101° Arena di Verona Opera Festival 2024
“TURANDOT”
Opera in tre atti e cinque quadri su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni.
Musica di Giacomo Puccini
Turandot OLGA MASLOVA
Imperatore Altoum PIERO GIULIACCI
Timur RICCARDO FASSI
Calaf GREGORY KUNDE
Liù DARIA RYBAK
Ping YOUNGJUN PARK
Pong MATTEO MACCHIONI
Pang RICCARDO RADOS
Mandarino NICOLÒ CERIANI
Il principe di Persia FRANCESCO CUCCIA
Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona
Coro di voci bianche A.d’A.Mus diretto da Elisabetta Zucca
Direttore Michele Spotti
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia e Scene Franco Zeffirelli
Costumi Emi Wada
Movimenti coreografici Maria Grazia Garofoli
Verona, 22 giugno 2024
Dopo la lunga kermesse dedicata al canto lirico italiano (recentemente proclamato patrimonio immateriale dell’Unesco) trasmessa in diretta mondovisione, il Festival n. 101 inaugura con la ripresa di “Turandot” nell’allestimento di Franco Zeffirelli creato ed andato in scena nel 2010. Un allestimento di grande successo, molto apprezzato nella sua spettacolarità visiva, già da noi ampiamente recensito e sul quale sorvoleremo per quanto concerne la regìa, le scene, i costumi e le luci. Diciamo subito che la terza recita non ha offerto particolari emozioni, sia sul piano vocale che sulla direzione d’orchestra; un’esecuzione tutto sommato onesta ma ben lungi da storiche edizioni viste tra le millenarie pietre romane (tra le tante quella di Montaldo del 1983 con la Dimitrova, Martinucci e la Gasdia, diretta da un magnifico Maurizio Arena). Spettacolo parco di impeto e pathos musicale, funzionale forse per il turismo di massa che attende l’aria di Calaf nel terzo atto, ma per nulla allineato alla bellissima e lussureggiante partitura che Puccini ci ha consegnato: forse il centenario della morte del maestro avrebbe meritato qualcosina di più. Cominciamo da Gregory Kunde, il principe ignoto, apparso da subito stanco ed affaticato: le 70 primavere si fanno sentire, così come l’impegno concomitante con le recite di Aida ed il recente Otello di Verdi all’Opera di Roma. Una prova sbiadita la sua e che ha palesato anche delle disomogeneità nei passaggi di registro ma che ha condotto in porto con il sigillo di quel Nessun dorma che il pubblico attende sin dall’inizio dell’opera. Olga Maslova da parte sua ha risolto il tutt’altro che facile ruolo della crudele principessa con una forte volontà esecutiva dalle buone intenzioni che tuttavia sono rimaste sulla carta: oltre a rilevare una dizione poco chiara il suo personaggio non è stato particolarmente incisivo mantenendosi su una certa genericità, senza approfondimento musicale e scenico. Analogamente si può affermare della dolce Liù, eroina e martire dell’amore puro, che tuttavia Daria Rybak, peraltro di buona vocalità, ha solamente dipinto ma tralasciandone ogni tratto di intima sofferenza; sostanzialmente corretta ma appena abbozzata, un vero peccato soprattutto nella scena del sacrificio estremo dove il lirismo pucciniano con Tu che di gel sei cinta eleva il canto ad una delle sue massime vette espressive. Di buona fattura la prova di Riccardo Fassi quale Timur la cui aderenza scenica al personaggio si è rivelata efficace dimostrando anche una convincente linea di canto, così come l’Altoum di Piero Giuliacci, pur nell’esiguità della parte, risulta corretto senza particolari eccessi. Bene i tre dignitari Ping (Youngjun Park), Pang (Riccardo Rados) e Pong (Matteo Macchioni) mentre a completare il cast, senza particolari bagliori, vi era il Mandarino di Nicolò Ceriani. Discreto ed inquadrato il coro di voci bianche A.d’A.Mus diretto da Elisabetta Zucca. Michele Spotti, debuttante in Arena, doma la partitura puntando maggiormente a trovare la quadra più che l’abbandono lirico; un approccio più votato alla tenuta dell’insieme, espresso con gestualità ampia e teatrale ma non sempre di coerenza tra le forti tinte sinfoniche. Ne risulta una tavolozza timbrica monocolore, soprattutto nei contrasti, che l’orchestra non ha saputo gestire; anche la scena del sorgere della luna ha difettato di quelle suggestioni notturne che Puccini descrive con cromatismi e preziosità strumentali. Fondazione Arena, sempre più spesso, sta investendo su direttori giovani ma dovrebbe metterli in condizione di poter provare adeguatamente, soprattutto per gli spettacoli all’aperto su larghi spazi: uno spettacolo si crea, anche confrontandosi con i musicisti e la compagnia di canto. Diversamente dovremo ricordare con nostalgia i tempi di Santi, Arena, Guadagno con centinaia di opere in repertorio tutte a memoria ed in grado di dirigere una recita anche all’ultimo minuto. Siamo però certi che Spotti è un musicista di grande talento e il tempo lo dimostrerà. Ottima la prova del coro ma anche qui sarebbe auspicabile una maggior cura ai piani sonori, non sempre abilmente giocati sui contrasti dinamici ed emozionali di cui Turandot è particolarmente ricca. Sfiorato il tutto esaurito, con un’Arena comunque gremita da un pubblico attento e disciplinato, anche negli applausi. Ultima replica sabato 29 giugno. Foto Ennevi per Fondazione Arena