101° Arena di Verona Opera Festival 2024
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Andrea Battistoni
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Soprano Erin Morley
Mezzosoprano Anna Maria Chiuri
Tenore Ivan Magrì
Basso Alexander Vinogradov
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 9 in re minore op.125
Verona, 11 agosto 2024
A tre anni di distanza dall’ultima esecuzione, la monumentale Nona sinfonia di Beethoven è tornata all’Arena di Verona a festeggiare i duecento anni dalla prima esecuzione, avvenuta a Vienna il 7 maggio 1824, e ad assolvere al desiderio del musicista tedesco di riunire l’intera umanità in un abbraccio universale. Una sorta di sigillo testamentario in un genere che già aveva consegnato altri importanti capolavori ma questa volta con la novità di un finale affidato al quartetto vocale e al coro sui versi di An der Freude scritti nel 1785 da Friedrich Schiller. Un’ode a cui Beethoven attribuisce un significato ideologico ed un punto di approdo di un viaggio tormentato: come riportato da Cesare Orselli nelle note di sala “non un’esultanza irrazionale ed istintiva ma una sofferta conquista cui perviene l’eroe morale, presenza costante della poetica beethoveniana”. Questo immenso affresco sinfonico/corale si apre con un ampio movimento in cui i musicologi hanno voluto vedere tutta la creatività tormentata del compositore di Bonn, un turbinìo di stati d’animo che parte dalla cupa e misteriosa introduzione segnata da una certa ambiguità tonale per arrivare al fortissimo, una sorta di grido lancinante. Una pagina grandiosa, contraddistinta da più nuclei in lotta tra di loro, quasi un caos primordiale dove ogni elemento cerca di emergere sugli altri incardinato in una struttura non bene definita e la cui interpretazione è ancora oggi oggetto di ampie discussioni. La lettura di Andrea Battistoni non è sembrata tuttavia protesa alla ricerca di un messaggio di cui farsi vettore quanto a trovare il bandolo della matassa in una partitura complessa ed oggettivamente intricata da gestire nell’assieme. Il direttore veronese possiede un gesto energico e comunicativo, elemento essenziale per condurre a termine l’esecuzione ma con qualche prova in più ci sarebbe stato un maggior guadagno nella tavolozza timbrica, nel fraseggio e nelle sfumature. Molto meglio lo Scherzo seguente dove direttore ed orchestra hanno trovato piena sintonia nelle intenzioni sinfoniche, anche se dalla nostra postazione si udiva un fastidioso ritorno in eco dei corni; non inferiore il terzo movimento, Adagio molto e cantabile, pagina di mirabile ispirazione tesa alla sfera del sublime con la quale il misantropo Beethoven sembra cercare la pacificazione con il genere umano. Qui in modo particolare sono emerse le sezioni degli archi nelle variazioni con momenti di vibrante lirismo, sempre abbozzato ma mai realmente approfondito. Il momento più atteso era ovviamente il finale con la celebre ode di Friedrich Schiller, An die Freude, (inserimento rivoluzionario per l’epoca ma ripreso dai compositori a venire) che vede l’introduzione del quartetto dei solisti e del coro, nello specifico Erin Morley (soprano, al suo debutto all’Arena), Anna Maria Chiuri (mezzosoprano), Ivan Magrì (tenore) e Alexander Vinogradov (basso). In tutta onestà questi solisti non hanno praticamente mai brillato, Morley e Chiuri erano al limite dell’udibilità mentre Magrì non è apparso a proprio agio. Ora sappiamo che la scrittura beethoveniana è assai ingrata nei confronti delle voci e su questo grava anche il perentorio giudizio di Verdi che riteneva superba la sinfonia criticandone però la parte vocale; il risultato non è stato brillante, mancando spesso quella spinta musicale, quell’afflato particolare che i versi di Schiller dovrebbero suggerire e che creano l’interazione interpretativa con il coro. Quest’ultimo, istruito e diretto da Roberto Gabbiani, è apparso vocalmente stanco e provato dalle concomitanti recite di Aida, Tosca e Carmen, con suoni ruvidi e talvolta sguaiati. In sostanza si è trattato di un’esecuzione dignitosa ma priva di chiaroscuri e di contrasti di cui la partitura è ampiamente disseminata. Le alte temperature di questi giorni hanno avuto una parziale incidenza ma la sensazione è quella di un’operazione culturale messa in campo frettolosamente più per dovere di ricorrenza (il bicentenario) che per reale volontà di programmazione. Eppure la IX merita ben altra considerazione, è una creazione immensa ma insidiosa, capace di vendicarsi se trattata con leggerezza; un vero peccato perché le masse artistiche della Fondazione Arena risultano di vera eccellenza se messe nelle condizioni di poter lavorare bene. Pubblico abbastanza numeroso ma lontano dal tutto esaurito, con applausi al termine di ogni movimento: in una afosa serata estiva, il messaggio universale dei versi di Schiller perdona anche questo vezzo in nome della fratellanza e dell’appartenenza al Creato. Foto Ennevi per Fondazione Arena