Prefazione di Alessandro Baricco.
di Angelo Foletto
Collana: La critica musicale: fonti e saggi
Volume di 312 pagine. ISBN: 9788855433280
Lucca, Lim, 2024, € 30,00
È noto che Claudio Abbado nel 2009, per il suo ritorno alla Scala, chiese come onorario di piantare 90mila alberi a Milano tanto che l’uscita di questo libro riporta alla memoria sia L’homme qui plantait des arbres di Jean Giono che Voltaire il quale, sul letto di morte, aveva affermato «Sì, nella mia vita ho fatto qualcosa! Ho piantato tanti alberi». A distanza da 10 anni dalla dipartita del maestro ritorna il titolo ‘volteriano’ che «riassume la vocazione di Abbado a dissodare e seminare». A ricordare lo scrittore e filosofo francese è l’autore di questo interessantissimo volume, Angelo Foletto, che – nella Premessa, dichiarando i contenuti «Cronache-dialoghi dal vivo, ‘pezzi’ di critica musicale, testimonianze da vicinanza intellettuale e pluridecennale passione di ascoltatore», in gran parte apparsi (1978-2019) su «Repubblica», «Musica viva» e «Classic Voice» – aggiunge che si è trattato di «Un viaggio insieme» ove la metafora include la consapevolezza che tale esperienza porti ad ulteriori sviluppi e scoperte. Quasi ‘testimone’ del ‘viaggio’ è Alessandro Baricco, autore della Prefazione, che dichiara che in quegli Anni «su quella barca» c’era anche lui e tutti coloro che hanno conosciuto e collaborato con il maestro, come il sottoscritto, tanto che nel tempo, visto il gran numero di musicisti, si è reso necessario sostituire la piccola imbarcazione con una nave. Tra questi, non pochi sono diventati bravi ‘capitani’ ovvero direttori d’orchestra, solisti, cantanti, cameristi e, come ricorda l’autore: «Non c’è probabilmente orchestra del Vecchio Continente che non abbia nelle sue file un ex-ragazzo che ha suonato con Abbado» tanto da poter rintracciare quel passaggio di testimone atto a far continuare una certa tradizione. Secondo Baricco, Foletto «rimane impigliato nel genio di un musicista e per un’intera vita lo accompagna senza far troppo rumore, sempre scostato di un paio di passi, a quella distanza sufficiente a non perdere nulla di quello che poteva accadere necessaria per non rischiare di intralciare nulla di quello che doveva accadere», aggiungendo che si è trattato di «un’avventura intellettuale, una passione irresistibile e una cura da declinare con tutta la civiltà possibile». In effetti ciò emerge con un distinguo, confermando l’idea dello scrittore che Foletto ha percepito la figura del maestro senza alterare l’ottimale messa a fuoco. Il critico e storico della musica, se da un lato sembra rappresentare il Testimone ad actum di Abbado nel dare vita alle diverse realtà musicali descritte nel volume, dall’altro, quando le parole entrano nella musica, è come se tentasse di rivelare, quasi filologicamente, il modo di avvicinarsi alla versione più ‘vera’ della partitura dove ogni volta che si riprende la stessa opera «significa ristudiare tutto da capo». Il volume rivela molte idee abbadiane sul dirigere non come mestiere «ma come passione» in quanto «Come mestiere diventa routine, la morte» insieme a tante acute osservazioni di Foletto affermando senza mezzi termini che «Abbado è stato l’ideale proseguimento del ruolo storico innovativo di Arturo Toscanini» tanto che ben presto tutti si accorsero «che quella testa di direttore non pensava come gli altri». Non si può tacere il grande merito dell’autore nel riuscire a far parlare il maestro di molte cose anche se «Abbado come interprete è penetrante […] come intervistato lascia molto a desiderare». Sulla musica antica e Gesualdo da Venosa, alla domanda dell’autore «Quindi apertura e libertà, come prima decisione: non specializzazioni» non si fa attendere la risposta: «La musica è una, non amo le barriere» e sulla crescita dei giovani indica «la conoscenza di tutto il repertorio come ‘formazione’ intellettuale e musicale» puntando il dito sulle ‘specializzazioni’ che spesso rappresentano «una forma di pigrizia e talvolta anche di calcolo ‘artistico’ che non giova alle musiche né favorisce esecuzioni importanti» convinto che «spesso ‘specialista di’ è sinonimo di dedizione quantitativa a un autore, non di reale approfondimento critico o di cura esecutiva agguerrita e rigorosa nelle scelte». Il volume costituisce un insieme di percorsi e narrazioni verso la scoperta o riscoperta dell’intelligenza, della poetica e della concezione della musica di Abbado dai titoli: Ritratti – Quattro autori – Scelte – Recensioni, Cronache, Interviste. Particolarmente significativa la sezione Illustrazioni che divide i primi tre capitoli dal resto del libro; le foto svelano la storia professionale oltre a frequentazioni, amicizie, incontri, relazioni, luoghi, ecc. che costituiscono alcuni fotogrammi della sua vita intensa, restituendo quel sorriso che, unito all’espressione del viso, aiuta a comprendere la sua capacità di far esprimere la musica. Ad una domanda sul parlare pochissimo durante la concertazione il maestro, riferendosi alla prassi di Furtwängler, risponde che, a parte alcuni dettagli di carattere esecutivo esplicitati a voce, «per il resto deve bastare il contatto che le prove favoriscono tra direttore e orchestra». Volendo ricordare Puccini, ecco una domanda di Foletto: «Musicalmente come definiresti Puccini?» Risposta: «Se pensi che Turandot è degli stessi anni di Erwartung e Wozzeck si possono capire molte cose». Ma a quali cose alludeva il maestro può comprenderlo solo chi come lui è stato interprete e profondo conoscitore della cultura mitteleuropea. Alla domanda sulle sue letture Abbado risponde con un consiglio: «In questo momento [estate 1981] sto leggendo gli ultimi racconti della Blixen, il Libro degli amici di Hofmannsthal – leggilo, è bellissimo e l’ultimo saggio su Mahler di de La Grange. Rileggo spesso i vecchi amori da Dostoevskij a Kafka». Questo prezioso volume aiuta a conoscere o a ripensare con più profondità il personaggio e il grande direttore d’orchestra non senza soffermarsi sulla foto in copertina che ritrae Abbado e Foletto di fronte: immagine che dice molto sulla loro interazione tanto che la si percepisce guardando da entrambe le direzioni senza alterare minimamente due intelligenze che aspirano all’incontro.