Camille Saint-Saëns (1835 – 1921): “Dejanire” (1911)

Tragédie lyrique in quattro atti su libretto di Camille Saint-Saëns. Kate Aldrich (Déjanire), Julien Dran ( Hercule), Anaïs Constans (Iole), Jérôme Boutillier (Philoctète), Anna Dowsley (Phénice). Choeur de l’Opéra de Monte-Carlo, Stefano Visconti (maestro del coro), Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo, Kazuki Yamada (direttore). Registrazione: Auditorium Rainier III, Montecarlo 12-16 ottobre 2022. 2 CD Fondazione Palazzetto Bru Zane Opéra français n. 39.
La riscoperta del catalogo di Saint-Saëns da parte della fondazione Palazzetto Bru Zane prosegue con l’ultimo lavoro del compositore: “Dejanire” originariamente pensata per les Arénes di Béziers nel 1898 e rivista nelle sue forme definitive per Montecarlo nel 1911. L’opera voleva rappresentare un tentativo di dramma musicale ancorato alla tradizione classica – la tragedia di Gallet che fornisce spunto all’opera è di fatto un rifacimento di Sofocle – in funzione anti-wagneriana. Le scelte musicale rientrato in un recupero erudito della tradizione francese. La prevalenza per un declamato aulico che affonda le sue radici in Berlioz e Spontini fino a risalire alla tragedia musicale sei e settecentesca, l’ampio uso di cori e ballabili, un continuo travasare delle forme sono tutti figli di una precisa volontà stilista. Grande impegno non sempre però retto da un’ispirazione all’altezza così che il lavoro risulta alquanto discontinuo tra momenti decisamente riusciti – soprattutto nei frangenti più lirici – in cui già si anticipano i futuri sviluppi dell’opera francese, il monologo di Iole del II atto sembra già aprire la strada a Mélisande – è brani in cui il compositore si salva con mestiere più che con ispirazione, come tanti brani d’atmosfera dal sapore decisamente pompier. Anche la tensione drammaturgica appare spesso ineguale anche in conseguenza di un libretto che al riguardo lascia non poco a desiderare, si veda solo con quale fretta viene di fatto bruciata tutta la forza espressiva della follia di Ercole, della sua morte e della sua ascesa all’Olimpo, risolte in pochi minuti privi di ogni autentica ispirazione.
Sul piano musicale l’esecuzione è decisamente valida e riserva alcune interessanti sorprese. Kazuki Yamada guida per l’occasione i complessi dell’Opéra di Montecarlo quasi a volersi ricollegare anche fisicamente al luogo dove l’opera vide la luce. Il maestro giapponese opta per una lettura molto rigorosa e per una grande chiarezza espressiva che punta a valorizzare le caratteristiche della scrittura riuscendo a cogliere il luminoso lirismo quasi massenetiano dei momenti più ispirati e cercando di dare una coerenza formale anche alle parti più generiche. La coerenza della lettura di Yamada è sicuramente l’elemento centrale per la riuscita della registrazione anche grazie alle ottime prestazioni dei complessi monegaschi che si mostrano in perfetta sintonia con quest’universo musicale. Una particolare menzione al coro che trova accenti di aulica grandezza come nell’intenso “Comme la Ménade en délire” che annuncia l’entrata della protagonista.
Quest’ultima è Kate Aldrich, mezzosoprano statunitense che ha trovato in Francia il proprio contesto ideale. La Aldrich è una solida professionista è un’interprete appassionata che compensa con l’autorevolezza dell’accento e l’impeto drammatico una voce che non è mai stata classicamente bella e che nel corso degli anni si è ulteriormente inaridita. Sul piano tecnico gli si può impuntare un uso fin eccessivo del vibrato ma fortunatamente il personaggio, sempre estremo nei suoi atteggiamenti, gli risulta interpretativamente assai congeniale.
Una prosodia francese non sempre perfetta non sorprende nell’Aldrich, lascia invece alquanto sgomenti la dizione veramente pessima di Anaïs Constans che è provenzale di Montauban – luogo di reminiscenze operistiche – e da cui si aspetterebbe miglior dizione. Per fortuna la voce è molto bella e il ruolo di Iole con il suo luminoso lirismo esalta le qualità della cantante. Iole ha forse i momenti più ispirati dell’opera come l’aria “Ce n’est pas comme vous” del secondo atto e l’intensa preghiera ad Atena “Pallas, vierge prudente et sage” e la Costans li canta con grazia invantevole.
Una cattiva dizione sembra una costante per le cantanti di questa è accomuna anche l’australiana Anna Dowsley che si fa comunque apprezzare per piacevolezza timbrica e musicalità nel breve ruolo di Phénice.
Dizione che invece risulta elemento di forza per la componente maschile del cast. Praticamente sconosciuto in Italia Julien Dran è la vera rivelazione di questa registrazione. Tenore eroico dalla voce solida e squillante, autorevole nella declamazione e di forte comunicativa è un Hercule veramente apprezzabile al netto di qualche piccola forzatura in acuto. Musicalmente la parte non è tra le più entusiasmanti, anzi è forse la più banale dell’opera nel suo taglio retorico e declamatorio – quanto i duetti con Dejanire sono qualitativamente lontani da quelli da quelli del “Samson et Dalila”– ma nonostante questo riesce a emergere con sicurezza.
La parte dell’amico e poi rivale Philoctète è più interessante nel suo delicato lirismo. Jérôme Boutillier incarna alla perfezione quel tipo di baritono dal timbro chiaro e dal canto nobile così tipico del repertorio francese. La coppia Hercule – Philoctète è un altro interessante esempio nel suo plasmarsi idealmente – nonostante le maggiori tensioni – su quella  Licinio – Cinna della “Vestale” di Spontini che a suo volta guardava a Gluck – della precisa volontà di recupero arcaistico portata avanti da Saint-Saëns in quest’opera.
Terminato l’ascolto non si grida al miracolo però si è ascoltato un lavoro interessante e non inutile da conoscere oltre alla scoperta d’interessanti interpreti della senza assai vivace scena lirica francese.