Madrid, Teatro Real, Temporada 2024-2025
“ADRIANA LECOUVREUR”
Opera in quattro atti su libretto di Arturo Colautti, basato sull’opera teatrale omonima di Eugène Scribe ed Ernest Legouvé
Musica di Francesco Cilea
Adriana Lecouvreur ERMONELA JAHO
Maurizio di Sassonia BRIAN JADGE
Principe di Bouillon MAURIZIO MURARO
Principessa di Bouillon ELINA GARANCA
Michonnet NICOLA ALAIMO
Quinault DAVID LAGARES
Poisson VICENÇ ESTEVE
Mademoiselle Jouvenot SYLVIA SCHWARTZ
Mademoiselle Dangeville MONICA BACELLI
Abate di Chazeuil MIKELDI ATXANLANDABASO
Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real
Direttore Nicola Luisotti
Maestro del Coro José Luis Basso
Regia David McVicar
Scene Charles Edwards
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Luci Adam Silverman
Coreografia Andrew George
Coproduzione Royal Opera House, Gran Teatre del Liceu de Barcelona, Wiener Staatsoper, Opèra national de Paris e San Francisco Opera
Madrid, 29 settembre 2024
Adriana Lecouvreur non è mai stata rappresentata prima d’ora al Teatro Real di Madrid. Eppure, esattamente cinquant’anni fa, il Teatro de la Zarzuela propose due recite di un allestimento diventato leggendario, con Montserrat Caballé e José Carreras. Appunto al tenore catalano, che tra poco compirà 78 anni, è dedicata la sontuosa coproduzione che inaugura la stagione del massimo teatro madrileno. Lo spettacolo di David McVicar e Nicola Luisotti, che firmano rispettivamente regia e direzione musicale, è molto riuscito e coerente perché si basa su di una buona interazione tra idea scenica e idea musicale. Uno studio attento del libretto permette al regista di ricavare le implicazioni spaziali della narrazione, fisiche o simboliche, grazie a una scena costantemente formata da un palcoscenico, un boccascena mobile, visto ora dal davanti ora dal di dietro, con prospettive variabili. Oltre ad enfatizzare la dimensione “teatrale”, McVicar evita qualunque facile applicazione del metateatro; al contrario, l’eleganza neoclassica delle scene di Charles Edwards fa stridere ancor di più il contrasto con l’infelicità dei personaggi, che oscillano tra la commedia galante e la tragedia. Il momento scenico musicalmente più riuscito è quindi il III atto, in cui McVicar si concentra su quello che qualunque altro regista di oggi trascurerebbe: un allestimento coreografico perfettamente fedele alle indicazioni di Colautti, con Il giudizio di Paride intonato dai deliziosi numeretti musicali di Cilea, un’estetica da Indes galantes sul palcoscenico interno (tutti magnifici i costumi di Brigitte Reiffenstuel), mentre il chiacchiericcio di casa Bouillon prende poco a poco il sopravvento … I tersicorei reclamano invano l’attenzione del loro pubblico, che torna a osservare la scatoletta teatrale soltanto quando vi entra Adriana, per vendicarsi della rivale seduta in platea, e con un vettore linguistico antico (per non dire desueto: Racine al servizio di un melodramma). Ma tutto questo – si potrebbe domandare – è davvero degno della massima serietà, come lo tratta McVicar? Altri coglierebbe lo spunto fatuo o ridicolo della situazione, insistendo sulla frivolezza della commedia; in tal modo, però, si tradirebbe l’orientamento narrativo dell’opera, che va verso la tragedia (come conferma il tema di apertura del IV atto, autentica disperazione in musica). È un peccato che la complessità dell’idea registica sia condivisa soltanto in parte dagli interpreti musicali. La stessa direzione di Luisotti, pur molto attenta alle dinamiche e ai contrasti timbrici, si compiace più che altro dell’enfasi drammatica, senza accorgersi di trasformare a volte la partitura in una sinfonia un po’ troppo fragorosa. Nel ruolo della protagonista, Ermonela Jaho è invece impegnata a presentare un’Adriana coraggiosa e fragile al tempo stesso, complessa e assai poco “primadonna”: è certamente espressiva e convincente, in particolare nei momenti elegiaci (Poveri fiori nell’ultimo atto), anche se la dimensione dell’attrice tragica risente di qualche difficoltà nella pronuncia e nel fraseggio. A un registro basso debole e difforme, corrisponde per antifrasi la ricerca di filature e pianissimo nelle note acute (il genius loci della Caballé continua a sortire effetto), che al pubblico di Madrid piace senz’altro. Elīna Garanča è magnifica come Principessa di Bouillon: dopo lo scoglio “a freddo” di Acerba voluttà la voce si riscalda nel corso dei duetti, raggiungendo la consueta coerenza di timbro e varietà di colori. Il tenore Brian Jadge tende ad affidare la riuscita della sua prestazione al volume della voce, anche a costo di evidenti forzature: il suo Maurizio assomiglia troppo a un Canio o un Turiddu (i modelli vocali da cui Cilea rifuggiva); fraseggio, vibrato, capacità di alleggerire il suono, sono sostituiti in Jadge da una costante pressione del diaframma, con l’obbiettivo di esibire cavata imponente e messe di voce prolungate (che effettivamente impressionano il pubblico, suscitando anche applausi a scena aperta). Lo aiuta una tecnica apprezzabile, anche se applicata a un timbro vocale privo di qualunque attrattivo o elemento originale. Nicola Alaimo è un Michonnet molto efficace, di cui si apprezza soprattutto la dizione sgranata e chiarissima. Il basso Maurizio Muraro e il tenore Mikeldi Atxanlandabaso danno voce rispettivamente al Principe di Bouillon e all’abate di Chazeuil, entrambi con un porgere garbato e discreto. Se Michonnet dice che alle disgrazie della vita, in fondo, ci si abitua, continuando a campare, il messaggio di Adriana è un altro: tentare di elevarsi al di sopra di tutte le miserie grazie all’arte e alla sua ebbrezza. Per questo, nella scena ormai buia, i personaggi del Bajazet tornano ad affacciarsi dall’alto del palcoscenico, per inchinarsi di fronte all’artista spirata. Ars longa, vita brevis, imparavano gli attori della Cómedie Française. Foto Javier del Real © Teatro Real de Madrid