Rho (MI): “Madama Butterfly”

Rho (MI), Teatro Civico Roberto da Silva, Stagione 2024/25
MADAMA BUTTERFLY”
Opera in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di 
Giacomo Puccini
Cio-Cio-San DARIA MASIERO
Pinkerton GIUSEPPE DISTEFANO
Sharpless FRANCESCO LA GATTUTA
Goro GIACOMO LEONE
Suzuki CARLOTTA VICHI
Il Principe Yamadori YIMING GUO
Lo zio Bonzo GIACOMO PIERACCI
Kate Pinkerton BRONISŁAWA SOBIERAJSKA
Il Commissario Imperiale LIU ALL SONG HAO
Coro e Orchestra Filarmonica Italiana
Direttore 
Riccardo Bianchi
Maestro del coro 
Paolo Targa
Regia e Scene 
Stefano Monti
Costumi 
Desirée Costanzo e Allegra Montanelli
Movimenti mimici Monique Arnaud
Nuova produzione International Music and Arts in coproduzione con Teatro Civico Roberto De Silva, Fondazione “U. Artioli” Mantova Capitale Europea dello Spettacolo, Teatro Splendor Aosta
Rho (MI), 25 ottobre 2024
C’è una buona notizia al principio di questa recensione: il Comune di Rho, città metropolitana di Milano, per anni considerato il simbolo delle cosiddette “città-dormitorio“ fuori dal capoluogo meneghino, ha un nuovo teatro, bello, della giusta grandezza, con una buca per l’orchestra piccola ma molto profonda, in grado di ospitare compagini di una trentina di strumenti, e una acustica sorprendente; non solo: il Teatro Civico Roberto da Silva ha una stagione ricca, che comprende prosa di alto livello, musica sinfonica d’eccezione (quest’anno vi dirigeranno Pappano e Fasolis) e opera – non potevamo, dunque, farci scappare la loro prima, vera produzione, “Madama Butterfly”. Il dubbio che si tratti di una produzione di serie B viene immediatamente fugato dalla locandina, ove compaiono coro, orchestra, giovani artisti in carriera, e altre due realtà coproduttrici (il Teatro Splendor di Aosta e la Fondazione “U. Artioli” Mantova Capitale Europea dello Spettacolo di Mantova). La compagnia musicale vede senz’altro distinguersi il direttore d’orchestra, Riccardo Bianchi: la sua conduzione energica, senza dubbio personale, non tradisce tuttavia lo spirito più radicale, sofferto della partitura pucciniana; l’Orchestra Filarmonica Italiana, per l’occasione composta da trentuno elementi, non fa certo rimpiangere compagini più numerose, grazie a un suono potentemente coeso, ove senza dubbio spiccano gli archi; anche il rapporto con la scena è preciso e puntuale, e Bianchi si mostra sapiente mediatore tra rispetto filologico e convenzioni della concertazione. Il secondo astro della serata è Daria Masiero, esperta e apprezzata interprete del ruolo: la sua Butterfly è vocalmente morbida e tenace, passa con maestria dai filati più evanescenti al temperamento più passionale mettendo in evidenza un registro sempre brillante e una grazia smaltata e ardente allo stesso tempo, con una linea di canto sempre elegante. Accanto a lei ritroviamo la buona Carlotta Vichi nei panni di Suzuki, che abbiamo appena ascoltato a Savona nello stesso ruolo, riconferma il bel colore vocale, la solida tecnica, unite a un fraseggio accurato e a una efficace naturalezza scenica. Più alterno il Pinkerton d Giuseppe Distefano che mostra, almeno in questa occasione delle pecche nell’emissione con suoni sfocati o che risultano quasi metallici. Di conseguenza il fraseggio ne esce fortemente penalizzato. Complessivamente valida la prova di Francesco La Gattuta (Sharpless) soprattutto a partire dal secondo atto nel quale il baritono mostra una vocalità fresca e morbida. Di pregio il Goro di Giacomo Leone, soprattutto per la bellezza del colore vocale, oltre che per l’impegno profuso in scena. Nell’alveo della correttezza anche le altre performance: lo zio bonzo di Giacomo Pieratti, il Principe Yamadori di Yiming Guo, il Commissario Imperiale di Liu All Song Hao e la Kate Pinkerton di Bronisława Sobierajska, quest’ultima dalle screziature insolitamente e piacevolmente brunite. L’apporto del Coro è pure molto convincente – un plauso al maestro Paolo Targa –, mentre ci lascia più perplesso l’apparato scenico curato da Stefano Monti: la scelta è quella di un Giappone minimale, proiezioni sullo sfondo e tre grandi paraventi soli in scena, che vengono spostati, aperti e chiusi, per ricreare spazi diversi. Pur apprezzando questa idea, e anche la fattura degli oggetti di scena, troviamo le proiezioni alle spalle degli interpreti non solo di produzione scadente (sembrano una presentazione di PowerPoint), ma anche poco significative e dall’arbitrario valore artistico; anche un paio di trovate della regia non ci paiono persuasive – nella fattispecie: la presenza di un mimo silenzioso (Monique Arnaud) in abito tradizionale che durante alcune scene compare per danzare, o muovere oggetti, non sempre in maniera godibile, mai in maniera comprensibile per il pubblico; e l’uso di proiezioni dietro i paraventi, belle e di tradizione, ma che, ad esempio, anticipano al pubblico la presenza del piccolo Dolore (che, invece, molto presumibilmente, negli intenti originali dovrebbe rappresentare il colpo di scena del secondo atto). Inoltre la regia in quanto tale è troppo statica rispetto alla ricchissima drammaturgia musicale di Puccini: spesso i cantanti sono immobili, si osservano, a volte aspettano chiaramente di cantare, ma la cosa forse più stonata è il chiarissimo disagio durante il duetto d’amore del primo atto, in cui Pinkerton e Cio-Cio-San a malapena si toccano (in barba ai vari “Sei mia” e “Ti tengo”), cantandosi semplicemente addosso in maniera un po’ straniante. Insomma, la netta sensazione è che la regia sia composta di elementi slegati tra di loro, senza tener del giusto conto di ciò che Giacosa e Illica, ma soprattutto Puccini, hanno lasciato scritto.