Teatro dell’Opera di Roma Stagione Estiva 2024
“TOSCA”
Melodramma in tre atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Tosca CARMEN GIANNATTASIO
Mario Cavaradossi SAIMIR PIRGU
Il Barone Scarpia CLAUDIO SGURA
Angelotti VLADIMIR SAZDOVSKI
Sagrestano DOMENICO COLAIANNI
Spoletta SAVERIO FIORE
Sciarrone DANIELE MASSIMI
Carceriere FABIO TINALLI
Un Pastorello MARCELLO LEONARDI
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Antonino Fogliani
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia Francesco Micheli
Progetto scenografico Massimiliano e Doriana Fuksas
Costumi Giada Masi
Video Luca Scarzella, Michele Innocente, Matteo Castiglioni
Luci Alessandro Carletti
Drammaturgia Alberto Mattioli
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 05 luglio 2024
Per rendere omaggio al centenario pucciniano, il teatro dell’Opera di Roma ha programmato per la stagione estiva due titoli, Tosca e Turandot, entrambi affidati al progetto scenografico dello studio Fuksas. La scenografia ideata per l’occasione e che sembra servirà anche per i prossimi titoli in programma, consiste in una sorta di banchisa polare bianca e frastagliata composta da frattali sulla quale in questa serata si sono proiettati testi, colori e immagini a seconda della situazione e forse dei pensieri dei personaggi senza nessun possibile riferimento al testo e ai luoghi di Roma nei quali si svolge l’opera. Tenue filo conduttore della regia pensata da Francesco Micheli parrebbe essere quello della violenza del potere religioso e politico in modo particolare sulle donne. Il fantasma di Anna Magnani evocato dai costumi e da diverse proiezioni come la scena della morte in “Roma città aperta” sembrerebbero voler suggerire una sorta di parallelismo fra Floria Tosca e la Magnani, la polizia pontificia e i nazifascisti e via dicendo, tale però da indebolire la narrazione e offuscare il senso e la resa emotiva per esempio del sempre molto atteso “vissi d’arte”. Così pure la scena del Te Deum assomiglia più alla rievocazione del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo che non ad un momento di gioia e di solenne ringraziamento al Signore per la vittoria su Napoleone, nel terzo atto compare l’immancabile cappottone da ventennio e i costumi che sembrerebbero voler evocare tre secoli diversi tra i vari atti producono il risultato di trasformare l’ingresso di Scarpia nel primo atto in qualche cosa di simile a quello di Ping Pang e Pong. E’ inutile avvicinarsi ad uno spettacolo del genere dolendosi per tutto quello che è stato volutamente eliminato nella speranza di compiacere o educare il pubblico attualizzando l’opera e piegandola suo malgrado a nuovi messaggi ideologici ritenuti più nobili ed elevati. Tuttavia il risultato, indipendentemente da aspetti legati al pur rispettabile gusto personale di ciascuno, crediamo che nell’insieme sia di fatto interlocutorio e che molti dei momenti espressivi voluti e realizzati dall’autore siano stati in parte svuotati della loro efficacia. Cercare di cambiare la creazione di un genio teatrale assoluto è operazione ardita nella quale è più probabile perdersi in un ginepraio di effetti e trovate frammentarie, singolarmente anche interessanti, ma che nel complesso risulta privo di unità e del senso della sintesi drammatica. La direzione, per l’occasione affidata al maestro Antonino Fogliani, si è rivelata funzionale sotto il profilo logistico per una buona capacità di accompagnare le voci. Difficile però a causa di una amplificazione assolutamente sproporzionata apprezzare e valutare i colori ed i volumi dell’orchestra e dei cantanti. Faticoso riconoscere il rincorrersi dell’eco delle diverse campane nell’alba romana all’inizio del terzo atto tutte implacabilmente uguali anche se abbiamo apprezzato una buona tenuta complessiva sia pure con qualche indugio di troppo. Al solito molto valida è parsa la prova del coro diretto dal maestro Ciro Visco che forse scenicamente avrebbe meritato un maggior risalto e dei bambini della scuola di canto corale del teatro. E veniamo agli interpreti vocali della serata, tutti su un piano di buona professionalità ma con la generale impressione di essere come telecomandati dalla regia con il risultato ogni tanto di perdere di spontaneità. Nel ruolo eponimo Carmen Giannattasio impersona una Tosca più popolana che prima donna, simpatica e volitiva un po’ sul modello della Magnani, di buona tenuta vocale e dalla discreta musicalità. Cavaradossi è stato cantato con sicurezza ed estroversione dal tenore Saimir Pirgu che si è distinto per simpatia e notevole disinvoltura scenica. Il baritono Claudio Sgura a dispetto di un ruolo da lui molto eseguito con grande successo è parso viceversa poco incisivo, più preoccupato forse dai movimenti scenici che non dall’impersonare il ruolo e ingiustamente penalizzato da un finale del secondo atto francamente brutto e ai limiti del ridicolo. Molto bravo anche Saverio Fiore nella parte di Spoletta sia musicalmente che vocalmente ma anche lui più circospetto del consueto sotto il profilo scenico in una parte che ha più volte eseguito e della quale sembra straordinariamente possedere perfino la fisicità. Assai accurato è apparso il Sagrestano di Domenico Colaianni e senza dubbio su un piano di buona professionalità sono apparsi Vladimir Sazdovsky, Daniele Massimi e Fabio Tinalli rispettivamente nelle parti di Angelotti, Sciarrone e del Carceriere. Alla fine educati applausi per una Tosca nel complesso un po’ debole e qualche contestazione all’indirizzo della regia. Photocredit Fabrizio-Sansoni-Opera-di-Roma.