Genova: “Il giro di vite” da Henry James a Benjamin Britten

Genova, Teatro Ivo Chiesa & Opera Carlo Felice
“ IL GIRO DI VITE” / “THE TURN OF THE SCREW
Dal racconto di Henry James, traduzione e adattamento di Carlo Sciaccaluga.
Istitutrice LINDA GENNARI
Mrs. Grose GAIA APREA
Peter Quint ALEPH VIOLA
Miss. Jessel VIRGINIA CAMPOLUCCI
Miles LUIGI BIGNONE
Flora LUDOVICA IANNETTI
Musiche Giua
Nuova produzione del Teatro Nazionale di Genova in collaborazione con la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova.
Opera in un Prologo e due atti su libretto di Myfanwy Piper da Henry James.
Musica di Benjamin Britten
Quint VALENTINO BUZZA
The Governess KAREN GARDEAZABAL
Miles OLIVER BARLOW
Flora LUCY BARLOW
Mrs.Grose POLLY LEECH
Miss Jessel MARIANNA MAPPA
Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore
Riccardo Minasi
Regia Davide Livermore
Scene Manuel Zuriaga
Costumi Mariana Fracasso
Luci Nadia Garcia, Antonio Castro
Nuovi produzioni del Teatro Nazionale di Genova e della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova dalla produzione del Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia.
Genova 13 ottobre 2024.
Il racconto gotico di Henry James, con la regia comune di Davide Livermore, è riuscito, in una serata dalla durata wagneriana, ad accumulare, nella sede del Teatro Ivo Chiesa, le inaugurazioni della stagione 2024 – 2025 delle due più importanti istituzioni culturali della città: il Teatro Nazionale e il Carlo Felice. Il testo originario di James naviga nell’indistinto, Sciaccaluga lo costringe a un eccessivo naturalismo. Nella voce e nell’espressione dell’Istitutrice, che ne è l’indubbia protagonista, tranne il non osare a dar nome ai fattacci accaduti a Bly, tutto è reale e tangibile ed esplicito. I fantasmi, in James, non parlano e si mostrano solo furtivamente, qui, anche loro hanno voce e incrementano la percezione di un racconto assai concreto e fattuale. Tutti possiamo ben indovinare quali siano gli “atti impuri” che troppo ossessionano le due donne di casa e lasciano assolutamente indifferente, ma lui è un uomo di mondo, il giovane tutore, solitario nella sua casa di Londra. I bravissimi attori sono stati apprezzati e applauditi dal foltissimo pubblico intervenuto al Teatro Ivo Chiesa. La regia di Davide Livermore è la chiave del successo della recita e il fattore unificante con l’opera di Britten pur così divaricata rispetto alla prosa d’avvio. L’esecuzione, in un atto unico di quasi due ore, del Turn of the screw, ha goduto dell’eccentrica ed eccellente interpretazione dal Maestro Riccardo Minasi. L’opera inizia, forse per compiacere al protagonismo di Peter Pears, prim’attore e compagno dell’autore, con un evanescente e inutile Prologo, inserito in un secondo tempo a composizione ormai compiuta. Segue il tema, una paginetta cardine, in cui vengono sciorinate, in sequenza ben calibrata, le dodici note della scala cromatica, che porterebbero a una composizione dodecafonica dall’inevitabile atmosfera espressionista. Ma ciò non avviene: temi popolari, canzoncine infantili, Purcell e Dowland, onnipresenti in Britten, i timbri sfumati delle percussioni orientali e le ultraterrene lamine della celesta di Antonella Poli, ci portano a un inedito Britten simbolista, post-Debussy. Anche le voci vengono calibrate da Minasi sul percorso dell’ “inchiostro sbiadito”, citato dal prologo, che le fa galleggiare in un indistinto ma comprensibile fluttuare di timbri che mescolano memoria, incubo, vivacità e angoscia. Ci convinciamo che Karen Gardeazabal, l’Istitutrice, per accordarsi alla temperie orchestrale e alle volontà di Minasi, faccia impallidire ad arte la sua voce. Siamo pure indotti a sospettarla di eccessiva debolezza dello strumento, quando all’improvviso, in un finale formidabilmente potente, ci sorprende con una forza inattesa. I due fanciulli Miles e Flora, rispettivamente Oliver e Lucy Barlow, recitano da provetti piccoli attori e rendono così reali le loro figure attraverso infantili tiritere che la sola maestria di Britten fa premonitrici e credibili. Polly Leech, Mrs. Grose, l’anziana governante, l’unica con i piedi per terra, che ben sa che nessun peso è da darsi né agli amorazzi ancillari tra domestici né agli “atti impuri” dei minorenni, canta e recita con una sorvegliatissima naturalezza che non contrasta l’orchestra, tenuta da Minasi sul filo di rasoio del “fairy tale”. Marianna Mappa, Miss Jessel, è una presenza pallida, qui, appartata, recita magnificamente la parte di amante frustrata e insoddisfatta. Quint, il quasi desnudo Valentino Buzza, cantante con recitativi assai efficaci, conferma e valorizza l’emarginazione che il suo personaggio subisce in questa produzione. I melismi incantatori sul nome “Miles”, perfettamente eseguiti, si accordano magnificamente con i legni che li sottendono. I fatti sono comunque assolutamente secondari, come i personaggi cantanti; l’atmosfera è predominante ed è creata dai timbri cangianti dal fantastico supporto strumentale fornito da una ventina di elementi dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice. Non si poteva trovare una scenografia più adatta alle due piéces di quella, grigia claustrofobica, ossessivamente invasa da rincorrenti decori floreali, creata da Manuel Zuriaga. Le luci di Nadia Garcia e Antonio Castro generano poi ombre inquietanti che si prendono la scena. I costumi di Mariana Fracasso completano una parte visiva di assoluta distinzione. A Davide Livermore, oltre all’eccellente livello registico, vorremmo riconoscere un coup de theatre e uno humor assolutamente sopra le righe: nel finale Miles urla a Peter Quint, che alla creazione dell’opera alla Fenice il 18 settembre 1954, era Peter Pears, Peter Quint, you devil!” per poi piombare fulminato al suolo. Qui non muore ma lo si rivede placidamente addormentato sotto un piumino, in un letto appeso alla parete di fondo: forse fu tutto un poetico sfogo di ripetuti battibecchi famigliari, testimoniati peraltro dai molti amici che frequentavano la coppia Britten-Pears. Notevole l’afflusso di pubblico, il Teatro Ivo Chiesa, dalla capienza di molto inferiore all’enorme Carlo Felice, era stracolmo e non ha mostrato defezioni neppure nella pausa di passaggio recita-canto. Applausi calorosi e successo indiscutibile per un’inaugurazione di stagione temeraria e coraggiosa.