Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Markus Stenz
Violino Vikram Francesco Sedona
Felix Mendelssohn Bartholdy: Concerto in mi minore per violino e orchestra op. 64; Anton Bruckner: Sinfonia n. 7 in mi maggiore wab 107
Venezia, 28 giugno 2024
Prosegue la Stagione Sinfonica 2023-2024 della Fenice, che riserva a Bruckner un posto di rilievo, in occasione del 200° anniversario della sua nascita: dopo la Quarta e l’Ottava, si è eseguita, nella seconda parte del concerto, diretto da Markus Stenz, la Settima Sinfonia, fiore all’occhiello di un autore non facile, che ha stentato ad affermarsi, almeno in Italia. Incontrastato mattatore nella prima parte della serata era il violinista Vikram Francesco Sedona – vincitore del 32° Concorso Città di Vittorio Veneto – con il Concerto per violino e orchestra in mi minore di Mendelssohn, straordinario capolavoro del compositore di Amburgo, scritto fra il 1838 e il 1844 in collaborazione con il violinista Ferdinand David, anch’egli nato nella città anseatica. La partitura fu ultimata nel settembre 1844, ma la prima esecuzione avvenne solo il 13 maggio del 1845 – per vari ripensamenti sulla posizione della cadenza nel movimento iniziale, collocata poi, eccezionalmente, dopo lo sviluppo – con David come solista e l’orchestra del Gewandhaus guidata da Niels Gade. Il giovane concertista ha decisamente impressionato (nel senso positivo del termine) per l’intonazione sempre inappuntabile e per la qualità del suono – rotondo, morbido, avvolgente, eppure straordinariamente nitido e perlaceo –, nonché per la preparazione tecnica e la maturità interpretativa, dimostrate affrontando uno dei capisaldi del concerto romantico, che coniuga sapienza costruttiva ed eleganza formale.
Nel primo movimento, Allego molto appassionato – che supera la forma tradizionale, facendo emergere immediatamente il violino solista – Sedona ha intonato con grande slancio l’esposizione del tema iniziale molto marcato, che si stagliava, con ritmo anapestico, sulla sottile trama degli archi gravi, segnata dalla pulsazione del timpano, e passava poi, intensificando la propria forza emotiva, a tutta l’orchestra, la quale presentava, nel prosieguo, un tema derivato dal primo, subito ripreso con variazioni dal solista. Un secondo tema, a mo’ di corale, è stato introdotto con finezza interpretativa dai fiati, mentre il dialogo col solista è proseguito efficacemente nello sviluppo fino all’articolata cadenza (interamente scritta), in cui lo strumento concertante ha sfoggiato grande virtuosismo. La ripresa, con il ritorno del tema di corale, è sfociata nella brillante Coda, conclusa da una nota tenuta del primo fagotto, a collegare questo movimento all‘Andante in do maggiore. Quest’ultimo – nella forma tripartita del Lied – si aperto con un tema struggente, che ha offerto al solista la possibilità di esibirsi con grande autorevolezza in arcate, legati e note tenute. I corni e l’orchestra hanno introdotto poi la sezione centrale, più drammatica, cui è seguita la riesposizione del tema iniziale, che ha concluso in pianissimo il movimento.
Preceduto da un recitativo di collegamento, il virtuosistico Allegro molto vivace – un Rondò-Sonata, dove il tema iniziale del concerto ritorna più volte con leggere variazioni – ha di nuovo consentito al solista di mettersi in luce in velocissime figure di biscrome e vertiginose scale, fino alla cadenza, annunciata dai trilli ascendenti del violino, punteggiati dai fiati, con cui si è chiuso, con slancio e brillantezza, il movimento. Scroscianti applausi ed ovazioni per il violinista di Preganziol. Due i fuoriprogramma: “Ménétrier” da Impressions d’enfance di George Enescu e – dopo l’accenno scherzoso di “Parlami d’amore Mariù” – “Méditation” da Thaïs di Massenet (eseguendo la sola parte del violino).
Protagonista della seconda parte della serata era – come si è detto – Anton Bruckner, rappresentato dalla sua settima partitura sinfonica – un ulteriore omaggio a Wagner, già dedicatario della Terza sinfonia –, che gli procurò il primo vero successo internazionale. Questa sinfonia è, tra l’altro, uno dei simboli della Finis Austriae, soprattutto dopo che Visconti ne scelse alcuni estratti come colonna sonora di Senso (1954). Il grande regista seppe cogliere, nella musica di Bruckner, una sensualità, di volta in volta, accesa ed estenuata, un’instabilità emotiva tra incontenibili entusiasmi e cupi presentimenti della fine; il che si esprime musicalmente nella contrapposizione – tipica nel compositore di Ansfelden – tra pannelli sonori: grandiosi ed eroici gli uni, sommessamente crepuscolari gli altri.
Quanto all’interpretazione di Stenz, ci è parso che il direttore tedesco – grazie anche a una scelta di tempi mai troppo dilatati – non indulgesse troppo a morbose estenuazioni, privilegiando una lettura virilmente romantica, scevra da ogni sentimentalismo. Pregevole la prestazione dell’orchestra, fin dal solenne avvio del primo movimento, Allegro Moderato, con un tema cromatico dall’intenso pathos, che si è snodato lungo un’ampia linea ascendente, stagliandosi sul tremolo degli archi, prima della comparsa di altri due temi – uno lirico, esposto dai fiati, l’altro più nervoso e incisivo, chiuso da una fanfara –, dopodiché contrappuntistiche elaborazioni del materiale tematico, eseguite con espressivo rigore, hanno condotto alla poderosa conclusione del movimento. Suggestivo, ma non particolarmente estenuato, nella visione di Stenz, il celebre, immenso Adagio, in cui si sono alternati due temi – malinconico il primo, un severo corale di viole e tube, proseguito dagli archi; tenuemente lirico il secondo –, il cui sviluppo, attraverso un lungo crescendo caratterizzato da frequenti elaborazioni contrappuntistiche, è culminato in un poderoso colpo di piatti con triangolo, seguito dalla Coda – aggiunta in seguito alla ferale notizia della morte di Wagner come estremo omaggio al venerato Maestro – dove, dopo il cupo corale delle tube wagneriane – derivato dal tema principale –, la musica si è assottigliata fino a spegnersi. Particolarmente brioso il terzo movimento, Scherzo, con il tema squillante delle trombe su un baldanzoso ostinato ritmico, inframezzato dall’aura pastorale del Trio. Assoluto rigore, nella pluralità di accenti, si è colto nel variegato quarto movimento, Finale, che ha visto alternarsi tre temi – il primo derivato da quello principale del primo movimento, il secondo, ricavato dall’Adagio, declinato in forma di corale, il terzo, variante del primo, a mo’ di fanfara di ottoni in forma di recitativo – con la clausola cadenzale del primo tema ricorrente come un refrain di Rondò. Successo assolutamente incontrastato.