Arnold Schönberg (Vienna 13 settembre 1874 – Los Angeles 13 luglio 1951)
A 150 dalla nascita del compositore – 2
Piuttosto tormentata e lunga fu la composizione di Die glückliche Hand (La mano felice), poiché occupò il triennio compreso tra il 1910 e il 1913, anche se la prima idea risaliva probabilmente al 1908. Die glückliche Hand, anch’essa un monodramma come Erwartung, in quanto l’unico protagonista è un uomo sconosciuto, dovette attendere 11 anni prima di essere rappresentata alla Volksoper di Vienna il 24 ottobre 1924. Il testo dell’opera è fortemente connotato in senso simbolico sin dal titolo la cui traduzione, La mano felice, non rende perfettamente il significato delle parole. Il termine tedesco «Glück» può essere tradotto non solo con le parole «fortuna», «felicità» e «destino», ma anche con il lemma «talento» che si riferisce alla capacità artistica e creativa che l’Uomo, l’ignoto protagonista dell’opera, metafora dell’eroe perseguitato nel quale confluiscono le figure di Prometeo, di Gesù Cristo e di Sigfrido, mostra di avere.
L’opera si apre con l’intervento di un coro di 12 solisti, formato da 6 donne e altrettanti uomini, espressione del divino e dell’immutabile, che ammonisce il nostro protagonista, roso alla nuca da un mostro favoloso, a non inseguire sogni fallaci. Uno di questi è rappresentato dall’amore per una Donna, con la quale instaura un rapporto contrastato. Con la sua presenza la donna, infatti, nel secondo quadro, rende felice l’Uomo che le sfiora la mano, ma che è poi da lei abbandonato per un Signore vestito in modo elegante, simbolo della fredda e ipocrita realtà mondana. Pentita, tuttavia, la donna ritorna dall’Uomo che le sfiora nuovamente la mano e lo rende talmente felice da indurlo a dedicarsi all’attività artistica su una rupe dove si trovano due grotte. Entrato in una di esse, dove alcuni operai stanno lavorando attorno a una grossa incudine, l’Uomo pone su di essa un pezzo d’oro, da cui, dopo averlo percosso con il maglio, trae un grosso diadema. Egli allora va alla ricerca della donna che si trova con il Signore vestito elegantemente nella grotta accanto, ma quest’ultima, vedendolo, fugge dall’Uomo che la insegue inutilmente inerpicandosi sulla rupe, fino a quando lei gli fa precipitare addosso un macigno che si tramuta nel mostro iniziale. L’opera si conclude con la ripresa della scena iniziale in una struttura circolare in cui il progresso, rappresentato dalla creazione artistica della quale, tuttavia, l’Uomo è insoddisfatto, viene annullato da un ritorno alla situazione iniziale indicativo dell’immobilità che colpisce il destino umano.
La struttura musicale ricalca fedelmente quella del testo ed è riassumibile nello schema A-B-C-B1C1A1 dove le tre lettere dell’alfabeto corrispondono alle tre idee musicali. Se A costituisce il tema dell’«acquietamento», B e C identificano, rispettivamente, la «felicità illusoria» e le azioni dell’eroe-artista che stridono al confronto con quelle degli operai. Da un punto di vista musicale
colpisce l’immobilità iniziale resa dai quattro accordi sovrapposti di settima che vengono tenuti come pedale dall’arpa, dai timpani e dagli archi inferiori e rappresentano un’atemporalità che rimanda all’eternità.
Il testo, con alcune modifiche, è tratto da Riccardo Viagrande, L’opera nl 900′. Trame, successi e fiaschi in Italia, Europa e Stati Uniti, Monza, Casa Musicale Eco, 2020, pp. 316-317.