Arianna Mortelliti, nipote del celebre Andrea Camilleri, ha saputo, sin dal suo esordio, ritagliarsi uno spazio di rilievo nella narrativa italiana contemporanea, grazie a una prosa che coniuga delicatezza emotiva e profondità psicologica. Il suo primo romanzo, “Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni”, e il più recente “Quel fazzoletto color melanzana”, offrono un’immersione nelle dinamiche familiari, esplorando i segreti, i silenzi e le complessità dei legami che tengono unite, ma allo stesso tempo dividono, le generazioni. “Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni” narra la storia di Arturo Baldi, un uomo di novantacinque anni che, ridotto in uno stato di coma profondo, resta tuttavia vigile e cosciente all’interno di una realtà sospesa. Mentre i suoi familiari si susseguono al suo capezzale, confessando timori, speranze e desideri mai espressi, Arturo è testimone silenzioso di un dialogo interiore che attraversa le generazioni. Al centro di questi ricordi affiora la figura di Dado, il fratello ribelle e talentuoso, che, nonostante la sua assenza, continua a essere una presenza ingombrante nella vita della famiglia. La narrazione, pur essendo confinata nell’immobilità fisica di Arturo, si apre a un universo di emozioni e memorie che percorrono un secolo di vita, ripercorrendo amori, affetti e fratture che non si sono mai del tutto rimarginate. Con “Quel fazzoletto color melanzana”, Mortelliti amplia il suo sguardo, passando da un microcosmo domestico e intimistico a una narrazione che coinvolge una comunità intera. Lara, la protagonista, ritorna nel paese natale, Castel Cielo, dopo la morte improvvisa dei genitori, per scoprire che il passato che credeva di aver lasciato alle spalle continua a perseguitarla. Il romanzo si sviluppa attorno al mistero della morte dello “zio” Rocco e alla rete di segreti che sembra avvolgere l’intera cittadina, dove ogni figura, dal fotografo Franco al sacerdote Don Alfonso, custodisce frammenti di una verità mai del tutto rivelata. In questo contesto, la narrazione assume i toni di un’indagine psicologica e sociale, dove il lato oscuro della comunità si intreccia con i ricordi e le paure personali della protagonista. Se “Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni” si distingue per l’approccio intimista e introspettivo, con una forte concentrazione sulla coscienza del protagonista, “Quel fazzoletto color melanzana” si configura come un romanzo più dinamico e corale, in cui i segreti della famiglia si mescolano ai pettegolezzi e alle tensioni che serpeggiano in una piccola comunità provinciale. L’autrice, in entrambi i romanzi, dimostra una notevole abilità nel costruire personaggi complessi, attraversati da sentimenti contrastanti e da una profondità emotiva che traspare in ogni dialogo, in ogni gesto, in ogni silenzio. Il suo stile si caratterizza per una prosa elegante e sobria, che si nutre di dettagli emotivi e psicologici, evitando eccessi descrittivi per concentrarsi sull’essenziale. In “Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni”, la tensione si sviluppa principalmente all’interno della mente di Arturo, attraverso un flusso di pensieri e ricordi che si snodano con lentezza e precisione. In “Quel fazzoletto color melanzana”, al contrario, il ritmo della narrazione è più serrato, scandito dalle rivelazioni e dalle scoperte che Lara compie man mano che si addentra nel suo passato. Nonostante le differenze strutturali tra i due romanzi, entrambi condividono un tema centrale: la memoria e il modo in cui essa modella e influenza le relazioni umane. In “Quella volta che mia moglie ha cucinato i peperoni”, la memoria di Arturo, pur essendo confinata in uno stato di incoscienza apparente, diventa un luogo di rifugio, di confronto e, in ultima analisi, di riconciliazione. In “Quel fazzoletto color melanzana”, invece, la memoria è un fardello da cui Lara tenta di liberarsi, ma che alla fine si rivela essere la chiave per comprendere appieno la sua identità e il suo ruolo all’interno della famiglia. Arianna Mortelliti, con entrambe queste opere, dimostra una notevole maturità narrativa, capace di affrontare con delicatezza temi complessi come l’eredità familiare, il peso dei segreti e l’inesorabile potere del tempo. La sua capacità di creare atmosfere ricche di tensione emotiva e di dare voce a personaggi tormentati e vulnerabili, la pone tra le autrici più interessanti della scena letteraria contemporanea. La forza della sua scrittura risiede nella capacità di rendere universali le storie intime e personali, di trasformare i piccoli gesti quotidiani e i ricordi più privati in simboli di esperienze umane condivise. Entrambi i romanzi rappresentano un’esplorazione profonda dell’animo umano, delle sue fragilità e delle sue forze, offrendo al lettore un viaggio emozionale ricco e coinvolgente, dove ogni pagina svela una nuova sfaccettatura della complessità dei legami che ci uniscono e ci dividono. A tal proposito, le parole di Marcel Proust risuonano con eloquente profondità: “Il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come sono state.” Mortelliti ci guida con elegante maestria attraverso l’inestricabile rapporto tra ciò che abbiamo vissuto e l’influenza di questi vissuti sul presente, dimostrando come la nostra identità sia plasmata da una memoria che, lungi dall’essere mera testimonianza del passato, continua a scolpire il nostro essere nel mondo.