Martina Franca, 50° Festival della Valle d’Itria 2024: “Norma”

Martina Franca, Palazzo Ducale 50° Festival della Valle d’Itria 2024
“Norma”
Tragedia lirica in due atti libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Norma JAQUELYN WAGNER
Adalgisa VALENTINA FARCAS
Pollione AIRAM HERNÁNDEZ
Oroveso GORAN JURIĆ
Clotilde SAORI SUGIYAMA
Flavio ZACHARY McCULLOCH
Orchestra e coro del Teatro Petruzzelli di Bari
Banda Musicale della Città di Martina Franca “Armonie d’Itria”
Direttore Fabio Luisi
Maestro del coro Marco Medved
Regia Nicola Raab
Scene e costumi Leila Fteita
Disegno luci Pietro Sperduti
Nuova produzione del Festival della Valle d’Itria
Martina Franca, 28 luglio 2024
L’edizione critica Ricordi curata nel 2019 dal musicologo Roger Parker è stata adottata per la nuova produzione di Norma da parte del Festival della Valle d’Itria che celebra il suo mezzo secolo di vita omaggiando il ricordo di quando, durante la terza edizione (1977), Rodolfo Celletti propose il capolavoro belliniano con Grace Bumbry nella parte eponima e Lella Cuberli in quella di Adalgisa. Con questo presupposto non era facile reggere siffatto confronto e, nel complesso, l’allestimento non ha entusiasmato il numerosissimo pubblico riunito nel cortile del Palazzo Ducale. Il soprano americano Jacquelyn Wagner, di imponente fisicità, possiede una bella voce nella zona medio-acuta che le consente di incarnare con la giusta pienezza e solennità la sacerdotessa d’Irminsul; pecca, tuttavia, per una non sempre curata gestione del testo di Romani, in particolare nei recitativi che in questo lavoro hanno un peso cruciale. Ammirevole per uniformità di registro (un dato che all’epoca di Bellini probabilmente non riceveva l’apprezzamento che noi siamo soliti tributare) la voce dell’ottima Valentina Farcas che ha vestito i panni di Adalgisa con opportuna intensità tragica. Espressivo e mai sopra le righe il Pollione del tenore Airam Hernández, distintosi per particolare chiarezza di timbro e misura di fraseggio. Il problema della non piena dimestichezza linguistica e prosodica si evidenzia di Goran Jurić che comunque ben caratterizza il personaggio di Oroveso grazie a una bella proiezione di voce. Dignitose le parti di fianco (il Flavio di Zachary McCulloch e la Clotilde di Saori Sugiyama. Ben preparato da Marco Medved il Coro del teatro Petruzzelli che in questa occasione è stato penalizzato dall’assenza di costumi e dal posizionamento all’interno delle due strutture laterali dove si intravedeva dietro al velo nero (questa soluzione, tecnicamente necessaria per le americane e le varie strutture dello spazio scenico, da anni sta limitando l’articolazione delle componenti visive degli spettacoli al Valle d’Itria). Poco felice l’idea della regista Nicola Raab di posizionare alla fine del primo atto il “coro di dentro” (previsto in partitura ma non nel libretto della ‘prima’ scaligera del 26 dicembre 1831) alle spalle del pubblico che in quest modo non ha quasi potuto ascoltare il terzetto dei protagonisti. Proprio gli aspetti registici sono stati, forse, i responsabili di una staticità che ha inficiato la piena riuscita dell’allestimento. L’astrattezza è una cifra distintiva delle invenzioni teatrali di Raab ma in questo caso ha condotto a un appesantimento del dramma, complice la grande struttura che dominava il palcoscenico come un blocco soffocante, le cui due porte non erano sufficienti a garantire un adeguato dinamismo scenico. La scenografa (e qui anche costumista) Leila Fteita non ha puntato a stupire gli spettatori bensì a mantenere soluzioni cromatiche di abiti ed elementi scenici (bello il pavimento con disegni geometrici allusivi all’arte ‘barbarica’) piuttosto dimesse. Lo stesso può dirsi delle videoproiezioni ideate da Pietro Sperduti: dell’arcaico terrore connesso all’albero del dio Irminsul ben poco aveva il generico faggio che campeggiava dove poco prima, durante la sinfonia, si è voluto anticipare il rogo (la ripresa al rallenty di una grande fiamma) che consumerà (redimendoli) Norma e Pollione. Il ‘colore’ di questa Norma è stato, allora, tutto strumentale grazie alla splendida orchestra del Petruzzelli, magistralmente diretta da Fabio Luisi la cui raffinata bacchetta ha sopperito l’eccesso di staticità di uno spettacolo che, a tratti, pareva avvicinarsi a una forma semiscenica. Foto Clarissa Lapolla