Sordevolo, Anfiteatro “Giovanni Paolo II”: “Aida”

Sordevolo (BI), Anfiteatro “Giovanni Paolo II”, Stagione 2024
AIDA”
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re d’Egitto LUCA PARK
Amneris
GOSHA KOWALINSKA
Aida
 MARY ELIZABETH WILLIAMS
Radamès GABRIELE MANGIONE
Ramfis STEFANO PARADISO
Amonasro GUSTAVO CASTILLO
Ramfis STEFANO PARADISO
Una Sacerdotessa ELENA MALAKHOVSKAYA
Un Messaggero DAVIDE LANDO
Orchestra Filarmonica Italiana
Schola Cantorum San Gregorio Magno
Direttore Marco Alibrando
Maestro del Coro Alberto Sala
Regia Alberto Jona
Scene Matteo Capobianco
Costumi Silvia Lumes
Coreografia Gérard Diby
Visual Designer Luca Attilii
Luci Ivan Pastrovicchio
Produzione Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara in collaborazione con Associazione Teatro Popolare di Sordevolo
Sordevolo (BI), 05 luglio 2024
Anche quest’anno, il Teatro Coccia di Novara organizza la produzione di un’opera all’aperto nell’anfiteatro di Sordevolo, paesino del biellese. L’iniziativa è senza dubbio lodevole, tuttavia c’è qualcosa che non funziona nella realizzazione pratica di queste belle intenzioni: il problema più grande che la recita a cui abbiamo assistito ha portato alla luce è l’amplificazione, operata in maniera perlomeno arbitraria, che ha portato a un’orchestra estremamente amplificata, e all’uso di soli cinque microfoni panoramici sul proscenio per gli interpreti; risultato: si sentivano anche gli scricchiolii dei leggii e delle sedie degli orchestrali a scapito del canto. Abbiamo di conseguenza visto i cantanti esibirsi a favore di microfono, quando non accasciati direttamente di fronte adesso, e questo ci ha consentito di maturare un giudizio sufficientemente ponderato sulle loro performance. Proprio i due protagonisti, tuttavia, hanno dimostrato una sostanziale estraneità ai ruoli. L’Aida di  Mary Elizabeth Williams ci è parsa mostrare, purtroppo, uno scarso controllo del fiato, limiti di proiezione, oltre a un colore vocale opaco, che non si illumina né nei momenti di grande pathos né nei momenti lirici più evocativi. Accanto a lei il Radamès di Gabriele Mangione che, per quanto intonato e tecnicamente sicuro di sé, propone una linea di canto molto disomogenea, poco scolpita, sostanzialmente altra dal personaggio verdiano. Prova migliore quella del mezzosoprano Gosha Kowalinska, benché fra le più penalizzate dagli errori di amplificazione: è solo al quarto atto che possiamo godere della ricca pasta vocale della sua Amneris, piena di armonici, ben sostenuta su tutta la tessitura. Buona prova anche per il baritono Gustavo Castillo nel ruolo di Amonasro, grazie a un’emissione sicura e potente, che nel duetto con Aida si piega giustamente sulla resa espressiva. Nell’alveo della correttezza gli altri ruoli: il Re di Luca Park, il Ramfis di Stefano Paradiso, il Messaggero di Davide Lando, tra i quali spicca la Sacerdotessa di Elena Malakhovskaya per particolare morbidezza del suono. Infine, dobbiamo ritenere anche la direzione del maestro Francesco Alibrando in parte responsabile dei grossi limiti fonici dello spettacolo: ci sembra incredibile che il direttore non si sia accorto degli spropositati volumi della sua orchestra, così come della presenza invasiva di alcuni strumenti su altri (il primo violino, l’arpa) e dei cantanti sistematicamente schiacciati dall’orchestra. Ci viene anche da domandarsi sinceramente cosa il maestro Alibrando udisse dalla sua postazione, giacché il gesto energico ed elegante col quale ha portato avanti l’intera concertazione non ha quasi mai tradito un tentennamento. L’assetto creativo di questa “Aida“ ha pure presentato alcuni oggettivi limiti, il primo dei quali è la non comunicazione tra i video di Luca Attilii, costantemente proiettati, e lo spazio scenico architettato da Matteo Capobianco: i primi, infatti, per quanto a volte ingenuamente didascalici, presentavano una forte coerenza interna, oltre che un preciso legame con i momenti del dramma e con il racconto delle emozioni; peccato che siano stati proiettati a tutta parete, ignorando del tutto la presenza in scena di alcuni elementi voluminosi, tra cui un alto praticabile sulla destra, che, ben lungi dall’essere forme astratte, rappresentavano con abile scenografatura, gli scaffali della collezione Schiaparelli in procinto di essere spediti dal Cairo a Torino (il regista Alberto Jona, infatti, nello scoprire che il celebre egittologo ha avuto i natali proprio nelle vicinanze di Sordevolo, ha deciso di inserire la vicenda del Ghislanzoni in questo ulteriore frame narrativo, su cui torneremo tra poco). L’effetto non segue alcuna estetica perscrutabile, giacché si sarebbe dovuto procedere a un mapping della scena per conferire ordine e pulizia all’assetto video, invece che “smarmellare” (per citare una serie di culto) tutto su tutto. Ai limiti tra kitsch e buon gusto anche i costumi di Silvia Lumes, al più molto generici (tutto uno sventolio di veli e mantelli colorati), talvolta esagerati (il Re coperto d’oro dalla testa ai piedi effetto “maschera di Tutankhamon” come un mimo di strada e Ramfis metallizzato in versione aliena ce li saremmo decisamente risparmiati, così come il messaggero con una gigantesca testa di Anubi – reminiscenza di “Stargate” del ‘94?), sebbene in una scenografia anch’essa sopra le righe figurassero assolutamente coerenti. Infine, la regia di Alberto Jona ci stimola una riflessione più generale: Jona non è un regista “delle trovate”, ma un serio professionista che crede nella necessità di un’idea generale forte che regga l’intero assetto creativo, e, in questa “Aida” si riconferma tale. Ci pare, però, che per sostenere questa visione d’insieme (in breve: tutta la vicenda di Aida non è nient’altro che il sogno di un giovane archeologo – che si autofigura come Radamès – al seguito della spedizione di Schiaparelli) Jona abbandoni letteralmente i cantanti sulla scena, che infatti si esprimono con tutto il repertorio possibile di gesti artefatti. Sono davvero pochi i momenti (peraltro riusciti) nel quale si possa dire “qui c’è una regia” in riferimento alle performance degli artisti: per il resto è tutto un andare e venire, entrare e uscire, stare fermi o sbracciarsi, in piedi o seduti. Siamo certi non solo che Jona possa lavorare meglio, ma anche che un’operazione come questa “Aida” meritasse di più. Foto Mario Finotti e Anastasiya Tymofyeyeva