Torre del Lago (LU), Gran Teatro “Giacomo Puccini”, 70° Festival Pucciniano
“EDGAR”
Dramma lirico in quattro atti (vers. 1889) su libretto di Ferdinando Fontana, tratto dal dramma “La coupe et les lèvres” di Alfred de Musset.
Musica di Giacomo Puccini
Edgar VASSILII SOLODKYY
Fidelia LIDIA FRIDMAN
Frank VITTORIO PRATO
Tigrana KETEVAN KEMOKLIDZE
Gualtiero LUCA DALL’AMICO
“LE WILLIS”
Opera-ballo in due atti su libretto di Ferdinando Fontana
Musica di Giacomo Puccini
Roberto VINCENZO COSTANZO
Anna LIDIA FRIDMAN
Guglielmo GIUSEPPE DE LUCA
Coro Orchestra e Voci Bianche del Festival Puccini
Direttore Massimo Zanetti
Maestro del Coro Roberto Ardigò
Voci bianche dirette da Viviana Apicella
Regia, Scene, Costumi Pier Luigi Pizzi
Luci Massimo Gasparon
Video Matteo Letizi
Coerografie Gheorghe Iancu
Nuova produzione Fondazione Festival Pucciniano
Torre del Lago (LU), 12 luglio 2024
Che dire, e quanto già si è detto di questo centenario a Torre del Lago! Certamente, di questo Festival Pizziano, forse più che Pucciniano, le date più importanti rimarranno le prime, poiché legate a tre titoli che da anni mancano alla rassegna, ossia “Le villi“, “Edgar“ e “Manon Lescaut“: la scarsa consuetudine ad essi, probabilmente, ci consentirà di soffermarci meno su eventuali scivoloni dell’assetto creativo, coinvolgendoci maggiormente su quello musicale. Con le prime due opere si apre il festival, in uno strano dittico (considerate le più di due ore previste solo dall’”Edgar”) cronologicamente invertito: prima “Edgar“, versione 1889, poi l’atto unico, che viene scelto nella primissima versione, quella dal titolo germanizzante “Le Willis“, senza le romanze famose di Anna e Roberto e l’intermezzo con voce recitata, che anticipa il balletto alla morte di Anna e caratterizza il personaggio in maniera più truce e scapigliata. Soprassedendo sulle questioni filologiche, ci sembra tuttavia opportuno rimarcare la scelta poco oculata dell’accoppiamento, semplicemente perché il quarto atto di “Edgar” è lungo e tendenzialmente lento (un lungo duetto d’amore che in altre opere troviamo solitamente al primo atto, e mai in finale d’opera), e farlo seguire da un altro atto fa sì che il pubblico si addormenti su questo e/o fugga prima delle “Willis“ – cose puntualmente avvenute entrambe. Così agli applausi ci troviamo in pochi, stanchi, mentre gli interpreti avrebbero meritato ovazioni certo non estranee al caldo pubblico toscano. Nel settore maschile del cast spiccano le voci di Vittorio Prato – un Frank ben sostenuto e dall’accurato fraseggio, che ci innamora letteralmente nell’aria “Questo amor, vergogna mia“ –, e di Giuseppe de Luca (Guglielmo), interprete d’alta caratura, omogeno nell’emissione e dal bel colore brunito, sebbene la giovane età. Più alterni i due tenori: abile fraseggiatore dai nobili portamenti si è rivelato Vassilii Solodkyy (Edgar), dotato di un suono raccolto e al contempo luminoso; meno controllato e parzialmente in affanno c’è parso invece Vincenzo Costanzo, un Roberto marcatamente timbrato ma dai fiati un po’ arbitrari. Ketevan Kemoklidze è stata una Tigrana potente, dalla linea di canto adamantina e l’efficacissima espressività (non dimentichiamo che Tigrana è senza dubbio il ruolo pucciniano per mezzosoprano più elaborato, degno d’essere accostato per arditezza ai futuri ruoli per soprano drammatico che il maestro comporrà); non ci è parso sempre a fuoco, invece, il Gualtiero di Luca Dall’Amico, che tradisce qualche tentennamento sull’intonazione, né il Coro del Festival, guidato dal Maestro Roberto Ardigò, spesso spaesato, che fatica a rimanere coeso vocalmente. La buona conduzione dell’orchestra del Maestro Massimo Zanetti, si è però potuta poco apprezzare per dei problemi di amplificazione della stessa, che per questo suonava ovattata, come distante, togliendo grandezza alla performance e impedendoci di capire esattamente il suo apporto. L’astro che ha illuminato la serata è stato quello di Lidia Fridman, vera “Diva”, che con apparente facilità è scivolata tra Fidelia e Anna, sia imprimendo caratteri diversi ai due personaggi, sia portando alla luce le giuste connessioni che corrono tra di essi. In effetti, Anna e Fidelia sono i due personaggi femminili che si sottraggono alla tipica dualità “santa vs peccatrice” che Puccini sdoganerà grazie anche all’apporto di Giacosa sui suoi libretti; Anna e Fidelia sono più simili a Musetta, personaggi intermedi, l’una casta e pura per poi risvegliarsi cadavere vendicatore, l’altra evanescente per poi difendere virilmente la memoria del suo amato, arringando l’esercito. La Fridman è vocalmente e scenicamente consapevole di queste sfaccettature: il suo suono ricchissimo e caldo si volge in morbide mezzevoci e vellutati accenti, così come si dispiega in legati infiniti dalle volumetrie piene, lungo linee di canto funamboliche quanto omogenee. Capiamo perché il soprano sia una delle interpreti più corteggiate del momento, e non possiamo fare a meno di subirne anche la fascinazione scenica, grazie alla naturale eleganza del gesto e dell’incedere – che il coreografo Gheorghe Iancu non si è lasciato sfuggire nelle “Willis” ove la Fridman si è spesa pure come danzatrice provetta. Possiamo dire che la cantante ha conferito spesso a ciò che abbiamo visto una spinta estetica, “superando” (anche se di certo di gara non si tratta) l’altro “Divo” Pier Luigi Pizzi, che, sia detto onestamente, ha fatto un po’ il minimo indispensabile: megavideowall a tutta scena sul fondo, una pedana rotante nel mezzo e quattro tavoli e sgabelli – tutto nero. Sul video vengono proiettati ambienti sui toni del bianco e del grigio (c’est Pizzi, ça va sans dire), quando non alberi sugli stessi toni, uno che va pure – malamente – a fuoco. Apprezzabile il lavoro sugli interpreti, ma tutto è un po’ sottodimensionato per l’occasione – il centenario, sì, ma soprattutto la possibilità di mettere in scena “Edgar” (opera in effetti magnifica, ma che sospettiamo non entrerà domani nel repertorio): la scena, i costumi, le proiezioni, le luci, tutto potrebbe essere adattato a quasi qualunque altra opera (e in qualsiasi altro contesto), e se questo è un bene forse per le tasche della Fondazione, noi non possiamo né vogliamo accontentarci. Magari quando fra sei anni il centenario sarà il suo, il Maestro avrà modo di rifarsi. Foto Andrea Maionchi