Vicenza, Teatro Olimpico, Vicenza Opera Festival 2024
“LE BURGEOIS GENTILHOMME SUITE”
“ARIADNE AUF NAXOS”
Opera in un atto su libretto di Hugo von Hofmannsthal
Musica di Richard Strauss
Bacchus ANDREW STAPLES
Zerbinetta ANNA-LENA ELBERT
Ariadne EMILY MAGEE
Harlekin GURGEN BAVEYAN
Scaramuccio STUART PATTERSON
Truffaldino DANIEL NOYOLA
Brighella JUAN DE DIOS MATEOS
Najade SAMANTHA GAUL
Dryade OLIVIA VERMEULEN
Echo MIRELLA HAGEN
Attori UTKA GAVUZZO, CAMILO DAOUK
Budapest Festival Orchestra
Direttore Iván Fischer
Regia Iván Fischer e Chiara D’Anna
Scene Andrea Tocchio
Costumi Anna Biagiotti
Luci Tamás Bányai
Produzione della Iván Fischer Opera Company, Müpa Budapest, Vicenza Opera Festival e Festival dei Due Mondi di Spoleto
Vicenza, 27 ottobre 2024
Anche quest’anno il Vicenza Opera Festival diretto da Iván Fischer propone un titolo ambizioso, quell’“Ariadne auf Naxos” che rappresenta senza dubbio uno dei picchi (se non il picco) di originalità e genialità di Richard Strauss: la sua genesi e la sua natura composita ne fanno sia un’opera decisamente novecentesca, sia un omaggio accurato e sentito al secolo che l’ha preceduta, in particolar modo a quelle correnti che per Strauss sono state le più importanti – il belcanto italiano e il wagnerismo. Si diceva della genesi, poiché quest’opera inizialmente si inseriva fra le musiche di scena di una fastosa riscrittura hofmannsthaliana de “Il borghese gentiluomo“ di Molière, che vide la luce per la prima volta a Stoccarda nel 1912, rivelandosi un clamoroso fiasco, troppo lunga e troppo musicale per essere una commedia di prosa. Strauss chiese allora a Hofmannsthal di scrivere un apposito prologo, simile per intenti al “Borghese gentiluomo”, ma più agile, da porsi in musica. Ne nacque la versione dell’“Ariadne” che comunemente portiamo in scena, ma non quella scelta da Fischer per Vicenza: lungi da riprovare l’esperimento di Stoccarda, Fischer sceglie però di non portare in scena il prologo, e sostituirlo con la suite orchestrale che lo stesso Strauss (anni dopo il debutto dell’opera) fece del materiale musicale di scena di quella commedia; ecco allora che i primi trentasette minuti di questa recita sono occupati dalla suite delle musiche di scena di “Le bourgeois gentilhomme”, brioso e sorprendente pezzo sinfonico durante il quale i personaggi della Commedia dell’Arte, coadiuvati da due mimi strepitosi (Utka Gavuzzo e Camilo Daouk), giocano e scherzano con l’orchestra, ne spogliano e rivestono i musicisti, ma si divertono anche tra di loro. La scelta è coraggiosa e senza dubbio legittima, giacché si pone come obiettivo di ricostruire quei ponti tra le melodie della suite e quelle dell’“Ariadne”, che nacquero sorelle. Quando poi arriviamo, finalmente, all’opera vera e propria, ci accorgiamo che quelli che credevamo unicamente mimi e attori nella suite orchestrale, si rivelano essere gli interpreti stessi del dramma, veri attori cantanti e viceversa: il baritono Gurgen Baveyan è un Arlecchino rocambolesco ma anche accorato nei suoi spasimi d’amore per Zerbinetta – vocalmente presenta colore ambrato, linea di canto morbida, notevole estensione; Stuart Patterson è uno Scaramouche tutto compito, ma che sfoggia piacevoli colori di tenore buffo nei suoni ben proiettati e puliti; il Brighella di Juan de Dios Mateos è tra quelli che si spendono di più scenicamente, già dalla suite iniziale; pure la prova canora si rivela tuttavia ben superata, grazie a un bel fraseggio efficace; infine il Truffaldino di Daniel Noyola, si distingue non per volumi azzardati o virtuosismi, ma, al contrario, per la capacità di armonizzarsi al meglio con le voci degli altri tre con cui passa la maggior parte del tempo. Tuttavia è la Zerbinetta di Anna-Lena Elbert l’étoile della serata: il giovane soprano tedesco sembra nato per il ruolo, sia per l’attitudine coquette che adotta in scena, senza tema di apparire anche in vesti succinte e di lanciarsi in momenti quasi di danza, sia per il registro lirico leggero dalla linea di canto fluente, dai sovracuti e picchiettati disinvolti, il colore argentino, la sapida accuratezza nel fraseggio. Le fa da ideale contraltare l’Ariadne di Emily Magee, ma purtroppo anche sul piano della resa. La voce appare stanca, con i centri opachi e un registro acuto non sempre controllato. Si apprezza ancora il bel colore vocale, ma non basta a salvarne la performance – che pure sul piano del fraseggio e quello scenico è un po’ ridotta ai minimi termini. Le tre ninfe, invece, sorprendono sia per la piena coesione delle linee di canto, ma soprattutto per le qualità vocali indiscutibili: la mezzo Olivia Vermeulen (la Driade) pone le fondamenta della frase con i suoi suoni avvolgenti e caldi, il soprano Samantha Gaul (la Naiade) costruisce le melodie con la sua vocalità tersa e asciutta mentre Mirella Hagen (Eco) la riprende a canone impreziosendola. Un trio che aiuta l’ascoltatore anche a tessere collegamenti con le ninfe del Reno del “Rheingold”, che Strauss voleva chiaramente richiamare. Infine, ma solo in ordine di apparizione, il Bacco di Andrew Staples ammalia già prima di comparire in scena, grazie a una vocalità di autentico tenore drammatico – “wagneriano” verrebbe giustamente da dire, visto l’eroismo madido di sentimento con cui Strauss reinterpreta il Dio dell’ebbrezza; la sua tecnica è granitica, il suono infonde sfumature metalliche a un porgere scolpito e veramente nobile, con una specifica attenzione al fraseggio. Grazie a lui il duetto finale (l’omaggio del compositore a “Tristan und Isolde”) sa trasportarci dall’isola di Nasso alle vette del Valhalla; peccato per una certa immobilità scenica, dovuta, crediamo, a una scelta di regia non particolarmente felice. Questa, infatti, curata dallo stesso onnipresente Fischer, insieme all’italiana Chiara D’Anna, funziona a meraviglia nelle scene di gruppo e specificamente con i personaggi all’italiana, mentre in quelli “alla tedesca” si arena in una serie di pose che sviluppano poco gli spunti della partitura. Tuttavia le scene di carta ispirate a Chagall di Andrea Tocchio, i bellissimi costumi di Anna Biagiotti e soprattutto le magnifiche e suggestive luci di Tamás Bányai, riescono sempre a dare movimento alle linee sceniche, senza consentire mai all’occhio rapito dello spettatore di distrarsi. Infatti, alla fine, ovazioni meritate per tutti sugellano anche questo Festival. Foto Vicenza Colorfoto – Francesco Dalla Pozza