“La Cenerentola” al Teatro Filarmonico di Verona

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2024
 “LA CENERENTOLA”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti
Musica di Gioachino Rossini
Don Ramiro PIETRO ADAINI

Dandini ALESSANDRO LUONGO
Don Magnifico CARLO LEPORE
Clorinda DANIELA CAPPIELLO
Tisbe VALERIA GIRARDELLO
Angelina MARIA KATAEVA
Alidoro MATTEO D’APOLITO
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Francesco Lanzillotta
Maestro del Coro Roberto Gabbiani          
Regia Manu Lalli
Scene Roberta Lazzeri
Costumi Gianna Poli
Luci Vincenzo Apicella riprese da Sergio Toffali
Allestimento del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Verona, 17 novembre 2024
Il dubbioso Rossini, reduce dal successo del suo Barbiere e già incaricato di scrivere un’opera buffa da rappresentarsi nella stagione di carnevale del 1817, accolse con entusiasmo l’idea di mettere in musica il soggetto di Cendrillon dall’omonima fiaba di Perrault. Per adattarla al gusto italiano, ancor più a quello romano, il librettista Ferretti sostituì gli elementi fiabeschi con situazioni più realistiche ed arricchite da effetti comici. Così il tronfio Don Magnifico, patrigno desideroso di un riscatto sociale, sostituisce la matrigna, la fata diventa il saggio Alidoro, precettore di Don Ramiro, e la celebre scarpetta di cristallo lascia il posto ad un più veritiero braccialetto. Punto di forza della vicenda è lo scambio di ruolo tra il principe Don Ramiro ed il suo cameriere Dandini, operato per valutare la condotta delle sorellastre Clorinda e Tisbe. Scritta a tempo di record, grazie ad una vera e propria catena di montaggio nella quale Ferretti scriveva i versi consegnandoli poi a Rossini che li metteva prontamente in musica, La Cenerentola è tornata al Filarmonico dopo gli allestimenti del 1996 e del 2016 nell’allestimento del Maggio Musicale Fiorentino recentemente andato in scena nella città gigliata, a firma di Manu Lalli. Per idee e contenuti, l’impianto registico strizza l’occhio al celebre film di Ponnelle del 1981 anche se talvolta eccede in mossette e caricature che comunque non disturbano lo spettacolo; vi è comunque da sottolineare che si tratta di un allestimento facilmente proponibile anche ad un pubblico giovanissimo in tempi di grande necessità culturale per le nuove generazioni. Il messaggio della regista è comunque forte e chiaro: Angelina vive e spera in un riscatto sociale, rivendicando i suoi diritti calpestati da una stupida e cieca ignoranza (come nel caso delle sorellastre che strappano le pagine dei libri che la ragazza conserva e con cui nutre le sue speranze) ma anche alimentando i propri sogni e desideri. Sogni che lasceranno il posto ad un futuro certo e basato non sull’interesse sociale ma sull’amore vero; l’autentica magìa non è quella della bacchetta ma della bontà e benevolenza, come nel perdono finale concesso proprio a coloro che l’avevano sempre maltrattata. La tradizione è presente anche nelle scene essenziali di Roberta Lazzeri, nei costumi di Gianna Poli (sui quali svetta il rosso di Don Magnifico) e nelle luci di Vincenzo Apicella, qui riprese da Sergio Toffali. Sul fronte musicale Maria Kataeva si dimostra interprete di livello con un bel colore vocale ed ottima resa scenica, conferendo al ruolo di Angelina una dimensione sospesa tra il sogno ed il reale anelito alla felicità, giungendo alle battute finali in trionfo come ampiamente sottolineato dai vibranti ed entusiasti applausi del pubblico.  Pietro Adaini, nei panni di Don Ramiro, restituisce al personaggio tutta la sua dignità aristocratica con una cantabilità nobile e lineare e facilità negli acuti, che però non sempre risultano a fuoco. Nulla da eccepire sul Don Magnifico di Carlo Lepore, ormai interprete rossiniano di riferimento, che si rivela sempre più degno erede della grande tradizione nel solco tracciato da Dara e Montarsolo, con voce potente ed indiscusse doti attoriali, oltre ad un’invidiabile disinvoltura nei passaggi di agilità e nei frenetici sillabati. Bene anche Alessandro Luongo il quale riesce efficacemente, nel ruolo del cameriere Dandini, a reggere adeguatamente un’ affettata regalità non priva di una certa ironia soprattutto nella sua cavatina Come un’ape ne’ giorni d’aprile. In sostituzione del previsto Gabriele Sagona, Matteo D’Apolito (già interprete del ruolo a Firenze) è il saggio consigliere Alidoro, personaggio che rende con fierezza intellettuale e nobiltà vocale. Le due terribili sorellastre erano rispettivamente Daniela Cappiello (Clorinda) e Valeria Girardello (Tisbe), entrambe perfettamente calate nelle loro parti, che riescono a gestire nel contrasto timbrico tra le due tessiture; forse un tantino eccessive nell’aspetto scenico, hanno comunque condotto felicemente in porto la loro recita. La direzione di Francesco Lanzillotta è brillante seppur tesa ad assecondare la cantabilità delle voci con tempi adeguati, tanto nelle arie quanto nei concertati grazie all’ottimo apporto dell’orchestra della Fondazione Arena. Molto bene il coro, sempre preciso e puntuale nei suoi interventi. Pubblico numeroso ed entusiasta, come testimoniato dagli applausi, soprattutto quello seguito al rondò finale Nacqui all’affanno, partito spontaneamente sulla coda orchestrale. Repliche il 22 e il 24 novembre. Foto Ennevi per Fondazione Arena.