Louise Bertin (1805 – 1877): “Fausto” (1831)

Opera semiseria in quattro atti su libretto di Louise Bertin. Karine Deshayes (Fausto), Karina Gauvin (Margarita), Ante Jerkunica (Mefistofele), Nico Darmanin (Valentino), Marie Gautrot (Catarina), Diana Axentii (Strega /Marta), Thibault de Damas (Wagner /Banditore). Les Talens Lyriques, Flemish Radio Choir, Thomas Tacquet (maestro del coro), Christophe Rousset (direttore). Registrazione:  La Seine musicale, Parigi, 15-18 giugno 2023 2 Cd Fondazione Palazzetto Bru Zane – Opéra français 38.
Le donne hanno giocato un ruolo non secondario ai primordi dell’opera – si pensi a Francesca Caccini –ma è innegabile che il loro spazio si è via via sempre più ristretto per raggiungere forse il suo minimo nel XIX secolo quando con l’emergere della cultura borghese il ruolo femminile nell’arte è quasi annullato.
Louise Bertin è un caso emblematico di un talento la cui carriera è stata stroncata dal pregiudizio. A differenza di molte altre ragazze Louise non ebbe opposizioni famigliari alla sua carriera. Il padre Louis-François Bertin figura di spicco del giornalismo francese del tempo, tra le firme più autorevoli del “Journal des débats”, fu sempre al fianco della figlia e l’ambiente domestico quanto mai stimolante – si pensi alla frequentazione dei Bertin con Berlioz.
Il “Fausto” andato in scena nel 1831 fu però oggetto di stroncature se non di autentici sberleffi da parte della stampa specializzata. Il soggetto fu ritenuto inadatto alla “gentilezza dell’immaginazione di una donna” e addirittura accusata di avere un talento che “non ha nulla di femminile” come se questo fosse una nota di demerito. L’opera non riuscì a superare una sola recita e a lungo la stessa partitura è stata ritenuta perduta e solo di recente il manoscritto è stato ritrovato presso la Bibliotèque National.
Il clima contro la Bertin non mutò negli anni seguenti, il debutto all’Opéra nel 1836 con “La Esmeralda” (con libretto scritto personalmente da Victor Hugo) fu oggetto di accuse di nepotismo spingendo la musicista poco più che trentenne ad abbandonare il palcoscenico.
La riscoperta della partitura autografa del “Fausto” e la seguente incisione dell’opera permettono finalmente di dare alla Bertin tutti i suoi meriti. Alle prese con il titanico soggetto del “Faust” di Goethe non si mostra intimorita e lo affronta con taglio originale e molto personale. Coltissima nonostante la giovane età – nel 1831 aveva solo venticinque anni – scrive personalmente il libretto – in italiano – recuperando alcune scene solitamente ignorate del dramma goethiano – come l’antro della strega in cui Faust viene ringiovanito – e modificando l’insieme in una visione molto coerente. Tolto il citato episodio questa versione espunge tutta la componente soprannaturale per concentrarsi nel travaglio intimo di Margarita. Centrale nella visione della Bertin è il tema dell’ostracismo sociale di cui la ragazza e vittima. Particolarmente efficacie la scena della chiesa dove il contrasto non è con lo spirito dannato/Mefistofele ma con i pettegolezzi delle donne del paese, il senso di un male che non procede da colui che ne sarebbe il naturale depositario ma da chi sentendosi nel giusto implacabilmente condanna coloro che sono usciti dal perbenismo dominante.
La musica mostra una cultura profonda e uno studio approfondito e se qualche manierismo si nota è più che giustificabile considerando età e inesperienza della compositrice. La destinazione dell’opera per il Théâtre-Italien mette ovviamente in evidenza i richiami alla stagione del belcanto italiano riconoscibili nella vocalità non scevra da passaggi virtuosistici, nella scelta di una protagonista en travesti per il ruolo di Faust, nell’uso seppur non rigoroso ei modelli formali del genere. Si ascolti al riguardo la bell’aria tripartita di Faust nel IV atto, perfettamente organizzata secondo la “solita forma” italiana. Questi modelli non sono però i soli. Mozart aleggia come uno spirito guida sulla partitura, emerge in alcuni momenti e in alcune figure – Mefistofele sembra spesso ondeggiare vocalmente e interpretativamente tra Don Giovanni e Leporello – e nell’uso fortemente espressivo dei recitativi. Si riconoscono una sensibilità romantica non aliena dalla conoscenza di Weber, gli sperimentalismi dell’amico Berlioz, qualche eco di Meyerbeer – si consideri che “Robert le diable” precede solo di qualche mese la prima del “Fausto”.
La riuscita dell’operazione molto deve alla direzione di Christophe Rousset che profondamente crede in questa partitura e riesce a farla splendere al miglior grado. Con la sensibilità sviluppata in un’ultra decennale esperienza di esecuzioni filologiche legge il repertorio ottocentesco con lo stesso rigore e la stessa freschezza delle sue esecuzioni barocche. Letture pulitissime, nitida e rigorosa capace di evidenziare la ricchezza che si cela sotto l’apparente semplicità della scrittura. Si apprezzano le sonorità terse e luminose, l’agogica marcata ma mai eccessiva, la cura di un’espressività intensa ma mai eccessivamente melodrammatica. Strumento perfettamente costruito sulla sua sensibilità musicale Les Talens lyriques non possono che adagiarsi come seta preziosa sulla lettura direttoriale così come sempre la prova del Flemish Radio Choir, assoluta certezza nel repertorio francese dall’età barocca al primo romanticismo.
Ottimamente assortita la compagnia di canto con una particolare menzione per la qualità della dizione, veramente ammirevole tanto più in presenza di interpreti non di madrelingua italiana. Karine Deshayes è un Fausto dal bel timbro e dall’impeccabile musicalità. Vocalmente sicura su tutta la gamma canta supera tutte le difficoltà della parte – che spesso si concede squarci belcantisti – senza mai perderne di vista il tono elegantemente appassionato. La cavatina dove leggerezza e volontà di morte si fondono alla perfezione e la grande scena del IV atto sono i momenti di maggior impatto ma non si può non ammirare il lirismo quasi belliniano dei duetti con Margareta. Quest’ultima è una Karina Gauvin che unisce temperamento al calor bianco e souplesse da autentica belcantista con cui affronta una tessitura assai ampia non certo agevole. La scena della chiesa colpisce per l’intensità dell’accento.
Il croato Ante Jerkunica è un Mefistofele assai ben cantato e interpretativamente molto efficacie nel cogliere un malvagio dal carattere ironico e sornione, capace di nascondere la malvagità sotto un tono bonario e amichevole ancor più pericoloso. Nico Darmanin, giovane tenore maltese apprezzato come Almaviva a Torino, è un Valentino dallo squillo facile e sicuro rendendo giustizia a una parte scomoda e alquanto ingrata. Complessivamente valide le parti di contorno.