Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2023-2024 del Teatro La Fenice
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore, flautino e flauto traversiere Federico Maria Sardelli
Violino principale Roberto Baraldi
Soprano Michela Antenucci
Musiche di Antonio Vivaldi
Venezia, 14 giugno 2024
Uno spaccato di vita musicale veneziana nel Settecento – omaggio ad Antonio Vivaldi e ai luoghi legati alla sua arte – si è schiuso al Teatro Malibran nel recente concerto della Stagione Sinfonica 2023-2024, che ha avuto come protagonisti il maestro Federico Maria Sardelli, alla guida dell’Orchestra del Teatro La Fenice, e il soprano Michela Antenucci, oltre a Roberto Baraldi in qualità di violino principale. Reduce dal successo riportato, sempre alla Fenice, con Il Bajazet, il direttore toscano – interprete e studioso di riferimento per quanto riguarda il Prete Rosso: tra l’altro, membro dell’Istituto Vivaldi della Fondazione Giorgio Cini di Venezia e responsabile del catalogo vivaldiano (RV) – si è esibito nella doppia veste di direttore e solista (al flautino e al flauto traversiere). La serata ha avuto inizio con il Concerto in re minore per violino principale, organo, archi e basso continuo (RV 541), che ci ha idealmente trasportato all’Ospedale della Pietà – l’orfanotrofio femminile, dove Vivaldi lavorò per circa quarant’anni, tra il 1704 e il 1740 –, in quanto appartiene al gruppo di concerti per violino e organo concertante, che – a prescindere dal titolo, privo di indicazioni religiose – spesso servivano ad aprire o chiudere le celebrazioni liturgiche, che si svolgevano nell’Istituto, con una ‘putta’ al violino e un’altra all’organo. Impeccabile il violino di Roberto Baraldi, che ha sfoggiato un suono morbido e rotondo, una padronanza tecnica particolarmente evidente nelle agilità, un consapevole adeguamento al codice stilistico vivaldiano (complice verosimilmente il maestro Sardelli). Gli ha corrisposto un’orchestra – qui come altrove – scattante e sensibile, coesa nell’insieme, ineccepibile negli interventi delle varie sezioni o dei singoli strumenti come nel basso continuo.
Seguiva una serie di brani in prevalenza di musica liturgica, un genere che, insieme al teatro musicale, impegnò Vivaldi in modo assiduo: tra essi lo straordinario mottetto In furore giustissimæ iræ (RV 626), uno della dozzina di mottetti che ci sono rimasti dei circa cento composti e poi spediti per posta a varie corti. Brillante la prestazione di Michela Antenucci, che ha dimostrato di essere a suo agio in un ambito vocale lirico-leggero, segnalandosi per il timbro puro e squillante, la dizione diffusamente efficace, la nitida articolazione nelle agilità. Una vera e propria festa di colori orchestrali si è rivelato il Concerto per la Solennità di San Lorenzo (RV 556) – uno dei concerti scritti per solennizzare occasioni importanti, grandi eventi liturgici oppure la visita di un principe di passaggio –, in cui hanno primeggiato i violini, i flauti, i clarinetti e il fagotto. Come indica il titolo, l’occasione per cui è stato composto il Concerto è la festa di San Lorenzo; non conosciamo, invece, l’anno di composizione né quale istituzione abbia commissionato il lavoro; comunque non può trattarsi della Pietà, perché lì il fagotto non veniva utilizzato. Più probabile che la commissione sia pervenuta dal ricco convento femminile di San Lorenzo, che accoglieva rispettabili rampolle di famiglie patrizie venete, offrendo loro la possibilità di imparare a suonare una vasta gamma di strumenti.
Una parentesi ‘teatrale’ si è aperta con l’aria “Sempre copra notte oscura” (RV 738), un frammento dal celebre Tito Manlio, una di quelle opere in cui Vivaldi utilizza, nelle arie, un gran numero di strumenti concertanti: i corni, la tromba, la viola d’amore o, come nell’aria presentata in questa serata, il flautino, suonato da Sardelli con virtuosistica destrezza e compostezza stilistica ad accompagnare uno dei momenti più intimi dell’opera, in cui l’orchestra tace e lo strumento dialoga con il basso continuo e la voce. La quale – nel caso di Michela Antenucci – ha saputo efficacemente interagire con lo strumento solista dimostrando sensibilità e controllo dei mezzi tecnico-espressivi.
Ancora il parametro timbrico dominava nel Concerto in do maggiore per due clarinetti e due oboi (RV 559), dove Vivaldi – primo e unico in Italia – utilizza il clarinetto, strumento, all’epoca, piuttosto nuovo, costruito poco tempo prima a Norimberga da Johann Cristoph Denner. La scelta da parte di Vivaldi di inserirlo in partitura era una novità assoluta, un’operazione d’avanguardia, che proponeva un suono mai udito prima dal pubblico. Un vero piacere per le orecchie è stato ascoltare le due coppie di strumenti concertanti – due oboi e due clarinetti –, che si rispondevano, gareggiando a due voci.
Al Vivaldi sacro si è tornati con il conclusivo Laudate pueri (RV 601 ), scritto all’inizio degli anni Trenta ed inviato – insieme ad altri brani, che dovevano costituire un saggio di bravura – a Dresda, dove l’autore sperava che il nuovo Principe Elettore lo nominasse Kapellmeister o gli conferisse un incarico importante presso quella corte, dov’era molto stimato, in primis dal maestro dei concerti Johann Georg Pisendel, già suo allievo a Venezia. Entusiasmante, quanto a destrezza nelle ardue colorature e musicalità, la prestazione di Michela Antenucci – cui ha corrisposto quella di Federico Maria Sardelli, anche come solista al flauto traversiere – nell’affrontare questa bellissima versione intonata del Salmo 112, scritta per una voce di soprano estesa addirittura fino al re sovracuto. Magnifico questo Vivaldi della tarda maturità! Lo stesso che compone il Bajazet: un musicista moderno, che utilizza il traversiere come strumento concertante, anche perché sapeva che alla corte Dresda tale strumento era molto apprezzato. Nondimeno la sua speranza di trasferirsi nella città tedesca andrà delusa. Tutt’altro che deluso era invece, a fine serata, il pubblico del Malibran, che ha lungamente applaudito, meritandosi un bis: il pirotecnico Amen dal Laudate pueri.