Arnold Schönberg (Vienna 13 settembre 1874 – Los Angeles 13 luglio 1951)
A 150 dalla nascita del compositore – 1
“ERWARTUNG”(Attesa) op. 17.
Prima opera di Schönberg, Erwartung (Attesa) op. 17, composta in appena quindici giorni tra il 27 agosto e il 12 settembre del 1909 e completata nell’orchestrazione il 4 ottobre dello stesso anno, fu rappresentata per la prima volta solo 15 anni dopo a Praga il 6 giugno 1924 sotto la direzione di Alexander Zemlinsky con Marie Gutheil-Schoder. Il libretto di Marie Pappenheim, moglie di uno psicologo viennese, non segue i canoni tradizionali dei testi destinati al teatro musicale, in quanto si presenta come un monodramma ispirato da una vicenda personale.
L’unica protagonista è una donna che si reca ad un appuntamento con il suo amante in un bosco così terrificante da incutere nel suo animo un forte senso di paura. Nelle quattro scene, di cui si compone l’opera, la sua mente è popolata da fantasmi che sembrano il tragico epilogo. Alla fine, infatti, scopre, nei pressi della casa della rivale, il cadavere ancora sanguinante dell’uomo amato che non smette di baciare e abbracciare in preda al delirio fino all’alba che sancisce il loro definitivo distacco.
In quest’opera Schönberg, nella quale non vi è una vera e propria azione drammatica, in quanto sulla scena vive l’ansia della protagonista in preda ai fantasmi che la sua mente produce, in un ambiente spettrale come quello del bosco, si assiste alla rappresentazione del mondo psichico della donna che va incontro ad una progressiva e irreversibile dissoluzione. Dal punto di vista musicale sono riconoscibili tre cellule tematiche associabili a tre sentimenti diversi, dei quali il primo (cellula 1) rappresenta le ansie dell’amore, il secondo (cellula 2) quelle della colpa ed il terzo (cellula 3) il pensiero della morte. Il carattere realistico dell’opera marca un netto distacco dalla tradizione melodrammatica tedesca e da quelle opere, tra cui Salome ed Elektra di Strauss, che, alla stregua dell’Erwartung, rappresentano la nevrosi. In quest’ultima, infatti, la finzione scenica e le forme convenzionali, a cui Strauss non aveva rinunciato, sono sopraffatte da una realtà che rappresenta il continuo e irreversibile degrado della psiche umana.
Il testo, con alcune modifiche, è tratto da Riccardo Viagrande, L’opera nel 900′. Trame, successi e fiaschi in Italia, Europa e Stati Uniti, Monza, Casa Musicale Eco, 2020, pp. 315-316.