Lugano, XXVIII° Ticino Musica Festival 2024: “Rita” di Gaetano Donizetti

Lugano, Aula Magna del Conservatorio, XXVIII Ticino Musica Festival 2024
RITA”
Opera buffa in un atto unico, con drammaturgia e testi di Daniele Piscopo, tratti da “Rita ou le mari battu” di Gustave Vaëz
Musica di Gaetano Donizetti
Rita FLORIANA CICIO
Beppe DYLAN LEZAMA
Gasparo NICOLA COSIMO NAPOLI
Bortolo MASSIMILIANO ZAMPETTI
Ensemble strumentale Ticino Musica
Direttore Stefano Nigro
Regia Daniele Piscopo
Scene Matilde Folli
Costumi Giulia Bonuccelli
Luci
Erez Abramovich
Nuova produzione del Festival Ticino Musica
Lugano, 18 luglio 2024
Negli ultimi anni “Rita” di Donizetti sta incontrando un singolare revival, dovuto principalmente alla brevità dell’opera, ai soli tre personaggi e alla vis comica che la caratterizza; tuttavia alcuni aspetti dell’operina fanno sorgere non piccole perplessità: in primis la sua natura di opéra comique, che prevede un numero più o meno pari di numeri cantati e scene recitate; poi, il fatto che sia originariamente in francese (il sottotitolo è “Le mari battu”) impone, a chi non ricorra ad artisti d’oltralpe, una traduzione del testo; infine, ma forse è il punto più scottante, il contenuto dell’opera: essa infatti tratta di una donna che, poiché maltrattata dal primo marito, ora malmena il secondo – e questa è la fonte della maggior parte dei suoi siparietti comici; siamo sicuri che nel 2024, in Italia, un’opera del genere non necessiti di essere stravolta, se non vuol incorrere nel rischio di essere fraintesa (non dimentichiamo che una delle sue arie più famose contiene nel ritornello i versi “si può picchiar la moglie/ ma non si de’ accoppar!”)? Certo questi aspetti non sono stati trascurati dall’Opera Studio “Silvio Varvisio” del Ticino Musica Festival, che quest’anno ha scelto di lavorare su questo titolo decidendo non solo di ritradurne il libretto, ma anche di riconcepirlo drammaturgicamente, convertendo la violenza sottesa all’opera originale in un invito ad abbandonare le botte e l’aggressività per amarsi con pazienza e devozione. Posto che la musica di Donizetti rimane intatta – e i nuovi testi approntati dal regista Daniele Piscopo suonano tutto sommato bene con essa – la questione che solleva la riproposizione dell’operina è di quelle che infiammano le testate e i siti internet da ormai anni: quanto il politically correct e la cosiddetta woke culture hanno il diritto di entrare nell’arte di duecento anni fa? Si può soprassedere sulla natura démi mondaine di Violetta per non offenderne la dignità di donna? Può Otello astenersi dal picchiare e ammazzare Desdemona, per non fornire un esempio di femminicidio? Tosca che gode nell’uccidere Scarpia, prima, e nel riportare lo stesso omicidio, poi, e Manon che riesce a calmare il proprio malessere solo con i beni materiali, sono forse cattivi modelli di ragazze? Non pretendiamo di avere risposte, per carità, ma sta di fatto che quanto abbiamo visto a Lugano non corrisponde alla “Rita” per la quale Donizetti scrisse le musiche, sebbene lo spettacolo cui assistiamo sia assai godibile, fresco, coloratissimo e pieno di momenti divertenti (nello stile pop cui Daniele Piscopo ci ha abituato, ormai). Forse l’unica cosa che non ci convince è l’inserimento di un personaggio unicamente recitato (denominato Bortolo, e ben interpretato da Massimiliano Zampetti) che “guidi” lo spettatore proprio alla rilettura del tema dell’opera, in maniera a tratti didascalica e a tratti stucchevole. La ragione, tuttavia, è chiara: il pubblico delle diverse repliche nel Canton Ticino è un pubblico che non accetterebbe, probabilmente, di sentire che un personaggio si diverte ad infliggere bastonate alle proprie mogli (tuttavia, accetta che questa funesta consuetudine sia chiamata “alla russa”… evidentemente le questioni di genere son più sentite del razzismo dai perbenisti ticinesi). A parte questo aspetto, lo spettacolo è senz’altro gustoso, sia scenicamente, come abbiamo detto, ma anche vocalmente: ritroviamo nei panni della protagonista Floriana Cicio, che ascoltammo con piacere quattro anni fa a Modena, e ora ritroviamo vocalmente matura, consapevole del suo bel mezzo sonoro ed esteso (bei centri e acuti sicuri) e di una tecnica che le consente di affrontare con grande facilità il ruolo. Accanto a lei ben figura anche Nicola Cosimo Napoli nel ruolo di Gasparo, baritono lirico dall’emissione naturale e buona la linea di canto; appare più debole invece, il tenore Dylan Lezama nel ruolo del  remissivo Beppe: la voce mostra limiti di volume, per quanto graziosa nel colore un po’ in affanno nel reggere il canto; limiti compensati dall’esilarante prova scenica, da vero caratterista d’altri tempi, peraltro una parte sostenuta in una lingua non sua (Lezama è messicano). Sul piano scenico tutti e tre gli interpreti sfoggiano una naturalezza e una propensione non indifferenti, e sanno muoversi nei tempi giusti e con intenzioni chiarissime – ulteriore merito del regista. La recitazione è forse un filo forzata nel caso di Napoli, ma sia Lezama che Cicio, invece, dimostrano bella aderenza al personaggio. Sul podio dell’Ensemble del Festival quest’anno troviamo Stefano Nigro, dal gesto energico e tutto teso alla coesione tra palco e orchestra; e bravi anche gli altri partecipanti all’opera studio, che performeranno nelle altre date, e che qui, invece, si sono spesi come servi di scena e figuranti. Insomma, polemiche e dietrologie a parte, anche quest’estate il Cantone è toccato da una bella e fresca produzione operistica, che avrà modo di essere replicata in spazi molto diversi tra loro, tra i quali il LAC, prestigioso teatro cittadino, il 23 luglio e il Teatro Paravento di Locarno il 29 luglio. Foto Dave Wong e Andrey Klimontov