Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2023-2024
“LA FABBRICA ILLUMINATA”
Per voce recitante e nastro magnetico
Libretto di Giuliano Scabia e Cesare Pavese
Musica di Luigi Nono
Soprano SARAH MARIA SUN
“ERWARTUNG” (Attesa)
Monodramma in un atto e quattro scene op.17
Libretto di Marie Pappenheim
Musica di Arnold Schönberg
La donna HEIDI MELTON
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Jérémie Rhorer
Regia Daniele Abbado
Scene e light designer Angelo Linzalata
Costumi Giada Masi
Movimenti coreografici Riccardo Micheletti
Regia del suono (La fabbrica illuminata) Alvise Vidolin
Nuovo allestimento Fondazzione Teatro La Fenice
Venezia, 15 settembre 2024
A cent’anni dalla nascita di Luigi Nono e a centocinquant’anni da quella di Arnold Schönberg, la Fenice propone il dittico La fabbrica illumitata-Ervartung, due lavori cronologicamente distanti, ma entrambi legati all’espressionismo e alla sua visione della realtà come incubo. Preceduta da Intolleranza 1960, La fabbrica illuminata è l’esito della riflessione da parte di Luigi Nono sulla possibilità di rinnovare il teatro musicale. Fondamentale fu l’incontro con il poeta Giuliano Scabia, con cui Nono, nell’aprile del ’64, iniziò la composizione di Un diario italiano, un articolato lavoro che, utilizzando nuove potenzialità della scena, avrebbe messo a nudo la dura realtà di quegli anni; un progetto ben presto accantonato. Intanto Nono accetta la proposta pervenutagli dalla RAI di comporre un pezzo per il Prix Italia, che avrebbe avuto come location Genova: era l’occasione di entrare negli stabilimenti di Cornigliano. Qui vennero registrati i suoni della fabbrica e le voci degli operai, raccogliendo anche una quantità di pubblicazioni riguardanti la pericolosità delle lavorazioni e le conseguenti lotte operaie.
La fabbrica illuminata prende spunto da un frammento di Un diario italiano dal titolo Sogno incubo cinque donne, trasfigurazione onirica delle angosce di un’operaia. In vista di questa nuova pièce per la scena, Nono sceglie come“voce femminile” Carla Henius, già protagonista di Intolleranza 1960, con cui inaugura un nuovo metodo di lavoro, basato sull’invenzione estemporanea dell’interprete, che viene fissata su nastro magnetico a quattro piste. Sul palcoscenico, all’esecuzione dal vivo della cantante, si accompagna il materiale registrato: la voce femminile, materiali sonori raccolti in fabbrica, interventi del Coro della RAI di Milano. Da notare che la voce femminile viene scomposta – anche nello spazio – moltiplicando per cinque la protagonista. Rifiutata dalla RAI, La fabbrica illuminata non fu presentata, come previsto, a Genova, il 12 settembre 1964, ma tre giorni dopo, in forma di concerto sotto la direzione di Bruno Maderna alla Fenice, che dopo sessant’anni la mette in scena. Del lavoro di Nono il regista, Daniele Abbado, sottolinea gli aspetti innovativi, tra cui l’uso coraggioso, per l’epoca, della tecnologia. Rispettando la volontà degli autori, la sua messinscena rifugge da ogni tentazione mimetica, presentando la realtà della fabbrica come metonimia della condizione esistenziale dell’uomo. Così il palcoscenico è libero da qualsiasi elemento scenografico o realistico, mostrando solo una sorta di vela sul fondo – che raccoglie del materiale combusto e come una clessidra determina lo scorrere del tempo – , nonché qualche panca, elementi cui si aggiunge la proiezione di immagini dello stabilimento di Cornigliano, realizzate a suo tempo da Lisetta Carmi. Oltre alla protagonista, è presente sulla scena un gruppo di persone, a simboleggiare il popolo della fabbrica. Alcuni di loro si spogliano mostrando dei corpi emaciati. Efficace il contrasto, voluto da Giada Masi, tra l’abito da sera della cantante e i dimessi costumi degli altri. Lenti ed essenziali i movimenti scenici ideati da Riccardo Micheletti. Suggestivo il disegno delle luci – cupe, ad evocare l’atmosfera satura di polvere della fabbrica – ideato da Angelo Linzalata, responsabile anche delle scene. Impeccabile quanto a dizione ed espressività Sarah Maria Sun come voce dal vivo, capace di interagire – dimostrando equilibrio e musicalità – con le storiche registrazioni. Determinante l’apporto dell’esperto Alvise Vidolin. Quanto a Erwartung, Daniele Abbado – in linea con la scelta, operata da Fortunato Ortombina, di invertire la successione cronologica dei due titoli – svincola il monodramma schönberghiano dal suo contesto storico di riferimento e quindi da uno stretto legame con gli studi sull’isteria di Freud e Breuer, che ne farebbe il racconto di un caso clinico. Il regista gli assegna invece una valenza universale. Il palcoscenico suggerisce attraverso scarni elementi visivi una realtà minacciosa: il bosco, la strada, i corpi senza vita disseminati qua e là. Una realtà, che inqieta sempre più la donna nella sua spasmodica ricerca dell’amante, di cui poi trova il cadavere, replicato nei corpi giacenti sulla scena. Intanto si abbandona al suo delirante monologo. Come già sottolineato, Abbado rivisitando Erwartung, ci consegna un messaggio più attuale, cogliendovi il disorientamento dell’uomo contemporaneo. Se è leggendaria la rapidità con cui Schönberg compose la pièce (pare in soli 17 giorni), è altrettanto noto che l’autore volle tagliare dal testo di Marie Pappenheim la descrizione dettagliata dell’omicidio, per concentrarsi su una tematica più piùgenerale, quale la condizione dell’uomo contemporaneo costretto a vivere isolato, in una realtà che gli risulta estranea e determina in lui uno stato di sofferenza anche psichica. Il che avvalora pienamente la concezione del regista milanese. Autorevole Heidi Melton – che nel suo lungo monologo ha sfoggiato un’ampia gamma dinamica ed espressiva –, adeguatamente supportatta da Jérémie Rhorer, che saputo valorizzare appieno la prodigiosa orchestrazione di Schönberg, basata su pesi e forze variabili dell’orchestra, che passa da “post-wagneriane” esplosioni di suono a passaggi rarefatti, aderendo ai diversi stati psichici della protagonista. Successo caloroso per entrabi i pannelli del dittico.