Roma, Palazzo Merulana
ANNA MARIA FABRIANI. RIVERBERI E TRAME DALLA SCUOLA ROMANA.
La prima esposizione dell’artista, oggi centenaria, allieva di Carlo Socrate e testimone della tradizione pittorica del Novecento
Dal 5 settembre al 6 ottobre 2024 Palazzo Merulana, museo gestito e valorizzato da CoopCulture, sede della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, ospita la mostra “Anna Maria Fabriani. Riverberi e trame dalla Scuola Romana”, la prima retrospettiva in assoluto dedicata alla centenaria pittrice che oggi vive a Lucca e che fu allieva di Carlo Socrate. Il progetto espositivo rappresenta “un viaggio intimo nel reale” da parte dell’artista, influenzata dagli anni trascorsi nella capitale nell’atelier di Villa Strohl-Fern, che ospitava moltissimi esponenti della Scuola Romana. Quaranta nature morte, fiori e ritratti sorprendenti come Cecilia, simbolo della mostra, ricchi di valenze, di trame e legami con il suo maestro dal quale Fabriani ha appreso tecniche pittoriche, il metodo di ricerca del colore, e rigore nella composizione sviluppando un’attenzione spasmodica alla luce, che diverrà nel corso del tempo una cifra stilistica dell’artista. Con questa mostra Palazzo Merulana, già custode di numerosi capolavori della Scuola Romana appartenenti alla Collezione Elena e Claudio Cerasi, continua la sua attenta opera di indagine, di valorizzazione e, talvolta, come nel caso di Fabriani, di scoperta di uno dei momenti più interessanti e vitali dell’arte italiana del ‘900. La pittrice inizia il suo percorso verso la fine degli anni ’40, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove stringe il legame artistico con Carlo Socrate che prosegue poi nell’atelier di Villa Strohl-Fern. La sua produzione si divide in due fasi con una pausa lunghissima una dall’altra: la prima termina negli anni ’70; la seconda si riapre nel 1997 quando l’artista, alla morte del marito, lo scrittore e drammaturgo Silvano Ambrogi, riprende dalla cantina il ritratto che gli aveva fatto trenta anni prima e che aveva lasciato incompiuto. Lo completa. Da allora ricomincia a dipingere fino a che fisicamente non riesce a rimanere lunghe ore in piedi davanti al cavalletto. Durante questo periodo, la pittura di Fabriani evolve, integrando nuove visioni contemporanee, talvolta quasi inquadrature cinematografiche, in una ricerca continua della luce, della messa in scena dei soggetti nello spazio, pur mantenendo un legame esclusivo con la tradizione pittorica della Scuola Romana alla quale si è sempre sentita legata. L’esposizione inizia dal ritratto di Maria Magris (1945 circa) e arriva fino al 2018 con Limoni arance e Amaro del Capo. Raccoglie prestiti provenienti da collezioni private e appartenenti alla famiglia che documentano la ricerca artistica ed espressiva dell’artista durata decenni. Il progetto si inserisce, pienamente nel dibattito attuale sulle pittrici e la loro scarsa visibilità. L’effetto di difficoltà oggettive dell’accesso delle donne alla complessa filiera del mercato dell’arte è la cancellazione dai percorsi espositivi tradizionali, e perciò anche dalla lettura della critica. Una censura di uno sguardo femminile (che spesso diventa autocensura) laddove sono presenti tecnica, visione, e un universo, invece, ricchissimo. In questo contesto di mercato e della possibilità di uno spazio materiale per dipingere, molte pittrici, come è anche il caso di Fabriani, hanno operato quasi esclusivamente nello spazio domestico, raffigurando soggetti di uso e fruizione quotidiana, traducendo questi in elementi di studio, speculazione filosofica e libertà. L’intera esposizione è frutto di un lavoro di ricerca, recupero e catalogazione, iniziato diversi anni fa, da parte della curatrice Sabina Ambrogi che ha sempre cercato di inseguire dipinti che – per lo strano destino peculiare dei quadri – si disperdevano per incuria, negligenza, o per distrazione. Magari perché regalati o venduti. Alcuni sono stati ritrovati in cantine (Savoiardi e Grigio su Grigio). Uno in particolare il ritratto a Maria Magris (1945- olio su cartone) è stato di recente ritrovato dalla curatrice nella cantina del palazzo dove l’artista è cresciuta e vissuta in gioventù. La restauratrice Cristiana Noci ha letteralmente riportato alla luce l’opera distrutta dalla muffa, macchiata di vernice, e piegata da oggetti accatastati sopra nel tempo. Ha restaurato, tra gli altri, anche Rosetta (1953), sicuramente il pezzo più forte e pregiato della collezione, danneggiato insieme a Grigio su grigio (1958) durante un trasloco. Ma è stata l’occasione per riportare mirabilmente la palette di grigi di quest’ultima opera alla sua origine e lucentezza. Circa una decina di dipinti eseguiti con il maestro Socrate, nell’atelier di Villa Strohl-Fern, sono ancora oggetto di ricerca. Sono andati perduti in Venezuela al porto di Caracas -La Guayra- dopo una spedizione in nave in una cassa, nel 1959. Il fratello dell’artista, Maurizio Fabriani, destinatario della spedizione, dirigeva cantieri per le costruzioni delle autostrade nel cuore del paese in zone molto impervie, a più di venti ore di macchina dalla capitale venezuelana. Non ha fatto in tempo a tornare per recuperarli. O si è forse persa la possibilità di un’organizzazione per farlo. La mostra è un’occasione per lanciare “un messaggio nella bottiglia” e chiedere a chi li avesse – compreso il circuito museale nazionale venezuelano – di farsi avanti per poterli catalogare ed esporre.