Charles Hubert Hastings Parry (1848 – 1918): “Judith” (1888)

Oratorio in due atti Charles Hubert Hastings Parry con inserimento di estratti biblici. Toby Spence (Manasseh), Kathryn Rudge (Meshullemeth), Sarah Fox (Judith), Henry Waddington (High Priest of Moloch, Messenger of Holofernes). Crouch End Festival Chorus, David Temple (maestro del coro), London Mozart Players,  William Vann (direttore). Registrazione: St. Jude-on-the-Hill, Hampstead, Royal Festival Hall, 3 aprile 2019. 2 CD Chandos CHSA5268

La storia della musica inglese sembra divisa in due blocchi contrapposti: la trionfale stagione del XVIII secolo e la ripresa sempre più significativa nel XX con in mezzo lo iato dell’intero Ottocento quando il monopolio dalla musica italiana e tedesca sembra assolutamente soverchiante. In realtà nella seconda metà del secolo cominciavano a maturare i fermenti per una rinascita della musica inglese. Il nome di Hunbert H. Parry può facilmente non dire nulla ai più ma la sua figura ha un ruolo fondamentale per comprendere il fenomeno che porterà a personaggi come Holst o Delius.
Una finestra su questo mondo musicale è ora aperta da questa nuova incisione Chandos che ci presenta in disco l’oratorio “Judith” andato in scena con trionfale successo al Birmingham Triennal Festival del 1888, un successo tanto sincero che alcuni suoi brani sono diventati parte del folklore musicale inglese, per poi scomparire definitivamente dai palcoscenici con nessuna esecuzione tra il 1951 e il 2019.
Il Birmingham Triennal Festival era un’istituzione molto radicata nella vita musicale inglese, un evento totalmente dedicato alla musica corale e oratoriale molto partecipato a tutti i livelli. Quando il festival commissionò un nuovo lavoro a Parry questo veniva dal successo dell’ode corale “Blest Pair of Sirens” (1887) che l’aveva rivelato come il più promettente talento della musica corale inglese. Quello che il festival chiedeva era un grande oratorio sul modello del “Elijah” di Mendelssohn quindi un lavoro decisamente più impegnativo. Parry ebbe non pochi dubbi al riguardo cui si univa una sostanziale insofferenza per la tradizione cristiana. Il festival rifiutò però tutti i tentativi di mediazione in direzione di un oratorio mitologico ispirato agli antichi miti germanici o ai poemi cavallereschi imponendo un soggetto biblico. Nonostante tutti i dubbi al riguardo Parry non poteva rinunciare all’occasione e alla fine la scelta cadde su un tema come la storia di Giuditta vista soprattutto attraverso gli studi comparati eseguiti all’inizio del Settecento da Humphrey Prideaux capace di unire il tema sacro richiesto al taglio eroico ricercato dal compositore. Il libretto realizzato per l’occasione inseriva numerosi estratti biblici mostrando un notevole rigore filologico.
L’ascolto rivela pregi e limiti dell’arte di Parry. Compositore di ottima formazione e di sicuro talento si mostra perfettamente a suo agio nel giocare con forme e stili diversi. L’impianto è chiaramente quello del proprio tempo con un impianto di fondo di matrice tardo-romantica ma Parry recupera e inserisce con grande sensibilità stilemi recuperati dalla tradizione dove al fianco dell’obbligatorio riferimento a Mendelssohn riconosciamo soprattutto Handel e Bach con una grande predisposizioni per fugati corali di innegabile suggestione. Un recupero di uno stile barocco – sentito come strettamente connesso alla musica sacra – si riconosce anche nel trattamento della vocalità.
Parry era un grande conoscitore del coro da cui sapeva trarre ogni sfumatura e non a caso sono proprio queste le parti più ricche d’ispirazione. Ampie architetture sonore costruite con mano sicura e in cui si mostra anche dotato di un’ammirevole capacità melodica. I suoi cori sono non solo particolarmente curati ma riesce a trarre dal canto corale un’espressività sincera e intensa. L’altra grande qualità di Parry è quella di orchestratore così che il velluto orchestrale di fondo si mostra sempre all’altezza del canto corale che sostiene. Meno ispirato ci sembra la trattazione solistica: le voci si esprimono principalmente in un declamato certo solenne ma anche espressivamente monocorde scarsamente votato ad espansioni vocali. Le stesse arie – con l’esclusione dell’intensa e nostalgica “Long since in Egypt’s plenteous land” non a caso riadattata da Stocks nel 1924 e diventata uno degli inni più amati della liturgia inglese – mancano della sincerità espressiva che ritroviamo nei brani corali.
L’esecuzione musicale è affidata a William Vann alla guida dei London Mozart Players, compagine orchestrale non particolarmente nota ma qualitativamente assai valida. Il direttore fornisce una lettura scrupolosa che ben evidenzia tanto il rigore arcaicizzante di certe strutture quanto la crudezza barbarica di certi impasti timbrici. Ha inoltre il merito di non cadere nella trappola del facile sentimentalismo verso cui spingono certi momenti mantenendo sempre una visione rigorosa della partitura. Semplicemente impeccabile la prova del Crouch End Festival Chorus guidato da David Temple capace di rendere tutta la grandiosità della scrittura corale di Parry con una nota di particolare merito per il coro delle voci bianche veramente esemplare come qualità esecutiva.
Toby Spence affronta la parte del vero protagonista – il re Manasseh cui avrebbe dovuto essere intitolato l’oratorio prima di ripiegare sul più noto Judith – con voce non particolarmente bella come timbro ma solida e robusta così da dominare una parte lunga e spesso assai scomoda come tessitura. L’interprete è convinto e partecipe e nel complesso la figura del re è assai ben costruita in tutte le sue sfaccettature. Il ruolo del titolo è in proporzione abbastanza breve. Sarah Fox lo affronta di slancio con una voce di soprano drammatico sfogata e molto solida. Il canto non è sempre pulitissimo e la linea di canto mostra più d’una durezza ma il carattere eroicamente altisonante del ruolo fa perdonare queste difficoltà. Vocalmente più pulita e musicale Kathryn Rudge che si abbondona ai lirismi nostalgici di Meshullemeth. Completa il cast Henry Waddington che con solido mestiere affronta i ruoli del Gran sacerdote di Moloch e dell’araldo di Oloferne.
La suggestiva acustica della St. Jude-on-the-Hill di Hampstead ben contribuisce alla resa complessiva della registrazione.