Milano, MTM – Teatro Litta: “La Casa di Bernarda Alba”

Milano, MTM – Teatro Litta, Stagione 2024/25
“LA CASA DI BERNARDA ALBA”
di Federico García Lorca

Bernarda Alba ANNA PIMPINELLI
Poncia ALESSIA VALFRÈ
Angustias ISABELLA ZANGHERI
Martirio MARIA CHIARA VITA
Magdalena NICOLE GUARISCHI
Amelia/Maria Josefa DANILO LORENZETTI
Adela ARIANNA PIAZZA
Drammaturgia e Regia Susanna Baccari e Antonio Syxty
Scene e Costumi Francesca Biffi

Disegno luci Fulvio Melli
Produzione Manifatture Teatrali Milanesi
Milano, 8 ottobre 2024
Il team creativo altamente professionale che la guida, fa de “La casa di Bernarda Alba“ ora in scena presso il Teatro Litta di Milano un’effettiva produzione in stagione, sebbene gli interpreti siano i diplomati della celebre scuola “Quelli di Grock“ di quest’anno: il lavoro che è stato fatto su ogni aspetto di questo spettacolo pertiene infatti riconoscibilmente al livello dei teatri milanesi, nel bene e nel male. Si apprezza senza dubbio la scarna scenografia di Francesca Biffi, percorsa da funi che si annodano a pietre posate sul palco; si apprezza il disegno di luci di Fulvio Melli, a volte molto ardito nel giocare con le ombre, ma che senza dubbio contribuisce a una chiara comunicazione del testo e delle sue atmosfere; si apprezza moltissimo il sonoro curato da Susanna Baccari, che pur essendo costante non invade mai la parola, ma la corona, con suoni ambientali, naturali, talvolta di forte impatto (come il temporale sul finale); si apprezzano, per quanto forse eccessivamente generici, anche i costumi (sempre a cura della scenografa), che rifuggono qualsivoglia folklore per aderire a una forma pulita di bianchi naturali e neri coprenti; si apprezza qualche interpretazione, due soprattutto, quelle di Isabella Zangheri nei panni di Angustias e di Maria Chiara Vita nei panni di Martirio: quest’ultima fornisce una resa piuttosto tradizionale ma ben plasmata della “sorella cattiva“, giocata su un buon equilibrio tra gestione del corpo e vocalità, mentre la Zangheri sorprende per lo spessore che è in grado di conferire a uno dei personaggi meno amati di questo dramma, e così la brutta zitella lamentosa si trasforma in una donna appassionata in grado di comunicare i suoi disagi tramite un sapido gioco di mezze tinte. Il resto dello spettacolo, ahinoi, si muove su una gamma che va dal “non memorabile” al “memorabile suo malgrado“, e questo perlopiù per una serie di scelte poco oculate, da attribuire ai registi Susanna Baccari e Antonio Syxty: in primis il testo, che necessita ragionevolmente di nove attrici, qui piegato alle esigenze di sette interpreti, di cui uno maschile, per giunta utilizzato in maniera imperscrutabile; questo testo, inoltre, richiederebbe tutte interpreti pienamente formate alla luce dell’esperienza drammatica, non del semplice studio: questo rende piuttosto incolore l’interpretazione della maggior parte delle ragazze, tutte peraltro caratterizzate da una chiara inflessione lombarda nel parlato, e tutte anelanti nel mostrare il poco che ancora possono tirare fuori da questi personaggi tanto complessi; un esempio su tutti è la performance di Anna Pimpinelli nei panni della protagonista, una prova senza dubbio onerosa che la corposa voce e la fisicità attraente dell’attrice supportano bene, ma tuttavia manchevole di una gestione a tutto tondo di questo promettente materiale , che alterna momenti di grande tensione e consapevolezza ad altri di meno coraggiosa presenza. La seconda scelta troppo opinabile è proprio quella di creare una regia tendenzialmente realistica con un intermezzo velleitariamente simbolizzante come quello di Maria Josefa, che compare (interpretata da Danilo Lorenzetti) con una maschera da pecora, muovendosi su un basso carrello e parlando in lingua spagnola – con un’imbarazzante flessione italiana della dizione castigliana: in breve, un pasticcio senza senso apparente, che trasforma il sottilissimo lirismo popolare marcato di stralunata tragicità del personaggio in una cifra grottesca e cervellotica francamente irricevibile. Altro tasto veramente dolente è la scelta delle musiche, caduta sulla versione attuale del ricchissimo (e abusatissimo) patrimonio ispanico interpretato da Estrella Morente – artista validissima, ma Garcia Lorca non è Almodovar, e il ricorso a certi pezzi fa riferimento a un’idea di Spagna piuttosto stereotipata; inoltre lo stesso García Lorca era compositore, e le sue molte amicizie all’interno dell’avanguardia neopopolare avrebbero potuto ispirare un commento musicale meno scontato e più rispettoso del milieu culturale di cui il testo si nutre. Infine, la natura di alcune trovate sceniche – soprattutto circa l’uso del corpo – è eminentemente laboratoriale/scolastica, e non aggiunge nulla a quello che vediamo, anzi smorza un po’ la tensione, come straniando il pubblico dal coinvolgimento emotivo per dirgli “abbiamo fatto l’accademia”. Insomma, la sensazione generale è dunque quella di uno spettacolo dalle molte pecche, ma che in alcuni momenti trova un flash di particolare intensità ed ispirazione, come una magnifica bestia ferita che non si arrende al suo destino.