Sassari, Piazza d’Italia, Stagione Lirica 2024
“OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Arrigo Boito, da Shakespeare.
Musica di Giuseppe Verdi
Otello HECTOR LOPEZ MENDOZA
Jago MARCO CARIA
Cassio MAURO SECCI
Roderigo NICOLAS RESINELLI
Lodovico TIZIANO ROSATI
Montano MICHAEL ZENI
Un araldo STEFANO ARNAUDO
Desdemona ANGELA NISI
Emilia FRANCESCA PUSCEDDU
Orchestra, Coro e voci bianche dell’Ente Concerti “Marialisa de Carolis”
Direttore Sergio Oliva
Maestro del coro Francesca Tosi
Voci bianche preparate da Salvatore Rizzu
Regia, scene e costumi Alberto Gazale
Luci Tony Grandi
Nuovo allestimento dell’Ente de Carolis
Sassari, 12 luglio 2024
Uno dei miei maestri più bravi e importanti ci ammoniva spesso: “c’è chi serve la Musica e chi se ne serve”, sintesi del rigore dovuto ai grandi capolavori sia dal punto di vista esecutivo e del rispetto della volontà dell’autore, che della necessità per il realizzatore di mettersi sempre in secondo piano rispetto all’opera. Se poi aggiungiamo che sono ben note le furibonde lettere di Verdi contro “qualunque manipolazione e taglio” nei suoi titoli e che Otello non è solo la sua penultima opera ma anche uno dei capolavori assoluti dell’ingegno musicale, non si può non rimanere perplessi di fronte all’operazione mediatica che ha portato alla sua messa in scena in Piazza d’Italia per la stagione lirica 2024 organizzata dal de Carolis, tra la passeggiata serale e i tavolini dei bar, in una situazione inadatta per un’opera in realtà intimista, ricca di sfumature difficili da riprodurre in situazioni simili. L’amplificazione è chiaramente necessaria nello spazio aperto di un ettaro, però gli equilibri sonori e i riferimenti rischiano sempre di essere falsati, in particolare per le voci, dettagliate e spinte in maniera innaturale e “scontornate” da un tessuto strumentale dove dovrebbero invece rimanere inserite. Ma se Pagliacci l’anno scorso aveva vari elementi adattabili per una proposta simile (l’ambientazione, l’aspetto “metateatrale”, la brevità, i netti e semplici affreschi drammaturgici e musicali) Otello dopo la grande scena iniziale è un continuo gioco di chiaroscuri, con un’orchestrazione raffinata e complessa, di realizzazione e resa difficili su un palcoscenico del genere e con migliaia di watt nonostante i quali, nelle numerose pause e silenzi musicali, era però inevitabile sentire il vociare dei bar e pure il gettito delle bottiglie nei cassonetti. In parole povere ci sono opere che si prestano a operazioni simili, ma non questa. Da notare tra l’altro che sono stati tagliati assurdamente 10/15 minuti di musica del miglior Verdi “compensati” da un confuso sproloquio introduttivo, sorta di prologo del responsabile dell’allestimento, nonché direttore artistico Alberto Gazale, di cui non si avvertiva alcuna necessità. Il primo problema, non a caso, è soprattutto nell’allestimento: una grande piazza richiede un grande fronte scenico. Chi fa cinema all’aperto usa schermi giganti: ha quindi senso comprimere un’opera così complessa in palcoscenici che sarebbero angusti anche in un teatro e minimi in una grande piazza? In secondo luogo le scenografie (pochi arredi incoerenti e in buona parte frutto di magazzino) e i costumi (da quando in qua un nuovo allestimento con costumista in cartellone li ha “forniti dalla Fondazione Teatro Lirico di Cagliari?!?”) avevano un aspetto misero e arrangiato, peraltro allineato con la banalità e staticità di quasi tutte le soluzioni sceniche. Dalle pose truci da film muto alle reazioni, dall’abuso della macchina del fumo al protagonista che, moro e con un cascone di capelli, sembrava una versione sobria di James Brown, l’indirizzo sembrava quello delle “passioni forti” a buon mercato, rozze e senza troppe sfumature, che guidano le compagnie operistiche di giro in certi paesi di provincia: una raccolta di luoghi comuni e retoriche già vecchie nel secolo scorso. Musicalmente è difficile dare dei giudizi col filtro dell’amplificazione e le relazioni sonore falsate, però c’è almeno un onesto professionista a guidare la baracca: Sergio Oliva fa quello che può, ma Otello non si mette su con pochi giorni di prove in una situazione che ne richiederebbe almeno il doppio. Non è il caso d’infierire nei dettagli di una situazione sonora così difficile, anche perché l’impegno dell’orchestra è sempre professionale e i cori, preparati da Francesca Tosi e Salvatore Rizzu hanno dato un valido apporto nonostante le problematiche già evidenziate; però i problemi strutturali sono stati evidenti anche nel numero di orchestrali/coristi e nel cast. Pur sorvolando si sente che Hector Lopez Mendoza è un tenore di buoni mezzi naturali, ma faticoso nell’emissione, approssimativo nella tecnica e incapace di avere un minimo di sfumature senza ingolare i suoni o litigare con l’intonazione: abbiamo tremato tutti già dall’Esultate iniziale, mentre Angela Nisi, Desdemona, è stata sicuramente più interessante, ma il vibrato largo e qualche cedimento non l’hanno aiutata in occasione di suoni filati e in pianissimo. È stato inoltre discreto vocalmente lo Jago di Marco Caria, ma un po’ fuori ruolo, e si segnala positivamente soprattutto la limpida vocalità di Mauro Secci. Anche tutti gli altri interpreti hanno mostrato mediamente un discreto livello professionale nei loro interventi, ma il ritorno di un’opera del genere avrebbe richiesto per l’occasione almeno un paio di protagonisti di grande peso. Rintronati dall’amplificazione, freddi per un’opera “sconosciuta”, perplessi per l’allestimento deludente (primi giudizi percepiti al volo) il pubblico alla fine è stato piuttosto parco negli applausi e abbiamo sentito persino un paio di dissensi ai ringraziamenti. L’opera in piazza può essere un’operazione che ha senso solo se di realizzazione artistica professionale e rispettosa del testo dell’autore, in grado di restituire condizioni di fruizione e operatività adeguate per spettatori e artisti; quindi “servendo la Musica, ma senza servirsene”. Sostituire la qualità con la quantità, la sostanza con l’apparenza, la cultura musicale col suo marketing, può produrre solo provinciali e pallide imitazioni di ben altri e noti eventi, che non aggiungono nulla di sostanziale alla storia della città e del suo territorio. Foto Elisa Casula