Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Stanislav Kochanovsky
Violino Simon Zhu
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35
Dmitrij Šostakovič: Sinfonia n. 6 in si minore op. 54
Venezia, 4 maggio 2024
Una soirée, immersa in un’atmosfera che si sarebbe potuta respirate a Mosca o, in passato, a Leningrado si è svolta al Teatro Malibran, dove si proponevano due titoli d’autori russi, entrambi espressione dell’anima di quel Paese, ancorché diversamente stilizzata: il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op.35 di Čajkovskij e la Sesta sinfonia di Šostakovič. Quanto al primo pezzo, la sua notorietà presso il grande pubblico, non trova sempre riscontro nei giudizi di certa critica o di alcuni interpreti, che lo trovano troppo incline al facile effetto. Antesignano di tale atteggiamento fu l’arcigno Hanslick, che liquidò il Concerto con un’astiosa stroncatura.
In ogni caso, si tratta di una delle pagine più straordinariamente virtuosistiche mai scritte per il violino. A questo riguardo, il violinista Simon Zhu – vincitore del Premio Paganini 2023 – ha affrontato con spavalda maestria le difficoltà trascendentali della sua parte, puntando nel contempo alla qualità del suono, anche in quei passaggi, dove – sempre secondo Hanslick – il violino sarebbe costretto a “gracchiare”. Tecnicamente ineccepibile, ma anche espressivo, si è dimostrato il giovanissimo concertista di Tubinga, nel primo movimento, segnalandosi nell’impervia cadenza conclusiva, per poi immergere gli ascoltatori in una dimensione sognante, tra tenue lirismo e delicate sfumature, nella successiva Canzonetta. Estrema brillantezza e insieme compostezza stilistica si sono apprezzate nel concitato finale. Autorevole il maestro Kochanovsky nell’accompagnare il solista con precisi interventi dell’orchestra ora illuminati dalle squillanti e ritmate fanfare delle trombe ora pieni della dolcezza suadente che caratterizzava gli interventi degli archi e dei legni. La tecnica trascendentale e la sensibilità del solista hanno completamente conquistato il pubblico, che ha applaudito con reiterata convinzione meritandosi un fuoriprogramma paganiniano: il capriccio n. 7, con la sua insistenza su ottave e staccato veloce, eseguito con mirabile precisione. Passando a Šostakovič, una telefonata fu determinante nella vita del compositore: attaccato ripetutamente sulla Pravda, fu riabilitato in extremis dal “Piccolo Padre”, che nel marzo 1949 lo “invitava” – per telefono – ad andare a New York, per partecipare, come membro della delegazione sovietica, al Congresso Internazionale sulla Pace. Pur formatosi nel clima della rivoluzione, Šostakovič aveva subito, in precedenza, aspre censure. Terrorizzato dalle reiterate minacce di deportazione in Siberia, il compositore si adeguò con la Quinta Sinfonia (1937) alle direttive del regime, assecondandone – almeno in superficie e, comunque, senza rinunciare a una graffiante ironia – gli intenti celebrativi. Dopo il successo riportato da questo lavoro, Šostakovič, nel 1939, abbozzò una Sinfonia corale ispirata al poema Lenin di Maiakovskij, ma il contesto particolarmente inquietante – segnatamente, l’inizio del conflitto mondiale e le purghe staliniane – lo spinse ad accantonare quel progetto e a intraprendere la composizione di un’opera sinfonica, che nelle sue intenzioni doveva fornire puro piacere estetico agli esecutori come al pubblico. Nasce così la Sesta Sinfonia dall’insolita struttura tripartita: una Sinfonia che – pur senza un programma extramusicale – non poteva non risentire di quel tragico momento storico.
In essa Šostakovič, dopo il “ritorno all’ordine”, rappresentato dalla Quinta Sinfonia, costruisce un discorso poetico, che giustappone il tragico ed il grottesco in pannelli volutamente tra loro slegati e squilibrati, senza un inizio e una conclusione. Se la solennità del primo movimento venne considerata dalla critica pretenziosa e il carattere brillante dei tempi successivi un ritorno alla “civetteria” formalista, il lavoro non ebbe mai particolare fortuna neanche tra il pubblico. Intensamente espressiva la lettura offerta da Kochanovsky, che ha adottato un’estesa gamma dinamica e agogica, sottolineando i decisi contrasti, di cui è ricca la partitura, dove al tono cupo e drammatico di certe pagine si oppongono, altrove, accattivante leggerezza e irrefrenabile allegria. Esemplare l’orchestra. Il primo movimento – il più esteso dei tre – è un Largo, caratterizzato da due temi: il primo, cupo e drammatico – esposto con suggestivi accenti dai legni più scuri con l’aggiunta di viole e violoncelli, e successivamente ripreso dai violini e poi dagli altri legni; il secondo più lirico, mestamente introdotto dal corno inglese e poi ripreso in successione dagli archi, quindi da flauti e ottavini. Nella sezione intermedia si è messa in luce, oltre al corno, anche la tromba che, si è espressa con accenti drammatici, evocando funebri reminiscenze mahleriane. Verso la conclusione del movimento, prima della breve ripresa, un ampio e surreale dialogo tra due flauti ha aperto uno squarcio di forte intensità lirica. Il Largo si è spento in un clima di attesa su un la acuto dei violini, marcato da inesorabili rintocchi funebri di arpe e timpani. Carattere decisamente opposto ha rivelato l’Allegro, frizzante e giocoso come uno Scherzo, dominato da una figurazione ritmica ben staccata, che ha coinvolto varie sezioni strumentali e dove si è messo subito in luce il clarinetto piccolo, strumento particolarmente caro all’autore. In questo movimento, tra l’altro, è riapparsa la vena comico-dissacrante propria del primo irriverente Šostakovič, sul modello di Prokof’ev e Stravinskij. Un’irrefrenabile allegria ha animato il conclusivo Presto, in forma di rondò, dove si sono fatti apprezzare, in particolare, i fagotti, il controfagotto e i contrabbassi, un raggruppamento prediletto da Šostakovič. Il movimento – nel quale il dialogo tra le famiglie orchestrali si è fatto sempre più intenso, così come la forza dell’intera orchestra – si è concluso con un gran finale di stampo bandistico. Successo pieno per il Maestro e l’Orchestra.