Milano, Teatro alla Scala: “Werther”

Milano, Teatro alla Scala, Stagione 23/24
WERTHER”
Dramma lirico in quattro atti e cinque quadri su libretto di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann.
Musica di Jules Massenet
Werther BENJAMIN BERNHEIM
Albert JEAN-SÉBASTIEN BOU
Le Bailli ARMANDO NOGUERA
Schmidt RODOLPHE BRIAND
Johann ENRIC MARTÍNEZ-CASTIGNANI
Brühlmann PIERLUIGI D’ALOIA*
Charlotte VICTORIA KARKACHEVA
Sophie FRANCESCA PIA VITALE
Kätchen ELISA VERZIER
Les Enfants**
Fritz MAYA CAIAZZA
Max MATTEO GERMINARO
Hans THEODORE CHKAREULI
Karl ALESSANDRO DE GASPARI
Gretel ALLEGRA MAIFREDI
Clara VITTORIA MONTANO
*Allievo dell’Accademia di Perfezionamento per Cantanti Lirici del Teatro alla Scala
**Allievi del Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Orchestra del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Alain Altinoglu
Maestro del Coro di Voci Bianche Bruno Casoni
Regia e coreografia Christof Loy
Scene Johannes Leiacker
Costumi Robby Duiveman
Luci Roland Edrich
Nuova produzione Teatro alla Scala in Coproduzione con Théâtre des Champs-Élysées
Milano, 19 giugno 2024
Torna il “Werther” alla Scala in un raffinatissimo allestimento di Christof Loy. C’è un mondo borghese, protetto e solido nelle sue convinzioni e convenzioni, e c’è lo stravagante, l’eccentrico. L’attrazione, fra gli opposti, è reciproca: così è in Massenet, e non in Goethe. Se questo è il discorso registico, chiaro e affatto fuori tema, la forma che lo esprime è di raffinatissima eleganza. Al centro della scena fissa di Johannes Leiacker è la soglia, con tutto il suo corredo metaforico. Lo spettacolo si muove in una fetta piuttosto sottile del proscenio, corridoio del tipico interno borghese dai toni pastellati. Così si può meglio godere, oltre che degli eleganti e registicamente definitivi costumi di Robby Duiveman, dell’accuratissimo lavoro condotto sulla recitazione, con la complicità di tutti gli interpreti, bravissimi Enfants in testa. I protagonisti vengono mossi sulla scacchiera del parquet con precisione millimetrica, esplorando tutti gli incastri e le combinazioni possibili, intessendo con la musica un’autentica coreografia, impercettibile per l’apparente naturalezza. La corrispondenza con Werther scagliata da Charlotte ai piedi di Albert si spande sul palco a segnare la distanza fra i due: un gesto semplice, e teatralissimo. Il sentimentale e delicato protagonista è un bel guaio tenorile, essendo i suoni femminei dei vari Schipa, Tagliavini, Gigli e persino Kraus oramai lontani dal gusto d’oggi. Benjamin Bernheim lo risolve puntando, e giudiziosamente, sulla lingua: è dall’accentazione vibrante e sensibile, dal suono della lingua e delle sue consonanti soprattutto, che spicca il volo il canto di stile francese di cui l’opera è splendido esempio. Il timbro non ha bisogno d’essere favoloso, ma è ben pulito e squillante, nitido e sicurissimo in un’emissione inscalfibile ma flessibile alle necessità dell’espressione, che qui sono davvero molte. Accanto all’indiscutibile protagonista sta un cast di ottimo livello. Charlotte ha la voce morbida, piena e calda di Victoria Karkacheva. Jean-Sébastien Bou è un Albert ruvido, come dev’essere, e incisivo fraseggiatore. Francesca Pia Vitale è una Sophie semplicemente deliziosa, ottima attrice, e voce dal timbro fresco e lucido, brillante, ma corposo, denso, e morbido. Il Borgomastro è Armando Noguera, voce ben sonora e dizione esemplare. Johann e Schmidt sono Enric Martínez-Castignani e Rodolphe Briand, che mai indulgendo al ridicolo restano, sia vocalmente che scenicamente, fedeli al buon gusto. Pierluigi d’Aloia, Brühlmann, si produce in un bel cammeo di ubriaco, e trova in Elisa Verzier la sua Kätchen. Opera ad alto tasso di romanticume: il rischio di sbandamento nello stucchevole, si sa, è dietro l’angolo. Soprattutto se in gioco ci sono anche i bambini: ma non qui. Un po’ perché i fratellini, scelti fra gli Allievi del Coro di Voci Bianche della scaligera Accademia diretto dall’intramontato Bruno Casoni, cantano benissimo e recitano meglio. Un po’ perché sotto la direzione vigile ed elastica di Alain Altinoglu sono banditi slanci patetici. In buca regna una cameristica attenzione all’equilibrio fra le sezioni, con una sensibilità tutta francese per i colori. Questo Werther dimostra, e forse ce n’era proprio bisogno, che eleganza non implica noia. Foto Brescia & Amisano