Milano, Teatro Franco Parenti: “Lo zoo di vetro”

Milano, Teatro Franco Parenti, Stagione 2024/25
“LO ZOO DI VETRO”
di Tennessee Williams
Tom Wingfield FRANCESCO SFERRAZZA PAPA

Amanda Wingfield VALENTINA BARTOLO
Laura Wingfield ZOE SOLFERINO
Jim O’Connor LUCA CARBONE
Regia Luigi Siracusa
Scene e Costumi Francesco Esposito
Luci Pasquale Mari
Musiche Laurence Mazzoni
Produzione Teatro Franco Parenti/ Compagnia dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”

Milano, 02 novembre 2024
Dall’anno passato il teatro “Franco Parenti” di Milano ha iniziato un focus sui principali testi di Tennessee Williams, e quest’anno ha deciso – dopo alcuni atti unici, in parte inediti – di produrre “Lo zoo di vetro”, uno dei più celebri testi del drammaturgo americano, oltre che quello che gli diede popolarità per la prima volta nel lontano 1944. Si tratta di un testo profondamente radicato nel suo contesto e metatesto, a causa soprattutto della conclamata radice autobiografica, e per questa ragione entriamo in sala pensando di sapere cosa aspettarci. Il primo merito di questa produzione è quello, invece, di offrirci una messa in scena davvero innovativa rispetto alla tradizione: una scena gelida e del tutto vuota, circondata da velluti blu e dominata unicamente da uno schermo in plexiglass con una citazione tratta dal testo stesso che non viene mai spostata; di primo acchito ci aspetteremmo una pièce attuale o qualcosa di sperimentale o postdrammatico, invece no – ed ecco la seconda sorpresa: tutto lo spettacolo si svolge esattamente in quello spazio con pochissimi impercettibili cambi – una tenda che si apre, una luce su una parete che simboleggia il padre fuggito – e, cosa più importante, funziona, da ogni punto di vista, estetico e drammaturgico. La scommessa di Luigi Siracusa di ridurre tutto alle dinamiche tra personaggi, azzerando il contesto del malconcio appartamento degli Wingfield, può dirsi ampiamente vinta: pur non essendoci, noi vediamo la cena, il divano, la scala, il telefono, grazie al preciso e instancabile coinvolgimento dei quattro interpreti; forse l’unico aspetto su cui si sarebbe potuto lavorare di più sono i costumi di Tom e Amanda (entrambi un po’ fuori contesto), mentre perfetti sono gli abiti di Laura, oltre che la sua postura, la sua camminata, l’espressione atona del viso, la voce sospesa tra l’infantile e il sognante – complimenti a Zoe Solferino, l’interprete senz’altro più apprezzata della recita. Anche la scelta di Valentina Bartolo come Amanda è senz’altro disorientante all’inizio, poiché siamo abituati a un’Amanda vecchia signora del Sud, coi suoi vezzi e i suoi manierismi, mentre la Bartolo è una donna bella e schietta, così disinvolta nella sua fisicità; eppure con l’andar del tempo la vediamo, Amanda Wingfield, emergere nitida e nuova, ma sempre lei, e ci accorgiamo che un grande personaggio non ha bisogno di tutto il bagaglio di mossettine e toni rétro che immaginiamo: questa Amanda è viscerale, disperata, e nasconde la tragedia di tutta la sua vita proprio dietro l’ostentata eleganza di un completo pantalone e di una audace chioma biondo fragola – non siamo più sicuri, adesso, di rivolere la petulante creatura menopausale di un tempo. Le interpretazioni maschili, ancorché molto efficaci, si muovono su un binario assolutamente più tradizionale: Luca Carbone è un Jim O’Connor da copione, stolido e di buon cuore, incapace di prevedere la tempesta in cui si sta gettando – e qui, probabilmente, si sarebbe potuto produrre una resa più a 360° del personaggio: egli davvero non sa di piacere a Laura? Davvero non sa cosa significhi il loro bacio? Mentre Francesco Sferrazza Papa è un Tom accoratissimo, di grande asciuttezza e misura – riduce al minimo l’isteria del giovane turbolento, senza per questo risultare poco credibile, anzi: incarna probabilmente il vero Tennessee Williams (il cui vero nome era proprio Thomas), che pagò il manicomio alla sorella tutta la vita senza andare a trovarla praticamente mai, incapace di gestire quel buco nero emotivo che ha risucchiato la sua sfera dei sentimenti, e per il quale si gettò a capofitto in un altro buco nero, quello della bottiglia. Sferrazza Papa è bello il giusto, bravo il giusto, non versa una lacrima per la sorella, né si abbandona a melancolie d’antan quando incarna la voce narrante. Questi quattro personaggi si muovono come fantasmi bergmaniani sulla scena algida di Francesco Esposito, ma vengono incorniciati alla perfezione soprattutto dalle luci di Pasquale Mari, il cui freddo artico inizia a scaldarsi durante il dialogo di Jim e Laura, per esplodere in un prisma multicolore proprio sul finale, a circondare una Laura ormai non più reale, ma essa stessa creatura vitrea nel ricordo del fratello (e proprio “Portrait of a young girl in glass” è il titolo del suo racconto da cui Williams trasse il dramma). Non c’è presente in cui Tom sia in grado di vivere, ma come un Leopardi della Rust Belt riesce ad emozionarsi per l’affetto della sorella solo dopo averla perduta – senza intento morale, senza catechesi sociologica, la volontà del dramma è solo portare a galla, nudo, il dolore inaffrontabile di una paralisi che sfocia nella colpa, di un abbandono che tuttavia, se trascolorato nel ricordo, potrebbe fare meno male. Condizionale d’obbligo. Foto Manuela Giusto