Bologna, Comunale Nouveau, Stagione d’Opera 2024
“WERTHER”
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann, tratto dal romanzo epistolare I dolori del giovane Werther di J.W. Goethe
Musica di Jules Massenet
Werther KAZUKI YOSHIDA
Le Bailli ALESSIO VERNA
Charlotte AOXUE ZHU
Albert MATTEO GUERZÈ
Schmidt XIN ZHANG
Johann DARIO GIORGELÈ
Sophie SILVIA SPESSOT
Brühlmann YURI GUERRA
Kätchen GIULIA ALLETTO
Clara, Fritz, Gretel – Mimi
Hans, Karl, Max Voci Bianche del Teatro Comunale di Bologna
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del Coro delle Voci Bianche Alhambra Superchi
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti ripresi da Massimo Carlotto
Luci Daniele Naldi
In collaborazione con Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone”
Produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 22 novembre 2024
Jules Massenet è il compositore borghese che confeziona opere come il couturier parigino confeziona abiti: con l’abilità virtuosistica del professionista e con il saldo pragmatismo del bottegaio. Mai sfiorato dalle ombre del genio, dalle sue sregolatezze e dai suoi tormentosi ripensamenti, Massenet produce i propri prodotti per il consumo di un pubblico dal gusto raffinatissimo, di autentici gourmets. I dolori del giovane Werther è invece il successone di un venticinquenne tedesco su un argomento, quello amoroso, che l’Autore avrebbe conosciuto fino in fondo (forse) solo trentasettenne fra le romanesche braccia della (mitica?) Faustina. Si aggiunga che fra i due Werther passa un secolo buono e si vedrà quanto poco abbiano in comune, se si escludano grandezza (indubbia), popolarità (relativa) e influenza (straordinaria).Che Werther sia un’opera sul potere della letteratura e che il suo contesto sia precisamente borghese la regista Rosetta Cucchi ce lo fa sapere mostrandoci una casetta fatta di libri ordinatamente disposti. Ed è proprio così: Werther legge e traduce poesie, scrive lettere, e infine scrive il messaggio in cui chiede le pistole in prestito. Sicché i momenti più toccanti della relazione fra i due sono, da parte di lei, la lettura delle lettere di lui e, da parte di lui, la traduzione di Ossian: Galeotto fu ‘l libro, e chi lo scrisse, insomma. Questa casetta, che ci mette poco a diventare una chiesetta, è vista rimpicciolirsi, sempre più lontana, dal protagonista che sprofonda nella poltrona della sua solitudine. Mentre nel domestico idillio borghese una coppia di vecchietti ha tenuto fede alla promessa del noioso amore delle piccole cose: il salotto è quello della signorina Felicita di Gozzano, dagli occhi azzurro stoviglia. La narrazione si dipana chiara, senza stravaganze o forzature, nelle scene nitide e razionali di Tiziano Santi: è l’allestimento nato nel 2016 per il Comunale, ripensato e riadattato per il Nouveau, con i costumi di Claudia Pernigotti ripresi da Massimo Carlotto. L’Orchestra del Comunale diretta da Riccardo Frizza vibra per intensità soprattutto negli ultimi due atti, laddove si snoda il dramma: l’unica azione in due ore e mezza di musica è lo sparo. Lì trova incisività e turgore che sappiano innervare di vitale tensione il discorso musicale. Mentre prima, come del resto è inevitabile e giusto, la cura principale di Frizza è per il languente sentimentalismo, per il cromatismo manierato, per le carezzevoli levigature di un lirismo coi guanti. In fondo, però, il protagonista assoluto è il francese, col suo verso dall’accento mobilissimo e spezzato, su cui la melodia s’inerpica come l’edera sugli alberi: ma invece di nasconderlo, lo esalta. Ecco allora che poco importa se il timbro tende più al chiaro o allo scuro: d’altra parte, esiste anche la variante d’Autore per Werther baritonale. Il protagonista Kazuki Yoshida ha voce che non brilla per squillo ma si pregia di brune morbidezze e corposa rotondità: nel sostegno del fiato sembra talvolta perdere la sua sicurezza, e forse l’espressione deve seguire la strada della ricerca di colori più che quella di filature e smorzature. Charlotte ha la voce splendida di Aoxue Zhu, brunita, tornita, solida, e omogenea in ogni registro, davvero senza difetti, una delizia all’ascolto, ma poco espressiva: anche il “tu frémiras!” resta senza fremito. La sua sorella minore Silvia Spessot, dall’aria “maschietta” e sbarazzina sulla scena, sguaina una bella voce chiara, svettante, snella ed elastica, brillante e luminosa.Gli altri fratellini sono divisi fra mimi bambini e l’ottimo Coro di Voci Bianche di Alhambra Superchi. Matteo Guerzè ha bel timbro pastoso e personale che sa sfruttare per tratteggiare un Albert molto tenero e umano. Alessio Verna è un podestà ben sonoro e dal bel timbro morbido; fra i suoi amici lo Schmidt sicuro di Xin Zhang e il simpatico Johann di Dario Giorgelè. Completano la locandina Yuri Guerra nel ruolo di Brühlmann e Giulia Alletto come Kätchen. Nel programma di sala, interrogata da Andrea Maioli sul problema dei giovani da attrarre all’opera, Rosetta Cucchi sostiene giustamente che non bisogna “flirtare con ciò che fa parte delle loro quotidianità” ma “invece offrire loro qualcosa di diverso”. Difficile immaginare qualcosa di più diverso dalla quotidianità volgare e violenta di oggi dal sofisticato cromatismo francese di Massenet e dal nevrotico romanticismo di Werther. Foto Andrea Ranzi