Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’opera e balletto 2023/24
“DAS RHEINGOLD”
Prologo in un atto su libretto di Richard Wagner
Musica di Richard Wagner
Wotan MICHAEL VOLLE
Donner ANDRÈ SCHUEN
Froh SIYABONGA MAQUNGO
Loge NORBERT ERNST
Alberich ÓLAFUR SIGURDASON
Mime WOLFGANG ABLINGER-SPERRHACKE
Fasolt JONGMIN PARK
Fafner AIN ANGER
Fricka OKKA VON DER DAMERAU
Freia OLGA BESZMERTNA
Erda CHRISTA MAYER
Woglinde ANDREA CARROLL
Wellgunde SVETLINA STOYANOVA
Flosshilde VIRGINIE VERREZ
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Direttore Alexander Soddy
Regia David McVicar
Scene David McVicar e Hannah Postethwaite
Costumi Emma Kingsbury
Luci David Finn
Coreografie Gareth Mole
Video Katy Tucker
Milano, 10 novembre 2024
Un nuovo Ring è sempre un evento e il nuovo ciclo scaligero partito con spolvero di nomi altisonanti si è subito scontrato con la perdita di quella che doveva essere l’anima del progetto ovvero Christian Thielemann, costretto a rinunciare per motivi di salute. Una perdita molto pesante cui il teatro ha però saputo rispondere con prontezza dividendo le recite tra Simone Young cui è stata affidata la prima e le recite seguenti e Alexander Soddy, direttore inglese in forte ascesa cui sono state destinate le recite successive. Abbiamo ascoltato lo spettacolo con la direzione di Soddy e ne siamo stati pienamente convinti. Il direttore inglese è ancora giovane ma possiede una solidissima formazione alle spalle comprendente prove wagneriane su palcoscenici del peso di Vienna, Londra e Berlino fornisce una lettura di grande coerenza formale. Soddy opta per un suono ricco, morbido, avvolgente, di grande suggestione che trova nei momenti più luminosi il terreno ideale ma è capace di dare giusto rilievo anche ai momenti più drammatici – nella scena dei giganti ci sono lamine sonore che entrano nella pelle. In Soddy si apprezza una cura estrema per i dettagli, una capacità di evidenziare e valorizzare i singoli leitmotiv mantenendo sempre una rigorosa costruzione unitaria. Il debutto è stato certo molto positivo, si attende con interesse il prosieguo della Tetralogia. David McVicar firma uno spettacolo molto stratificato, apparentemente trasparente ma ricco di simboli e di rimandi. Il regista scozzese rinuncia ad attualizzazioni e forzature, non cerca abissi psicanalitici e per una volta assistiamo a un Ring forse non tradizionale ma che a quell’immaginario rimanda rileggendolo con gli occhi della fiaba e del fantasy (che in fondo proprio dal Ring trae le sue prime mosse).Il racconto è lineare, le scene hanno un sapore incantato – le grandi mani lapidee avvolte da una luce azzurra e acquatica sui cui giocano le Figlie del Reno, la semplice scalinata della Valhalla che le luci trasformano quasi in un corpo vivo ma in queste strutture semplici McVicar deposita stratificazioni di simboli e di rimandi lasciando allo spettatore il gioco di coglierli. La tradizionale estetica nibelungica è qui sostituita da richiami al teatro barocco, come se l’idea stessa di opera d’arte totale riportasse alla nascita stessa dell’opera. Gli abiti delle divinità richiamano quelli della storica trilogia monteverdiana di Ponnelle e la natura sessualmente ambigua, spesso ermafroditica, delle divinità norrene porta il regista a giocare sul tema. Esemplare la figura di Loge tenore in abiti femminili, essere sfuggente a ogni classificazione anche sessuale ma al contempo richiamo ai tenori en travesti cui il teatro barocco affidava spesso ruolo di subdole consigliere. Una sorta di Loge-Arnalta in cui il gioco dell’ambiguità e i richiami meta-teatrali si fondono in modo inscindibile. Molto bello il quadro di Nibelheim. Il rifiuto dell’Amore ha creato un mondo morto e quello che Alberich può creare è solo una falsa illusione di morte vivente. L’oro ha creato un gigantesco teschio-forno che divora tutto ciò che viene prodotto e le trasformazioni di Alberich altro non sono che scheletri in cui una falsa magia evoca fittiziamente la vita. Ancora un riferimento a Ponnelle si riconosce nei servi muti che non muovono gli oggetti di scena ma ne diventano essi stessi parte come il danzatore chiamato a impersonare l’Oro, figura immateriale coperta da una maschera aurea che ricorda le linee di Brancusi che nell’ultima scena ritornerà ingigantita in una sorta di sarcofago in cui va celata la figura di Freia mentre il danzatore ricompare con il volto coperto di sangue dove la maschera è stata strappata. Spettacolo quindi molto più ricco di quanto appaia di primo acchito cui si può forse imputare solo un lavoro attoriale un po’ generico. Nel cast emerge il Wotan vocalmente e scenicamente autorevole di Michael Volle. Voce ampia, possente, ricchissima di armonici, dal colore scuro e già da subito come venato di sentori tragici. Interprete di qualità superiore scava il fraseggio in ogni piega in un gioco di accenti e inflessioni perfettamente riuscito. Vocalmente sontuoso il Donner di Andrè Schuen capace di far brillare un ruolo in fondo secondario, Siyabonga Maqungo è un Froh dal timbro radioso e dal canto morbidissimo, elegante e facile sugli acuti. Interprete sensibile ma vocalmente un po’ spento il Loge di Norbert Ernst, sono comunque parse eccessive le contestazioni di cui è stato fatto oggetto. Voce un po’ chiara ma ampia e sonora e interpretazione nobilmente misurata per la Fricka di Okka von der Damerau mentre la Freia di Olga Bezsmertna sfoggia un timbro morbido e sensuale che ben si addice alla Dea dell’amore unito a una linea di grande musicalità. L’Erda di Christa Mayer manca forse di volume sui gravi ma la voce è molto bella e il canto ha un’intensità morbida e quasi materna non scevra di una sensualità che giustifica le preoccupazioni di Fricka. Di grande rilievo l’Alberich di Ólafur Sigurdarson. Voce di notevole ampiezza, robusta e ben controllata e interprete efficacie, di una malvagità meno plateale ma più sfumata e insidiosa. Ottimo il Mime di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke voce duttile e puntuale, perfettamente piegata al ruolo. Tra i giganti bene il Fasot di Jongmin Park voce ampia e morbida, ricca di armonici e dal canto rifinito mentre Ain Anger (Fafner) è sicuramente efficacie come interprete ma è aspro e faticoso nel canto. La Figlie del Reno cantano in modo squisito e con tutta la freschezza richiesta. Foto Brescia & Amisano