Torre del Lago, 70° Festival Pucciniano 2024: “Manon Lescaut”

Torre del Lago (LU), Gran Teatro Giacomo Puccini, 70° Festival Pucciniano
MANON LESCAUT”
Dramma lirico su libretto di Ruggero Leoncavallo, Marco Praga, Domenico Oliva, Luigi Illica, Giuseppe Giacosa, Giulio Ricordi, Giacomo Puccini
Musica di Giacomo Puccini
Manon Lescaut ALESSANDRA DI GIORGIO
Lescaut NICOLA FARNESI
Renato Des Grieux ANDEKA GORROTXATEGI
Geronte di Ravoir ANDREA CONCETTI
Edmondo MATTEO ROMA
L’oste/ il comandante di marina EUGENIO MARIA DE GIACOMI
Un musico ELENA BELFIORE
Il maestro di ballo/ il lampionaio SAVERIO PUGLIESE
Il sergente degli arcieri FRANCESCO LOMBARDI
Orchestra e Coro del Festival Puccini
Direttore Beatrice Venezi
Maestro del coro Roberto Ardigò
Regia, scene, costumi, luci Massimo Gasparon
Video Matteo Letizi
Coreografia Gheorghe Iancu
Nuova produzione del Festival Puccini
Torre del Lago, 13 luglio 2024
La “Manon Lescaut” andata in scena quest’anno al Festival Puccini è oggettivamente un pasticcio, per tre ordini di ragioni, principalmente: la regia, la direzione d’orchestra e la performance del tenore. Manon è un personaggio davvero complesso, e molto più moderno di quanto forse lo stesso abate Prévost avesse teorizzato: è un’antieroina, attanagliata da un malessere che anticipa chiaramente il bovarismo del XIX secolo; in questa resa scenica, invece, Manon è tutta smorfie, mossettine, sbuffi, e le scene con Des Grieux sembrano più collegabili a un’opera buffa che a un soggetto drammatico-passionale. Ignoriamo la ragione per cui il regista Massimo Gasparon abbia voluto conferire questa caratterizzazione – o se magari è venuta spontanea al soprano – in ogni caso ci sembra profondamente lontana dalla visione di Puccini e fuorviante nell’ interpretazione generale dell’opera. La direzione d’orchestra di Beatrice Venezi, dal canto suo, non aiuta, col suo andamento d’algido metronomo, senza un guizzo personale; la direttrice è così concentrata dalla gestione orchestrale che arriva anche a perdere il contatto con i cantanti – persino il meraviglioso intermezzo suona quasi incolore. Da una direttrice blasonata come la Venezi  ci saremmo aspettati semmai sovrainterpretazione (che non va bene, ma con il verismo è più perdonabile) piuttosto che l’appiattimento su dinamiche e agogiche asettiche. Sono altresì emersi dei limiti nel tenore Andeka Gorrotxategi, evidentemente non in serata: fin dal primo atto il cantante tende costantemente a forzare l’emissione con scivoloni nell’intonazione, corrompendo molti momenti topici del suo ruolo. Purtroppo, se in “Manon Lescaut” Des Grieux fornisce una prova sottotono, inficia larga parte dell’opera, ed è per questo che non molti tenori si cimentano con questo ruolo oggettivamente difficile, accorato e muscolare al medesimo tempo. Note fortunatamente positive dal resto del castAlessandra di Giorgio è stata una Manon corretta, di bella musicalità e grande intelligenza, sebbene il colore sia insolitamente senile per l’età; ottima prova quella di Nicola Farnesi, un Lescaut vocalmente e scenicamente presente a se stesso, dall’emissione morbida,  naturale e sicura; buono il Geronte del veterano Andrea Concetti, ben caratterizzato e vocalmente solido; sfoggia una vocalità luminosa Matteo Roma (Edmondo) e brava anche Elena Belfiore nel piccolo ma iconico ruolo del musico; prove positive anche per gli altri interpreti. È evidente, comunque, che questo buon cast non possa salvare l’intera produzione, esattamente come l’assetto scenico, senz’altro interessante: la scena è sostanzialmente identica a quella di “Edgar”, almeno per i primi due atti – con l’aggiunta di un “Ratto di Proserpina” bianco sulla piattaforma girevole, che passa da fontana a letto di Manon, tra primo atto e secondo; il terzo atto si riempie invece di gabbie, una passerella è montata davanti al led wall, compaiono dei lampioni… insomma, un tentativo s’è fatto – superfluo specificare come invece nel quarto il palco sia sostanzialmente sgombro. I video di Matteo Letizi mostrano prima il retro della cattedrale di Amiens, poi suggestivi ambienti dai colori lisergici – che nel terzo atto ricordano le copertine di quei romanzi d’appendice di moda negli anni Novanta e nel quarto, inspiegabilmente, ci presentano un deserto molto più sahariano che del Nordamerica. Raccoglie i consensi del pubblico in particolare il video del terzo atto, un mare aperto all’alba su cui si scorge un vascello che lentamente si avvicina, fino ad ormeggiarsi sul palcoscenico, e alla fine dell’atto lentamente riprende il largo, mentre tutta la scena viene smontata nel buio, a vista di pubblico (in cinque minuti buoni) per poi far iniziare l’intermezzo. I costumi multicolori, dalle fogge settecentesche, ci sono sembrati sostanzialmente mal assortiti – le artigiane vestite da signore borghesi, gli uomini in un generico XVIII secolo, un po’ inizio, un po’ fine – ma tutto sommato coerenti con i video appariscenti davanti ai quali sfilano. In ogni caso, l’insieme della produzione – tra regia “leggera”, tripudi coloristici, filmati sensazionalistici e ritmi per lo meno opinabili – non si può definire riuscita, ancor meno se pensiamo che si tratta del Festival per il centenario della morte del Maestro. Foto Andrea Maionchi