Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Juanjo Mena
Pianoforte Nicolò Cafaro
Sergej Rachmaninov: Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in re minore op. 30; Witold Lutosławski: Concerto per orchestra
Venezia, 18 ottobre 2024
Due titoli, che non sono ancora entrati stabilmente nel grande repertorio concertistico – il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in re minore op. 30 di Sergej Rachmaninov e il Concerto per orchestra di Witold Lutosławski – costituivano il programma, proprio per questo particolarmente allettante, del penultimo appuntamento della Stagione Sinfonica della Fondazione Teatro La Fenice, che vedeva come interpreti due musicisti particolarmente attesi dagli appassionati: il pianista Nicolò Cafaro, vincitore XXXVIII Premio Venezia, e il direttore d’orchestra Juanjo Mena, al suo debutto in Fenice. Composto da Rachmaninov nell’estate del 1909, durante un periodo di riposo nella tenuta di famiglia a Ivanovka, presso Mosca, il Terzo concerto per pianoforte e orchestra non ebbe, inizialmente, un’accoglienza entusiastica, soprattutto da parte di interpreti e critici. Lontano dal carattere melodioso del Concerto n. 2, appariva troppo lungo e formalmente poco ortodosso, oltre che tecnicamente impervio. Difficoltà che il giovane, ma già affermato pianista siciliano ha brillantemente superato, dimostrando una sbalorditiva sicurezza, che – unita ad una straordinaria maturità interpretativa – gli ha consentito di dar vita a un’esecuzione in certi momenti elettrizzante per il l’incandescente virtuosismo, in altri intrisa di delicato lirismo, grazie anche ad un tocco, che perdendo la perlacea brillantezza esibita nei passaggi di più sperticata agilità, assumeva una diafana morbidezza. Nel complesso, una prestazione, che non esitiamo a definire “indimenticabile”. Pacato e quasi esitante il pianoforte nel riprendere il tema in ritmo puntato con cui clarinetti, fagotti e violoncelli, accompagnati dagli strumenti ad arco, hanno aperto il primo movimento, Allegro ma non tanto, dove – affrontando la cadenza eccezionalmente lunga e complessa che sostituisce la tradizionale ripresa – ha dimostrato una mirabile padronanza tecnica, unita a un’immacolata nitidezza nell’affrontare le turgide sequenze accordali. Analogamente il solista ha affrontato da par suo l’ampio Intermezzo: Adagio, dove entra con una frase fortemente cromatica, per poi intonare una melodia fervida e nostalgica. Il giovane interprete ha superato se stesso nel Finale: Alla breve, una danza frenetica, che – riprendendo alcuni temi del movimento iniziale – riserva allo strumento solista trascendentali difficoltà e nella cui sezione centrale la scintillante e metallica sonorità pianistica sembra anticipare Prokof’ev e Šostakovič. Precisa e coesa l’Orchestra nel sostenere il solista, autorevolmente guidata da Juanjo Mena, che ha saputo pienamente valorizzare la raffinata orchestrazione di Rachmaninov ora nitida e brillante ora cameristica e delicata. Successo travolgente e non poteva essere altrimenti. L’Orchestra del Teatro La Fenice è stata poi protagonista di un’esecuzione veramente splendida del Concerto per orchestra di Witold Lutosławski. Composta tra il 1950 e il 1954 – su proposta del direttore artistico della Filarmonica di Varsavia, Witold Rowicki, che richiedeva un brano sinfonico, per celebrare la rinascita, dopo la guerra, dell’orchestra –, la partitura si articola in tre movimenti e costituisce – sebbene il compositore la considerasse un lavoro marginale – il coronamento della fase “folklorica” della sua attività creativa, attestata – prima che vedesse la luce il Concerto per orchestra – da una serie di brevi composizioni ispirate alla musica della regione di Kurpie. Stimolato da Rowicki, Lutosławski utilizzò l’esperienza maturata nella stilizzazione del folklore polacco, per produrre il Concerto per orchestra. Nella partitura, l’autore inserisce undici melodie popolari della Masovia, creando una trama sotterranea che collega i tre movimenti: melodie che, usate come microstrutture ritmico-intervallari, creano sofisticate trame contrappuntistiche e stringenti sviluppi, sacrificando il loro potenziale colore locale alla pura invenzione. Quanto all’esecuzione, il gesto chiaro e suggestivo del direttore spagnolo ha ottenuto dall’Orchestra estrema qualità del suono e ragguardevole finezza interpretativa; il che si è apprezzato negli interventi solistici come in quelli delle singole sezioni e dell’insieme, che hanno dato pieno risalto alla raffinatezza della scrittura e alla ricchezza dei colori orchestrali, da cui proviene il fascino di questa straordinaria partitura, in cui si ravvisa una chiara impronta bartókiana, suggerita fin dal titolo stesso, identico a quello scelto da Bartók per la sua analoga composizione di dieci anni prima. Calorosi applausi e numerose chiamate a fine serata.