Napoli, Teatro Bellini: “La Grande Magia”

Napoli, Teatro Bellini, Inaugurazione Stagione 2024/2025
“LA GRANDE MAGIA”
Commedia in tre atti di Eduardo De Filippo
Calogero Di Spelta NATALINO BALASSO

Otto Marvuglia MICHELE DI MAURO
Amelia Recchia VERONICA D’ELIA
Mariano D’Albino e Brigadiere di P. S. GENNARO DI BIASE
Arturo Recchia e Gregorio Di Spelta CHRISTIAN DI DOMENICO
Signora Marino e Rosa Di Spelta MARIA LAILA FERNANDEZ
Gervasio e Oreste Intrugli ALESSIO PIAZZA
Cameriere dell’albergo Metropole e Gennaro Fucecchia MANUEL SEVERINO
Zaira, moglie di Marvuglia SABRINA SCUCCIMARRA
Marta Di Spelta e Roberto Magliano ALICE SPISA
Signora Zampa e Matilde, madre di Di Spelta ANNA RITA VITOLO
Regia Gabriele Russo
Scene Roberto Crea
Luci Pasquale Mari
Costumi Giuseppe Avallone
Musiche e Progetto Sonoro Antonio Della Ragione
Produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Biondo Palermo, Emilia Romagna Teatro ERT/ Teatro Nazionale

Napoli, 18 ottobre 2024
Eduardo De Filippo, nel 1948, scandalizza il mondo teatrale, proponendo un testo dal carattere vistosamente «rivoluzionario»: La grande magia – attraverso cui sconvolge le convenzioni stilistiche e formali della consueta letteratura drammatica, ponendo così se stesso «al di là» anche della sua produzione drammaturgica. Un testo, dunque, che potremmo definire come «poeticamente realistico»: una definizione, almeno nominalmente, inafferrabile e «contraddittoria» – ma, per dirla con Pasolini, le «contraddizioni» sono necessarie, soprattutto se «strutturali»: La grande magia è una macchina narrativa inarrestabile, una commedia strutturalmente frammentaria, un sistema di simbolistiche «contraddizioni», regolamentate – però – attraverso una scrittura netta e poetica, schematicamente espressiva: Eduardo, dunque, innesta in un quadro fortemente realistico – «neorealistico», se vogliamo – e popolare la tematica del «soprannaturale», rappresentata dalla figura del mago Otto Marvuglia. Un’operazione che potremmo definire «shakespeariana», non nuova per Eduardo (già nel ’46, con Questi fantasmi!, il drammaturgo confonde uomini e spettri, frammenti di vita effettiva e fatti favolistici), ma questa volta conduce l’escamotage a estreme conseguenze: il mago Marvuglia consegna all’affranto e dispotico marito, Calogero Di Spelta (moralistico portavoce del mitizzato, ma feroce, decoro borghese), una scatola entro cui afferma d’aver sigillato la moglie, Marta, scappata invece con l’amante. Un trucco di magia parossisticamente comico, a cui l’uomo è «costretto» fermamente a credere, rifiutando aprioristicamente l’eventuale esistenza d’una realtà «altra da sé» o l’eventuale elemento scandaloso (il tradimento, in questo caso) che andrebbe a «rivoluzionare» la perfezione formale della «norma» borghese. L’evento magico, al Bellini, viene inquadrato entro un progetto registico potentemente «espressivo», curato da Gabriele Russo; una «vivacità» narrativa che conduce a conseguenze estreme gli elementi narrativi e i dati, prevalentemente pirandelliani, che determinano contenutisticamente non soltanto questa commedia, ma tutta la produzione drammaturgica eduardiana: la frantumazione dell’istituzione della famiglia, l’alienante mediocrità borghese e la frustrante repressione d’impulsi e inclinazioni. La messinscena, almeno esteriormente, presenta una forma narrativa preminentemente unitaria e continua – nonostante la presenza d’inevitabili transizioni da un atto all’altro, perfettamente innestate entro la cornice narrativa, perché investite d’una funzione altamente «poetica»: assumono la forma di brevi momenti d’irrazionalistica e tragica sospensione; brevi incisi dal carattere fortemente onirico e sognante – determinati dalle suggestive atmosfere sonore di Antonio Della Ragione. Ma la forma unitaria esteriore pone se stessa in netta «contraddizione» con la struttura interna potentemente frammentaria: scene di vita realistica interrotte da momenti surrealistici, caratterizzati da parossistiche connotazioni linguistiche. Ciò riguarda, però, soprattutto i personaggi «secondari», perché i due protagonisti Otto Marvuglia e Calogero Di Spelta (interpretati, rispettivamente, da Michele Di Mauro e Natalino Balasso) incarnano metaforicamente la drammaticità della vita. La povertà è il dato in cui risiede la disperazione, sia pure coscientemente comica, del mago Marvuglia, interpretato da Di Mauro in un modo graziosamente «vignettistico» e «fumettistico». Attraverso un tono scherzoso (soprattutto nelle frasi in lingua napoletana), un’astuta galanteria e un atteggiamento graziosamente «vanitoso», l’attore garantisce al mago una balenante allegria e una concreta inventiva linguistica, determinata da stabilità espressiva e da immediate, ma realistiche, variazioni tonali. Natalino Balasso, invece, offre un ritratto del suo Calogero Di Spelta drammaticamente «veristico»: improvvise variazioni d’intonazione e un linguaggio infantilmente «esitante» rappresentano i sintomi di una condizione emotiva autopunitiva e amara, in cui l’affranto marito è costretto; uno stato irrimediabilmente nevrotico, determinato da un degradante sentimento d’impotenza e da un nostalgico sentimentalismo. I personaggi «secondari» (la definizione è puramente convenzionale) assumono coralmente un linguaggio umoristicamente «artefatto»; un linguaggio che procede speditamente, accompagnato e sostenuto da un altro linguaggio, quello gestuale, determinato da un’espressività estrema, ritmicamente irrealistica: paiono figure provenienti da un mondo «altro», impalpabile e irrisolto: il mondo interiore dei due protagonisti. Ottimi, dunque, tutti gli attori – avvolti, peraltro, negli appropriati costumi di Giuseppe Avallone: Veronica D’Elia (Amelia Recchia), Gennaro Di Biase (Mariano D’Albino e Brigadiere), Christian di Domenico (Arturo Recchia e Gregorio Di Spelta), Maria Laila Fernandez (Signora Marino e Rosa Di Spelta), Alessio Piazza (Gervasio e Oreste Intrugli), Manuel Severino (Cameriere dell’albergo Metropole e Gennaro Fucecchia), Sabrina Scuccimarra (Zaira, moglie di Marvuglia), Alice Spisa (Marta Di Spelta e Roberto Magliano), Anna Rita Vitolo (Signora Zampa e Matilde, madre di Di Spelta). Anche la struttura scenica, progettata da Roberto Crea, esprime – attraverso la potenza comunicativa delle cose e degli oggetti – la tragica e comica vitalità tipica della scrittura eduardiana: riproduce, in modo poeticamente «stilizzato» e colorato, gli spazi entro cui accadono i fatti, romanticamente illuminati da Pasquale Mari: un giardino (quello dell’albergo Metropole), le stanze dell’estrosa casa del mago Marvuglia e del freddo appartamento di Di Spelta. Un pubblico, particolarmente numeroso ed entusiasta, ha positivamente accolto l’opera che, forse, stava – e sta – più a cuore al suo grande ed eterno papà, Eduardo De Filippo. Foto Flavia Tartaglia