Torino, I Concerti del Lingotto, stagione 2024-25
NDR Elbphilharmonie Orchester
Direttore Alan Gilbert
Pianoforte Yefim Bronfman
Sergej Rachmaninov: Concerto per pianoforte e orchestra n.3 in re minore op.30. Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n.4 in fa minore op.36.
Torino, 18 ottobre 2024
Il Lingotto Musica, con l’iniziata stagione 2024-25, festeggia anch’esso, come già segnalato per l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, il trentennale. Nel maggio del 1994, i Berliner con Abbado inauguravano, eseguendo la Nona di Mahler, la nuova sala ideata dall’architetto Piano nell’ex stabilimento FIAT delle automobili. La Elbphilharmonie Orchester della Radio NDR di Amburgo è protagonista della serata, a guidarla Alan Gilbert, direttore principale dell’orchestra fin dal 2019. Vincitore di un Grammy Award e titolare di molte registrazioni, non conta molte presenze nel nostro paese e quindi neppure della notorietà che ne deriverebbe. Il pubblico è foltissimo, la curiosità e l’attesa, vista la qualità delle proposte di Lingottomusica, sono vivissime. Rachmaninov con il suo Terzo concerto per pianoforte (il Rach 3 di filmica memoria) apre la serata. Il pianista Yefim Bronfman, una sola volta a Torino vent’anni fa, siede alla tastiera. Fin da subito si nota quanto sia l’intesa tra podio e pianista; il direttore costantemente gli si volge e ne segue le intenzioni. Noto per le sparate di virtuosismo richieste, il concerto ci sorprende per un’inattesa “classicità”. Il discorso si svolge, senza mai sfondare sul forte-fortissimo, in un clima crepuscolare di ricordi e nostalgie. Parrebbe di essere scivolati, passeggiando la sera tra i vialetti del giardino di Sergej, in Svizzera, in un racconto di Čekov. L’esposizione è screziata di mille sfumature, brillano come lampi gli acuti, sussurrano e mormorano i bassi, tra di loro si snodano pazzeschi virtuosismi, doveri imprescindibili del concertista di successo. Il pedale non viene mai neppure sfiorato, tant’è che, abbagliati dalla quantità di colori e di dinamiche, si sospettano invisibili affossamenti millimetrici e progressivi. Nel solo spettacolare e rumoroso finale, imprescindibile impegno del solista per ottenerne un trionfo, per superare il clangore della massa orchestrale, il piede affonda e vince la contesa con sfolgoranti risonanze. L’orchestra, in assoluta concordanza, si allinea alla visione del pianista e non gli oppone mai la visione cinamatografico-hollywoodiana di cui sovente si è tacciato l’autore. Il successo è stato strepitoso ma, nonostante le innumerevoli richiamate sul palco, quasi a pietire un (doveroso?) fuori programma, nulla c’è stato. Dal tramonto di Čekov alla straziante mezzanotte di Dovstoevskij, così, all’avvio della Sinfonia n.4 di Čaikovskij, suona la fanfara di corni e fagotti che così prosegue, con un’impudica esposizione dei sentimenti, lungo l’intera sinfonia. La provenienza newyorkese del direttore avrebbe dovuto prepararci allo choc. Così facevano alcuni dei grandi direttori del Novecento che hanno forgiato il carattere all’orchestra della Grande Mela. Mitropoulos, il giovano Bernstein, Maazel e, dal 2009 al ’17, lo stesso Gilbert. Nella tradizione russa contemporanea, Mravinskij, Temirkanov, Jansons, attenuano razionalizzano sotterrano perorazioni e slanci, nella “libera” NY tutto è più spontaneo: si grida, si ride e si piange senza remore. La brillantezza dei suoni, il lussureggiare degli impasti timbrici, la scienza degli intrecci polifonici e dei trapassi armonici fungono da predella ad un’esposizione assolutamente appassionante e coinvolgente. L’Helbphilharmonie suona come da anni non si era più sentito a Torino. L’orchestra è in maggioranza costituita da giovani strumentisti che seguono, con un’attenzione spasmodica, il direttore che, con gesti mai eccessivi e mai sovrabbondanti, li guida in una ridda infinita di colori, di ritmi contrastanti con dinamiche estreme. È affascinante cogliere come, ad ogni minimo gesto e ad ogni accennato movimento della bacchetta, corrispondano immediatamente, senza esitazioni, sorprese sonore. I piani strumentali sono sempre ben delineati e i loro intrecci si definiscono all’ascolto, senza necessità di leggere la carta, impresa non facilissima, coabitando essi con il gran dispiegamento appassionato delle passioni. Già la fanfara iniziale degli ottoni qualifica l’altissima qualità tecnica dei leggii che viene ulteriormente confermata dall’ingresso delle altre sezioni. In specifica evidenzia il fascino introdotto, con suono brillante e compatto, dagli archi che si tramuta poi nel virtuosismo più spinto nei pianissimi del pizzicato dello scherzo. La cavalcata folgorante del Finale Allegro con Fuoco trascina inesorabilmente tutti verso il successo conclusivo. Un Čaikovskij che crediamo rimarrà, per tutti i presenti, di riferimento. Per l’orchestra e il direttore ci auguriamo numerosi riapprodi alle nostre latitudini. Più che un felice successo la serata ha scontato un trionfo completo, sancito dai ben perduranti e sonori applausi che il numerosissimo pubblico ha tributato agli artisti sul palco.