Torino, Teatro Regio, Stagione d’opera 2024-2025 ‒ Manon Manon Manon
“MANON”
Opera in cinque atti e sei quadri su libretto di di Henri Meilhac e Philippe Gille
Musica di Jules Massenet
Manon Lescaut MARTINA RUSSOMANNO
Il cavaliere Des Grieux ANDREI DANILOV
Il conte Des Grieux/ L’Oste UGO RABEC
Lescaut RAMIRO MATURANA
Guillot de Montfortaine THOMAS MORRIS
Monsieur de Brétigny ALLEN BOXER
Poussette OLIVIA DORAY
Javotte MARIE KARININE
Rosette LILIA ISTRATII
Una guardia ALEJANDRO ESCOBAR
Un’altra guardia LEOPOLDO LO SCIUTO
Un mercante ROBERTO MIANI
M De Chansons FRANCO RIZZO
M De Elixir GIOVANNI CASTAGLIUOLO
Cuciniere ANDREA GOGLIO
Una commerciante JUNGHYE LEE
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Evelino Pidò
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia Arnaud Bernard
Scene Alessandro Camera
Costumi Carla Ricotti
Luci Fiammetta Baldiserri
Movimenti coreografici Tiziana Colombo
Torino, Teatro Regio, 16 ottobre 2024
Manon quintessenza di un eterno femminino francese affascinante e terribile, leggerissimo e tragico, paradigma di un modello di femme fatale – così’ diverso da quelli concepiti da altre culture europee – capace di segnare in modo imprescindibile l’idea stessa di femminilità in Francia. Questa eternità di Manon è il centro della trilogia di Arnaud Bernard in scena al Regio di Torino di cui Manon ciclicamente rivive nell’immaginario francese rivisto attraverso il cinema, il grande occhio indagatore che nel Novecento ha sostituito il melodramma come specchio di una società e delle sue pulsioni.
Ed ecco che Manon si reincarna in Brigitte Bardot che di quell’ideale femminile è la più iconica delle incarnazioni moderne. Lo spettacolo ha come filo conduttore il film “La Vérité” di Henri-Georges Clouzot (1961) centrato sul processo di una ragazza incantevolmente criminale. La vicenda ha più di un punto in contatto con la storia di Manon e il regista riesce a equilibrare i due piani con grande efficacia. Le sequenze cinematografiche che aprono ciascun quadro sono scelte con cura per ricordare al massimo grado le vicende dell’opera e questa diventa citazione diretta, tableaux vivant della pellicola. L’impianto scenico è diviso in due piani, in alto – incombente su tutto – la tribuna dei giudici chiamati a condannare Dominique-Manon mentre in basso si svolge la vita perennemente osservata. La scelta impone qualche piccola forzatura per far coincidere maggiormente film e opera ma nel complesso queste s’inseriscono con coerenza nella vicenda – Manon disperata spara a Guillot e poi muore suicida in carcere, piccoli aggiustamenti che contribuiscono a dare coerenza con l’ambientazione scelta. L’impianto scenico e i costumi riprendono direttamente quelli del film o quando se ne distaccano – Cours de la Reine, Saint Sulpice – si rifanno egualmente a quell’immaginario estetico. Particolarmente riuscito la scena di Cours de la Reine palcoscenico in cui si esibisce il meglio della haute couture francese nella sua stagione più luminosa e in cui Manon si muove elegantissima ma spenta, la sola a comprendere il vuoto dietro a tanto splendore. Inutile dire che gli abiti sono elegantissimi e tutti giocati su nuance di bianco, nero e grigio a dare il colore più autentico di quella cinematografia. Curatissima la recitazione sia dei solisti sia del coro veramente cinematografica nella capacità di muoversi sul palco.
Un senso narrativo che caratterizza anche la direzione di Evelino Pidò che rifugge da languidi estetismi per centrare invece la propria attenzione sulla coerenza narrativa e teatrale dello spettacolo. Molto attento alla concertazione e al sostegno del canto Pidò offre dell’opera di Massenet una lettura rigorosa e moderata, evita di cadere nella trappola del facile sentimentalismo così come in quella del preziosismo fine a se stesso. Non rinuncia al lirismo ma riesce a non farlo diventare stucchevole calandolo in un sincero intimismo degli affetti. Predilige sonorità leggere e un andamento brillante ma mai eccessivo in cui il dramma palpita sotto l’apparente leggerezza quasi danzante con cui è affrontata la partitura. L’opera è eseguita integralmente con l’intero quadro dell’’Hotel de Transylvanie spesso omesso. Molto buona la prova dell’orchestra e superlativa quella del coro, sempre più una certezza di qualità musicale e scenica.
Compagnia composta in gran parte da giovani capaci, al netto di qualche incertezza vocale, di trasmettere tutta la freschezza di quest’opera. Già apprezzata come Eudoxie lo scorso anno Martina Russomanno conferma in un ruolo ben più ampio e complesso tutte le buone impressioni avute. Voce davvero molto bella di soprano coloratura dal timbro luminoso e perlaceo, ricca di armonici e compatta su tutta la gamma, facilissima nell’emissione e nel legato. La parte è vocalmente retta con sicurezza impeccabile e notevole intensità. Pur molto giovane la Russomanno si mostra già interprete matura e consapevole, fraseggia con intelligenza e tratteggia sia sul piano dell’accento sia su quello attoriale un personaggio perfettamente centrato. La bellissima figura è perfetta per Manon è per quanto molto diversa come tipologia femminile dalla Bardot ne indossa gli abiti con naturalezza e innegabile fascino seduttivo.
Des Grieux è Andrei Danilov giovane tenore russo dal materiale interessante anche se un po’ grezzo. Il timbro è bello è luminoso, ideale per la parte, gli acuti sono facili e sicuri, buona quadratura complessiva. Manca però ancora un po’ di eleganza; il canto è un po’ prosaico mancano quelle mezze voci e quelle sfumature che il personaggio vorrebbe e anche l’interprete è ancora un po’ scolastico. Scenicamente minuto tende a farsi quasi sovrastare dall’alta statura della Russomanno.
Ramiro Maturana è un Lescaut irruente e forse un po’ grezzo ma pienamente calato nel taglio che il ruolo ha nello spettacolo. Hugo Rabec ha una voce solida e una nobile linea di canto nei panni del Conte des Grieux cui affianca la parte dell’oste. Davvero molto bravo Thomas Morris come Guillot de Monfortaine. Voce particolare e forse non bellissima ma interprete di rara sensibilità capace di trasmettere tutta l’untuosa ipocrisia del personaggio. Ben cantato ma un po’ anonimo interpretativamente il Brétigny di Allen Boxer. Ben centrato il terzetto femminile composto da Olivia Doray (Poussette), Marie Kalinine (Javotte), Lilia Istratili (Rosette) e pienamente funzionali tutte le numerose parti di fianco.
Le foto si riferiscono alle recite con la compagnia principale.