Staatsoper Stuttgart: “Il Trovatore”

Staatsoper Stuttgart, Stagione Lirica 2023/2024
“IL TROVATORE”
Dramma in quattro parti su libretto di Salvadore Cammarano e Leone Emanuele Bardare, da una tragedia di Antonio Garcia Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna ERNESTO PETTI
Leonora SELENE ZANETTI
Azucena KRISTINA STANEK
Manrico ATALLA AYAN
Ferrando
 MICHAEL NAGL
Inez
 ITZELI JÁREGUI
Ruiz
 PIOTR GRYNIEWICKI

Un vecchio zingaro WILLIAM DAVID HALBERT
Un messo RUBÉN MORA
Orchestra e Coro della Staatsoper  Stuttgart
Direttore Antonello Manacorda
Maestro del Coro Manuel Pujol
Maestro del Coro di voci bianche Bernhard Moncado
Regia Paul-Georg Dittrich
Scene Christof Hetzer
Costumi Mona Ulrich
Luci Alex Blok
Drammaturgia Ingo Gerlach
Stuttgart, 9 giugno 2024

Il sipario si apre con una pantomima dal significato oscuro, prima del rullo di timpani che anticipa la fanfara introduttiva in mi maggiore (speculare agli accordi di mi bemolle minore che concludono la partitura: in Verdi, la discesa di un semitono significa immancabilmente sventura avvenuta) poi ripetuta dagli archi soli. La scena ci mostra una Spielplatz in rovina nella quale un coro di bambini intona le parole che dovrebbero essere affidate ai soldati, e il perché di questo rimane ignoto. Proseguendo, sulla scena appaiono Leonora e Manrico vestiti da cow-boys al primo atto e in seguito come Barbie e Ken nella scena della Pira, acrobati, ballerini di break dance che si agitano freneticamente nei momenti più drammatici di un’ azione scenica che la regia interrompe a suo piacimento con letture di versi in tedesco, declamati in stile da film Horror. Questo è solo una piccola parte di ciò che si è visto nell’ allestimento del Trovatore alla Staatsoper Stuttgart, ultima nuova produzione della stagione che sta per concludersi. L’ideatore di questa specie di Hellzapoppin’ era Paul-Georg Dittrich, quarantunenne regista originario del Brandeburg, che nel 2019 aveva provocato uno scandalo a Damstadt con una produzione del Fidelio in cui aveva fatto riscrivere la musica della scena finale. Come nel caso del controverso Boris Godunov allestito nel 2020 qui a Stuttgart, anche questa produzione ha dimostrato che la specialità del regista brandeburghese è quella di stravolgere e manomettere i testi per adattarli alle idee che vuole esprimere. al contrario di lui, anche a costo di sembrare conservatore, io continuo a pensare che il compito di un’ interpretazione musicale o scenica sia quello di mettere in evidenza ciò che l’ autore ha voluto dirci e non quello di usare il suo lavoro come pretesto per diffondere le idee del regista. In definitiva, questo spettacolo era la perfetta dimostrazione dell’ equivoco di fondo che invalida quasi tutto il cosiddetto Regietheater. Il problema più grosso della maggior parte dei registi di oggi è a mio avviso l’ incapacità di confrontarsi col mito e con le storie del passato. Loro vedono il teatro solo come dramma borghese e/o groviglio di conflitti psicologici, oppure come esibizione puramente estetica di installazioni artistiche. Una simile mentalità induce a riflettere sulla “moda” attuale del dramma borghese a tutti i costi, sulla rinuncia alla fabula come metafora (sostituita dalle valenze metaforiche della realtà) e sull’ insistenza – spesso davvero eccessiva – a visualizzare tutto secondo gli elementi di uno junghianismo da quattro soldi. A questo proposito diceva bene Emil Cioran quando affermava che mille anni di guerre hanno plasmato l’ Occidente ma è bastato un secolo di psicologia per ridurlo in frantumi. In casi come questo, lo spettatore frastornato da quello che vede cerca conforto nella prova dei cantanti. Purtroppo, questa esecuzione offriva poco di pregevole anche sotto questo aspetto. Antonello Manacorda ha diretto in maniera pulita, precisa e ordinata ma anche terribilmente carente di senso del teatro e di tensione. Non basta far suonare bene l’orchestra per interpretare bene un’ opera come il Trovatore che si basa su contrasti drammatici estremizzati al massimo, e quindi tutta l’ esecuzione suonava terribilmente pallida e smorta. In due parole, un Verdi che sembrava Mozart. Per quanto riguarda la compagnia di canto, l’unica prestazione pienamente sufficiente era quella del tenore brasiliano Atalla Ayan, che possiede i requisiti vocali necessari alla parte di Manrico e ha messo in mostra un canto sicuro e note alte di buono squillo. Il soprano vicentino Selene Zanetti, che debuttava scenicamente Leonora dopo aver cantato il ruolo in forma di concerto a Budapest, ha una voce insufficiente per reggere le difficoltà  vocali della parte, nelle note gravi della prima scena del quarto atto il suono si stimbra e la voce nell’ ottava alta suona sotto sforzo, con tutte le vocali che diventano “I”. Gravemente insufficiente era anche l’ Azucena del mezzosoprano renano Kristina Steifeld, che nell’ ottava bassa annaspava ed era costretta a sforzi tremendi per tirare fuori note che, puramente e semplicemente, non possiede in natura. Il baritono siciliano Ernesto Petti ha una voce di bel colore gestita in modo tecnicamante abbastanza corretto, ma per un ruolo come quello del Conte di Luna dovrebbe curare molto di più le sfumature dinamiche e l’ eleganza del fraseggio, che qui appariva abbastanza trascurata. Semplicemente fuori parte il Ferrando di Michael Nagl, che essendo un baritono mozartiano non possiede la consistenza del suono e la cavata nelle note centrali necessaria per le parti verdiane di basso. Alla fine il pubblico della Staatsoper ha applaudito molto cordialmente i protagonisti della parte musicale e poi ha riservato una violenta ondata di fischi ai responsabili della parte scenica. Verdetto ineccepibile. Sei vendicato, o Verdi! Foto Matthias Baus