico, portando gli spettatori a interrogarsi su temi come identità, corporeità e ruolo sociale. Le sue parole richiamano il tormento e la tensione interiore dei personaggi di “Persona” di Ingmar Bergman, che si rivelano attraverso una dialettica di parole e silenzi. Come in quel film, emerge il desiderio profondo di “essere, non sembrare di essere,” oscillando tra ciò che si è per sé stessi e ciò che si è agli occhi degli altri. Luigi Tabita, nel ruolo di Luca, intraprende un viaggio di vulnerabilità e auto disvelamento altrettanto toccante. Tenta di liberarsi dalla maschera che ha deciso di indossare nella vita, e che gli altri gli hanno imposto, quella del “bravo ragazzo” reso felice dai soldi, dal lavoro; ora però non si riconosce più. Cerca di strapparsela, quella maschera, dall’inizio alla fine, in un gesto lento che parte dalla sua bocca e sembra gridare in un urlo silente. Ogni movimento e ogni parola rivelano progressivamente la fragilità del suo personaggio, evocando la vulnerabilità dei protagonisti dei film di Michelangelo Antonioni, in cui il desiderio di connessione si scontra con una solitudine profonda. I dialoghi tra Maddalena e Luca, intrisi di tensione e ambiguità, conducono il pubblico in un vortice di domande senza risposta. “Ci siamo mai davvero conosciuti? È stato amore, amicizia, o solo un gioco crudele? C’è mai stata violenza fisica?” Le loro conversazioni si intrecciano, sovrapponendo il confine tra verità e menzogna, tra ricordo e illusione. La narrazione si sviluppa in modo intrigante, per sottolineare questo filo che divide la realtà dal sogno. Il nastro della storia si riavvolge in loop, generando scene che si ripetono come un disco graffiato, che risuona di vecchie verità e nuove possibilità. Alcuni frammenti s’intrecciano con scenari alternativi, portando alla luce ciò che è accaduto, ciò che sarebbe potuto accadere e ciò che gli stessi personaggi avrebbero voluto che accadesse. Questo gioco di possibilità richiama le dinamiche di Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese. Verso la fine, la voce di figure esterne si inserisce nella vicenda, quasi come presenze fantasmatiche che, pur restando fuori campo hanno influenzato le vite dei protagonisti. Tra queste voci, quella della madre di Maddalena risuona, come un’eco lontana: “Ma che bel signorino che è Luca.” Questo richiamo pungente si diffonde tra il pubblico, ricordando la radice etimologica della parola “persona” – ciò che si cela dietro una maschera. Fino alla fine, la domanda centrale resta sospesa: siamo davvero ciò che diciamo di essere, o è soltanto nello sguardo dell’altro che scopriamo chi siamo veramente? In un momento culminante, sulle note malinconiche di “Vedrai, vedrai” di Luigi Tenco, Luca esprime il proprio tormento interiore. È forse nello sguardo di chi lo ama che per la prima volta comprende la sua inadeguatezza? È lì, forse, che riconosce le sue mancanze e avverte la distanza tra ciò che è e il sogno che ha inseguito durante la sua vita. “Appuntamento a Londra” si rivela un’indagine affascinante sull’essenza della verità, un thriller esistenziale in cui ogni parola scava nella profondità dell’animo. Ma quale verità? E a che prezzo? Ciò che resta è un dubbio sottile e persistente: cosa abbiamo davvero visto? La vita come un sogno, o un sogno che si è fatto realtà? Photocredit@AntonioParriniello