101° Arena di Verona Opera Festival 2024: “La Bohème”

101° Arena di Verona Opera Festival 2024
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica

Musica di Giacomo Puccini
Mimì JULIANA GRIGORYAN
Musetta ELEONORA BELLOCCI
Rodolfo VITTORIO GRIGOLO
Marcello LUCA MICHELETTI
Schaunard JAN ANTEM
Colline ALEXANDER VINOGRADOV
Benoit NICOLO’ CERIANI
Alcindoro SALVATORE SALVAGGIO                                                                        Parpignol RICCARDO RADOS                                                                              Sergente dei doganieri NICOLÒ RIGANO                                                                Un doganiere CARLO BOMBIERI                                                                            Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Roberto Gabbiani                                                                    Coro di voci bianche A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani
Regia Alfonso Signorini                                                                                     Scene Guillermo Nova                                                                                          Coordinamento costumi Silvia Bonetti
Luci Paolo Panizza                                                                                              Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino                                                            Nuova produzione
Verona, 19 luglio 2024                                                                                        Mancante in
Arena da più di dieci anni, il capolavoro pucciniano ritorna proposto da Fondazione Arena in un nuovo allestimento affidato alla regìa di Alfonso Signorini continuando così una sfida già iniziata lo scorso anno con il Rigoletto firmato da Antonio Albanese; una sfida che non sempre si può dire vinta. Vi è stato un tempo in cui gli spettacoli areniani erano affidati a registi esperti (Zeffirelli, Lavia, Squarzina, Montaldo, Patroni Griffi ed altri) mentre oggi assistiamo sempre di più alle sperimentazioni teatrali di chiunque decida una mattina di alzarsi e di firmare uno spettacolo. La regìa di un’opera lirica è ben altro e in effetti quanto visto è di ben poco conforto alle aspettative create, sebbene il giornalista/presentatore avesse già allestito l’opera a Torre del Lago qualche anno fa. L’idea di Signorini, come riportato nelle note di regìa, è quella di togliere Mimì dalla visione onirica e romantica di un’epoca “che si nutriva di figurine di carta e di fiori profumati”; una Mimì intraprendente, quasi inopportuna, che dall’alto spia i quattro amici attendendo che lascino solo Rodolfo per presentarsi a lui con il pretesto del lume. Non la solita Mimì ingenua e sprovveduta, quindi, ma una donna volitiva, che non teme di autoinvitarsi ed aggregarsi all’allegra compagnia dei quattro amici squattrinati. Di fatto, però, è questa la sola componente innovativa dello spettacolo poiché tutto il resto scivola in una sorta di limbo dove è difficile orientarsi in un concetto scenico di trasparenza teso a gettare lo sguardo dello spettatore oltre la semplice sequela dei quadri, rivelando quanto accadrà dopo. Tutto il resto denota poche idee non bene coordinate (o forse non supportate da un numero adeguato di prove) con la comparsa, nel secondo quadro, di elfi, babbi natale e befane intente a spazzare la strada. Anche i due danzatori ai lati del palcoscenico che creano una coreografia continua durante tutto il terzo quadro non si sa bene dove vogliono andare a parare. Tali impressioni sono poi sostenute dallo stesso impianto scenografico che come struttura di base prende a prestito il praticabile creato per Aida di Poda (in cartellone allo stesso festival) e sul quale gli elementi inseriti da Guillermo Nova cercano di ricreare l’atmosfera parigina descritta dal romanzo di Murger, unitamente ai costumi scelti e coordinati da Silvia Bonetti, comunque rispettosi dell’ambientazione storica originale di metà Ottocento. Il resto lo fanno le luci di Paolo Panizza che intervengono sempre in modo discreto e pertinente sulle azioni del palcoscenico adattandovisi lungo lo svolgimento dello spettacolo. Non del tutto compatto, e qui veniamo alla parte musicale, il cast vocale a cominciare dal Rodolfo di Vittorio Grigolo, del tutto avulso dall’interazione scenica con gli altri personaggi, quasi estraneo alla vicenda stessa. Gli eccessi scenici e vocali e l’autocompiacimento a cui ci sta abituando con urla, singulti e scatti fulminei (di dubbio gusto verista) a scapito di un timbro pure appropriato al ruolo, ne compromettono tanto il temperamento quanto la visione stessa del poeta innamorato: Rodolfo non è Turiddu e a farne le spese sono spesso la tenuta vocale e, talvolta, la stessa intonazione. Al suo fianco Juliana Grigoryan dipinge una Mimì civetta quanto basta ma senza osare troppo, forse timorosa di eccedere: la voce è bella ma l’interpretazione non risulta particolarmente coinvolgente soprattutto nei distesi cantabili di Mi chiamano Mimì e Donde lieta uscì condizionando sia pur minimamente una bella prestazione. Luca Micheletti è un Marcello convincente sul piano scenico (non dimentichiamo che viene comunque dal teatro) quanto su quello vocale, reso quasi aristocratico da una morbida vocalità che riesce sempre a piegare nei diversi stati d’animo senza mai cadere nel rischio di gonfiare il suo personaggio. Il quartetto di amici bohèmiens era completato dallo spensierato Schaunard di Jan Antem, corretto e preciso, musicalmente puntuale e di garbata presenza scenica, e il filosofo Colline di Alexander Vinogradov che nel quarto atto riesce solo parzialmente a dare quel tono oscillante tra il grave e l’ironico in Vecchia zimarra. Molto bene Musetta, qui interpretata da Eleonora Bellocci con gusto e vivacità appropriati al ruolo ma sempre attenta a non cadere nel tranello di un’interpretazione “caricata”; e questo lo si è udito soprattutto nel quarto quadro. Di corretto apporto, infine, le voci di Nicolò Ceriani (Benoit), Salvatore Salvaggio (Alcindoro), Riccardo Rados (Parpignol), Nicolò Rigano (Sergente dei Doganieri) e Carlo Bombieri (Doganiere). Dal podio, Daniel Oren sembra aver perduto lo smalto e la pregnanza sanguigna che ne avevano sempre contraddistinto il piglio interpretativo; la sua direzione è blanda, a tratti persino stanca con tempi allentati ed esposti al rischio di pericolose scollature con il palcoscenico, come ad esempio nel finale del secondo quadro; ne consegue una prestazione corretta dell’orchestra, certo non memorabile. Analogamente si può dire del coro diretto da Roberto Gabbiani che al Quartiere Latino non è sempre ineccepibile negli insiemi; decisamente positivo invece il coro di voci bianche A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani. Arena quasi da tutto esaurito, nonostante l’inizio dello spettacolo sia slittato di un’ora a causa della perturbazione atmosferica che gravava su Verona; come da tradizione le immortali pagine pucciniane sono state accolte da vibranti applausi. Per concludere, un allestimento per nulla disprezzabile ma nemmeno epocale. Unica replica sabato 27 luglio. Foto Ennevi per Fondazione Arena