Nell’ampio ingresso del Teatro Regio, circondati dalle enormi vetrate con cui l’architetto Mollino ha portato la città dentro al Teatro, seduti amichevolmente sui divanetti della hall e che con il soffice pavimento cremisi attenuano brusii e scalpiccii, nell’intervallo del recente Trittico torinese, dopo la sua fatica in Tabarro, rubiamo quattro chiacchiere veloci ed amichevoli al tenore senese Samuele Simoncini.
Benvenuto a Torino, Samuele per questo ritorno nel Tabarro. Hai conquistato il pubblico torinese. È stata assai lunga la tua assenza, dopo l’exploit in Manrico del Trovatore nel 2018.
Si, ricordo che fui chiamato 9 giorni prima di iniziare le prove, mentre ero in Giappone a cantare Tosca. Mai cantato il ruolo di Manrico prima. Studiai tutta la parte in quei pochi giorni. Sfruttavo i tempi morti della produzione, fu certamente un bel debutto!
Di te ignoravamo tutto. Cosa c’era stato prima?
Avevo già debuttato Chénier, Iris e Cavalleria di Mascagni. Con questi ruoli e Cavaradossi ero già entrato di forza nel grande repertorio del tenore lirico spinto e, se vuoi, drammatico.
Maestri?
Ho studiato per lo più con Angelo Bertacchi dal quale ho imparato una tecnica formidabile, che purtroppo non insegna più nessuno e che mi ha anche consentito di affrontare l’eroismo giovanile di Manrico. Poi con Laura Brioli, ho consolidato la vocalità drammatica.
Ma gli inizi?
Fin dai banchi delle secondarie avevo la passione del canto e mi ero dato al pop. Finito il liceo, mi sono presentato per una selezione a Sanremo dove mi è stato consigliato di studiare canto seriamente e di provare col repertorio tenorile. E così ho fatto.
E poi?
Nel 2010 dopo molta provincia, come Ernesto, (non stupirti!), del Don Pasquale, mi ritrovai con qualche problema tecnico, sentivo che la voce era come costretta, non libera di fluire nel modo giusto, per cui decisi di prendermi una pausa. Mi capitò l’opportunità di portare un One Man Show in giro per il mondo, sulle grandi navi da crociera. Mi sono così esibito per cinque anni, come una popstar, di fronte a decine di migliaia di persone. In quegli anni, anche per me, se mi posso permettere l’espressione verdiana, “di galera” ho risistemato la tecnica. Un duro sforzo fisico e psicologico in uno studio quotidiano per poter affrontare con sicurezza il repertorio che mi ero prefissato.
Quali erano i ruoli a cui miravi e, se c’erano, i modelli a cui guardavi?
Ho debuttato ormai quasi tutto il grande repertorio drammatico. Ancora mi aspettano Dick Johnson e Des Grieux e poi Otello. Questo è il ruolo a cui ho sempre guardato con grande rispetto e timore e credo che continui a rappresentare l’aspirazione massima di ogni Tenore Drammatico. È difficile e pericoloso attenersi a dei modelli, visto che ognuno di noi è particolare sia psicologicamente che fisicamente, ho comunque sempre molto ammirato il canto e le interpretazioni di Giuseppe Giacomini.
Torniamo all’oggi e al Teatro Regio. Azzardato il salto dal Manrico del ’18 al Luigi del ’24?
Forse! Ma per me è stato naturale continuare e perseverare nel mio lavoro costante nella respirazione che ritengo essere il vero fulcro della mia tecnica. Con queste premesse posso affrontare senza affanni molti ruoli ritenuti pesanti e borderline.
Le esperienze all’estero?
Lo scorso anno ho cantato molte recite di Aida a Copenhagen e poi Tosca in alcuni teatri francesi. All’estero ho sempre trovato molta serietà e puntualità, l’artista viene tenuto sempre in grande considerazione. Prossimamente tornerò nei teatri di Angers e Nantes col Piccolo Marat di Mascagni.
In Wagner, Mussorgskij, Tchajkovski c’è molto per un tenore dalle tue caratteristiche. Non hai mai pensato di poterli affrontare?
Chi mi pone questa domanda, e non è stato il solo, mi ha incitato più volte a provare anche col repertorio tedesco. E’ un repertorio che, per la lingua, ho sempre guardato con timore. Non l’ho mai praticato nemmeno come ascoltatore ma vedrò di provarci a rendermelo più famigliare. Per me finora solo due ruoli in lingua straniera; Tamino nel Flauto di Mozart e Don José in Carmen. Considero la cura della dizione un passaggio fondamentale dello studio: anche coi miei allievi ne accentuo l’importanza. Soffro assai quando sono in scena con colleghi stranieri che hanno un italiano approssimato, con accenti e vocali eterodosse. Probabilmente è anche questa sensazione di malessere che mi tiene lontano dal repertorio straniero, non vorrei fornire occasioni di critica ed imbarazzo.
Hai forse in vista anche una ripresa di un repertorio più lirico che ti porti, ad esempio per il Trittico, non solo a Luigi ma anche a Rinuccio?
In passato ho cantato diverse volte il Rinuccio dello Schicchi ma finora mai nella stessa sera con Luigi. Nell’autunno prossimo, il mio amico Luca Canonici debutterà nella regia del Trittico e mi ha proposto di cantare entrambi i ruoli (come nella storica prima del Trittico al Met). Potrei cantare tranquillamente anche ruoli più lirici ma quando uno entra in un cliché difficilmente ne esce, o meglio: gli permettono di uscirne. Ernani, Gabriele Adorno e Idomeneo li vorrei proprio portare in palcoscenico, spero che me li propongano.
Gli impegni della carriera: studio, viaggi e permanenze fuori casa, ti son d’affanno o va bene così ?
È innegabile che si soffra la lontananza delle persone care dovendo rimanere fuori per lavoro… ma fa parte della professione e chi ci sta accanto si deve abituare alle nostre assenze. La mia Aida ( favoloso bracco weimaraner ) ogni tanto mi segue negli spostamenti ma, raramente per fortuna, i cani non vengono sempre accettati negli appartamenti che si affittano e deve rimanere a far compagnia alla mia mamma e scorrazzare in terra toscana.
Terra Senese! Samuele sei anche un appassionato contradaiolo?
Certamente! Porto il mio Nicchio nel cuore. Nei cinque minuti dei della corsa non respiro.
GBopera ti ringrazia molto per questo incontro ed io mi auguro di rivederti prossimamente anche in questo teatro, magari con Ernani e Idomeneo. Intanto, in bocca al lupo per il prossimo Piccolo Marat a Nantes e Angers (il 2 e 3 ottobre a Nantes e il 5 ottobre a Angers)