Cremona, Monteverdi Festival 2024:”L’Orfeo”

Cremona, Teatro Amilcare Ponchielli, Monteverdi Festival 2024
L’ORFEO
Favola in un prologo e cinque atti di Alessandro Striggio
Musica di
Claudio Monteverdi
Orfeo MARCO SACCARDIN
La Musica/ Euridice JIN JIAYU
La Messaggera MARGHERITA SALA
Proserpina PAOLA VALENTINA MOLINARI
Caronte ALESSANDRO RAVASIO
Plutone ROCCO LIA
La Speranza LAURA ORUETA
Apollo/ Pastore IV/ Spirito III GIACOMO NANNI
Pastore I/ Spirito I ROBERTO RILIEVI
Pastore II/ Spirito II MATTEO STRAFFI
Pastore III SANDRO ROSSI
Ninfa EMILIA BARTOLINI
Orchestra Il Pomo d’Oro
Coro Monteverdi Festival Cremona Antiqua
Maestro al
cembalo Francesco Corti
Maestro del Coro Dario Maccagnola
Regia Olivier Fredj
Scene Thomas Lauret
Costumi Camilla Masellis, Frédéric Llinarès
Luci Nathalie Perrier
Video Julien Meyer
Visual contents Jean Lecointre
Nuova
produzione Fondazione Teatro “A. Ponchielli” Cremona – Monteverdi Festival
Cremona, 21 giugno 2024
Qualunque cosa abbiamo visto in scena al Ponchielli di Cremona per il Festival Monteverdi 2024, non si tratta esattamente de “L’Orfeo” di Monteverdi. Probabilmente, tra le molte e diversificate sperimentazioni e contaminazioni che il Festival promuove ogni anno, devono essersi dimenticati di mettere in scena un’opera come Monteverdi l’ha scritta, e hanno tentato una sorta di musical su melodie di Monteverdi, suonate da un ensemble barocco dal piglio non del tutto adeguato – troppo pop, come la direzione del maestro Francesco Corti, che sembra più attento a trarre un suono accattivante, piuttosto che regale, fin dalla sinfonia iniziale. Tempi, dinamiche, agogiche, fino all’interpretazione dei singoli cantanti: tutto, in questo “Orfeo” suona molto “simpatico”, ma francamente distante dal 1607 – o meglio: da quello che ci aspetteremmo fosse il 1607, giacché siamo consapevoli dell’impossibilità di ricreare perfettamente il suono di quei tempi, tanto quanto il concertatore di un ensemble solido e talentuoso come Il Pomo d’Oro sa che esiste una chiara tradizione a riguardo con la quale si confronterà. Il confronto, detto chiaramente, non regge: le intenzioni di “svecchiare”, per quanto buone, si risolvono in una versione ritmata e agile dell’opera monteverdiana, ma del tutto estranea agli ultimi cinquant’anni di renaissance barocca. Parimenti, la scelta di alcune voci – per lo più maschili – sembra interpretabile nella stessa direzione: cantanti dalla linea di canto assai simile a quella dei tenori e baritoni “pop” (i Pastori Roberto Rilievi, Matteo Straffi, Giacomo Nanni), o che non mostrano sufficiente sicurezza tecnica nella resa vocale (Sandro Rossi); gli interpreti di Orfeo e Plutone, Marco Saccardin e Rocco Lia, d’altro canto, mostrano invece una certa fermezza tecnico-vocale, diciamo “tradizionale”, il primo con un suono sano e pulito al servizio di un fraseggio forse eccessivamente marcato per questo repertorio, ma di bell’impatto, il secondo unico del cast a fornire un’interpretazione sobria, caratterizzata da un canto compatto e uniforme; Alessandro Ravasio, come Caronte, invece, non appare incisivo, caratterizzato da un canto scarsamente proiettato. Diversamente, le interpreti femminili ci appaiono più omogenee, su cui costruiscono ruoli dagli esiti alterni, per quanto tutto sommato positivi: Margherita Sala (la Messaggera) e Paola Valentina Molinari (Proserpina) si profilano come le due più piacevoli conferme della serata, l’una unendo un fraseggio luminoso ed accorato al registro contraltile pieno e pastoso, l’altra tratteggiando una Proserpina ricca d’afflato lirico, dai suoni smaltati; pure la ninfa di Emilia Bertolini si distingue, per quanto in un ruolo di lato, proprio per il nitore dell’emissione e la bellezza del suono. La Speranza di Laura Orueta gode della buona tecnica dell’interprete spagnola, tuttavia avremmo apprezzato una maggiore tensione espressiva, certamente smorzata anche dalla non gratificante resa scenica; infine Jin Jiayu, nel doppio ruolo di Euridice e della Musica, sfodera fascino e grande propensione scenica, ma una vocalità corretta quanto generica, “senz’infamia e senza lode” per citare Dante, come fa sovente Striggio: per due parti simili avremmo apprezzato forse un’interprete di maggiore esperienza col canto barocco e all’italiana. L’apparato scenico di questo “Orfeo” è senza dubbio molto discutibile, ma ci è parso estremamente equilibrato, originale senza essere per forza invasivo, e per questo un plauso va al regista francese Olivier Fredj: si intuisce chiaramente la direzione che tutte le forze coinvolte nella creazione della scena hanno intrapreso, cioè quella onirica, surreale, tra Dalì e Picasso, alla ricerca di Freud e Hitchcock; insomma, una regia novecentesca in senso modernista, che si gioca su pochi elementi scenici multifunzionali e giochi di luci e video suggestivi e azzeccati (complimenti ai tre ideatori Nathalie Perrier, Julien Meyer, Jean Lecointre). Un elemento della messa in scena che si apprezza certamente è il lavoro sulle relazioni tra personaggi, che passano per i corpi degli stessi, le intenzioni dei gesti, la mutualità degli sguardi. È impossibile annoiarsi, ma ogni tanto qualche vezzo di troppo stona, soprattutto nei costumi curati da Camilla Masellis e Frédéric Llinarès: perché la Speranza è in tuta e porta sulle spalle uno specchio? Perché al suo stesso matrimonio Orfeo è vestito con un giubbino, mentre Euridice è in abito tradizionale? E perché gli spiriti dell’Inferno sono in abiti barocchi, ma Caronte è in tuta da lavoro rossa? Tuttavia questi elementi non inficiano un progetto scenico sensato e godibile, sebbene dal sapore marcatamente d’oltralpe. Foto Studio B12