CASA MUSEO MARIO PRAZ
Dall’assolato pomeriggio romano scivoliamo nella penombra dell’atrio di Palazzo Primoli, lo stesso che accanto ospita il suggestivo Museo Napoleonico. Al terzo piano dell’edificio gentilizio, veniamo introdotti nella Casa Museo di Mario Praz. “Travelling, Empire forniture”, rispose alla domanda sulle sue distrazioni. Tre parole per le passioni di tutta una vita, quella di uno dei più acuti e originali intellettuali del’900 italiano. Critico d’arte, scrittore, anglista, traduttore, giornalista, fu docente alla Sapienza per la prima cattedra di letteratura inglese in Italia, mentre a Manchester deteneva quella di Letteratura italiana. Autore di testi di capitali nella storia del gusto europeo come “La carne, la morte e il diavolo nella Letteratura romantica” o “Il patto col serpente”, ma anche una “Storia della letteratura inglese” sulla quale si sono formati generazioni di studenti. Ma Praz non era solo questo, ci ammonisce il critico e scrittore statunitense Edward Wilson, che per Praz coniò l’epiteto di The Genie of via Giulia. In via Giulia si trovava infatti all’epoca la dimora di Mario Praz e fu in quella casa che iniziò questa leggendaria collezione di oggetti che ora ci abbaglia e di cui scrisse nel suo “La casa della vita” del 1958. Dal 1969, in seguito ad un tentativo di furto, che Praz visse come una intima violazione, lo scrittore si trasferì a Palazzo Primoli, dove rimase fino alla sua morte. L’appartamento è stato mantenuto così com’era alla morte del proprietario dal Ministero della Cultura, che acquistò la collezione e aprì al pubblico il museo nel 1995. Il primo marzo del 2024, dopo due anni di intensi restauri, la casa riapre sotto la direzione di Francesca Condò, per raccontare con i suoi 1200 reperti ed arredi il mondo interiore di un Genie. Cristalli di Boemia scintillano accanto a bronzi francesi, mentre il verde delle malachiti russe ospitano delicate porcellane tedesche. Mobili italiani sostenuti da piedini a forma di tartaruga, come voleva a moda dell’epoca, guardano ai busti degli zar e ai ritratti della famiglia dei Borboni e dei Bonaparte. Una vertiginosa varietà di oggetti e materiali ci avvolge e ci attira attraverso la casa museo mentre ad ogni passo emerge il ritratto di un gusto e di un’epoca, quella dell’Impero e della Restaurazione. La ricchezza della collezione non sta nella presenza di capolavori ma proprio in questo. L’anima del neoclassicismo è nobile e serena e profondamente gaia, diceva Praz. Dalle miniature di Santarelli, ai microintagli in legno di bosso, in cera, in tessuto, alle statue di marmo: la nostra guida, Ornella Sanni, ci racconta come Praz acquistasse da antiquari europei un oggetto e poi lo disponesse in un punto prestabilito della sua favolosa casa, così che il nuovo elemento entrasse in dialogo con il resto dell’arredamento, poiché quella posizione andava a liberare qualità e signicati che rivitalizzavano gli oggetti circostanti. È la stessa procedura che il Praz scrittore seguiva nella sua critica letteraria e artistica, rintracciando di ogni elemento le ascendenze lontane, identificando la persistenza di pattern e motivi. E vi diranno che lo Zeitgeist è una frottola e chi ci crede un sempliciotto, diceva Praz, grande evocatore nei suoi scritti e nella sua casa dello spirito di un’epoca e capace di restituirci attraverso la filosofia dell’arredamento incarnata nella sua dimora, l’immagine un’Europa raffinata e cosmopolita. Ma, ci dice la nostra guida, Praz non era un mero collezionista, lui questi oggetti li amava. E così avviene questa trasmutazione alchemica, per la quale un passé mort come lo chiamava Vernon Lee, la scrittrice da lui conosciuta e ammirata, diventa un passé vivant , proprio attraverso la memoria affettiva. E quel riunire due fatti o due oggetti all’apparenza slegati ritrova un’identità nascosta, una corrispondenza profonda e segreta. Perciò la casa museo può essere considerata la materializzazione di un atteggiamento critico che osserva gli oggetti più disparati alla ricerca di una loro intrinseca coerenza. Praz privilegia indubbiamente un’unità di tempo e di stile, come espresso compiutamente nella “Filosofia dell’Arredamento”, che registra il mutamento del gusto nella decorazione di interni attraverso i secoli. “La Casa della Vita” è la sua autobiografia, narrata attraverso questi stessi oggetti. Ed è forse per questo che i reperti che la sua curiosità rabdomantica sapeva scovare ovunque nei suoi viaggi, entravano in risonanza con la sua anima. Viene in mente a proposito la grande amicizia dello scrittore con Eugenio Montale, che diceva io sono amico dell’invisibile. Nella sua stanza vi è un letto acquistato da Praz poco prima del matrimonio con Vivien e che l’amico Montale aveva obiettato essere forse un po’ troppo piccolo. Al che lui, dopo breve riflessione, aveva risposto andrà benissimo così. Infatti, dice Montale in un’intervista, il matrimonio non durò molto. Sostando davanti ai dipinti Pieces of Conversation o Gruppi di famiglia, genere in voga in Inghilterra in quell’epoca, Ornella ci narra che Praz immaginava spesso che aspettassero che loro uscissero per riprendere la conversazione. E, scherzo del destino, in “Gruppo di famiglia in un interno”, intenso capolavoro con Silvana Mangano e Helmut Berger, Visconti si ispirò proprio a Praz per il personaggio del Professore, interpretato da Burt Lancaster, che infatti in una scena si vede sfogliare un libro dello scrittore. Quando Mario Praz vide il film si arrabbiò moltissimo, non riconoscendosi nel vecchio ombroso che amava gli oggetti e non sopportava le persone. Straordinari sono i dipinti che paiono prosecuzione degli ambienti in cui si trovano, ricostruiti a imitazione di quegli acquerelli biedermeier che Praz amava collezionare: l‘effetto è quello di una mise en abyme, tecnica per la quale l’immagine contiene una copia di se stessa. Ma chissà se nel mondo interiore di Praz era l’ambiente reale a contenere il quadro o, al contrario, era il quadro, l’arte, a contenere la vita.