Venezia, Teatro La Fenice: ritorna in scena il “Don Giovanni”

Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2023-2024
“DON GIOVANNI”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte, dal dramma “El burlador de Sevilla y convidado de piedra” di Tirso de Molina attraverso il libretto “Don Giovanni o sia Il convitato di pietra” di Giovanni Bertati per Giuseppe Gazzaniga
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni MARKUS WERBA
Donna Anna ZUZANA MARKOVA
Don Ottavio FRANCESCO DEMURO
Il commendatore GIANLUCA BURATTO
Donna Elvira FRANCESCA DOTTO
Leporello ALEX ESPOSITO
Masetto WILLIAM CORRÒ
Zerlina LUCREZIA DREI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Robert Treviño
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Maestro al fortepiano Roberta Ferrari
Regia Damiano Michieletto, ripresa da Eleonora Gravagnola
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Light designer Fabio Barettin
Allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 16 maggio 2024
È tornato in laguna il Don Giovanni di Mozart, riproposto nella fortunata messinscena, firmata da Damiano Michieletto, che vide la luce al Teatro La Fenice nel 2010, aggiudicandosi gli Opera Award per la regia, le scene, i costumi e l’intero allestimento, oltre al Premio Abbiati per le scene e i costumi. Michieletto – la cui regia è ripresa da Eleonora Gravagnola – si concentra su alcuni aspetti cruciali del dramma, in primis sui tratti camaleontici del protagonista, che – dominatore assoluto, anche quando non è in scena o quando ‘appare’ nella mente dei personaggi – non esita ad assumere l’aspetto più adatto ad appagare i propri desideri (come quando indossa i panni di Leporello). Irrinunciabile nell’economia della rappresentazione è, secondo il regista veneziano, il ‘finalino’ moraleggiante di Praga: epilogo di un dramma, in cui le continue dissolutezze del Libertino trovano la giusta espiazione nella morte. Il regista indaga i personaggi nelle loro reciproche relazioni, partendo da alcuni tratti psicologici del protagonista così come ci vengono indicati, all’inizio dell’opera, da Leporello: un “cavaliere estremamente licenzioso”, che “nulla sa gradir” ovvero che non riesce mai ad appagare i propri desideri, nella spasmodica ricerca del piacere. Neanche alla fine, di fronte al Commendatore, il Libertino ha un ripensamento, pur consapevole di correre verso l’autodistruzione. È una titanica dimostrazione di coraggio, che continua ad alimentare il fascino fatale di Don Giovanni, subìto da tutti i personaggi a lui collegati. Anche dopo la discesa del Libertino negli Inferi, la storia non conosce un lieto fine: Don Ottavio chiede invano la mano a Donna Anna; Donna Elvira si ritira in un convento. Questa, in sintesi, la concezione di base della regia. Passiamo ora, brevemente, agli aspetti visivi dello spettacolo, ripreso più volte e su cui già molto si è scritto. L’intera vicenda si svolge in una villa tardo-settecentesca dalle stanze disadorne con le pareti rivestite da tappezzerie damascate, parzialmente consunte, a cui sono fissati candelabri, che diffondono luci radenti, accentuando lo squallore di quei luoghi come l’inquietudine spesso stampata sul volto dei personaggi. L’apparato scenico ideato da Paolo Fantin – funzionale allo svolgimento del dramma – utilizza un struttura circolare mobile, che permette rapidi passaggi dell’azione da una stanza all’altra, dando allo spettatore la sensazione di perdersi in un labirinto. Se le pareti sono dominate da un “freddo” grigio perlaceo con zone opacizzate dal tempo, i dimessi costumi di Carla Teti hanno, analogamente, colori cupi, a confermare il senso di generale decadenza. Tramite questi spazi claustrofobici, i responsabili dello spettacolo intendono esprimere visivamente, l’oppressione esercitata da Don Giovanni sulle sue vittime. Non si può comunque negare un certo effetto di monotonia nel succedersi continuo di stanze e corridoi, dai colori e dai tratti architettonici sempre uguali. Per altri versi, non mancano soluzioni che esulano dai soliti clichés: ad esempio nel momento in cui, ascoltando “Madamina, il catalogo è questo”, donna Elvira butta all’aria le lettere da lei scritte a Don Giovanni, contenute in una valigia che Leporello si porta appresso; o quando la stessa Elvira canta “Mi tradì quell’alma ingrata” mentre la macchina scenica gira vorticosamente, come se la donna fosse colta da una vertigine; o, ancora nella scena del banchetto, dove per il Libertino – imitato nella sua dissolutezza da Leporello – il “piatto saporito” è costituito da donne. Diffusamente vigoroso e ricca di pathos l’interpretazione di Robert Treviño, che ci sembra abbia messo in particolare rilievo – in linea con gli aspetti visivi predominanti in palcoscenico – il versante tragico di questo “dramma giocoso”, grazie al supporto di un’orchestra ineccepibile, quanto a qualità e purezza del suono, che in certi passaggi raggiungeva un volume considerevole, senza peraltro penalizzare le voci, generalmente ben timbrate e potenti. Quanto a queste ultime, Markus Werba ha offerto un Don Giovanni scattante nel gesto come nel fraseggio (come in “Fin ch’han dal vino”), oltre che brutale (segnatamente nella scena in cui uccide il commendatore a bastonate) e seduttivo (ad esempio, in “Là ci darem la mano”), sfoggiando una vocalità essenzialmente lirica. Scenicamente e vocalmente esuberante il Leporello del basso-baritono Alex Esposito, che da tempo frequenta questo ruolo, di cui il cantante – specializzato nelle parti del “cattivo” – ha messo in rilievo gli aspetti meno edificanti, limitando quelli più squisitamente buffi, cui verosimilmente dovrebbe contribuire il suo tartagliare. Purezza nel timbro e nel contempo un certo peso vocale ha esibito Francesco Demuro nel delineare un Don Ottavio giustamente statico e debole, segnalandosi nelle due splendide arie previste dalla sua parte. Una spiccata tragicità e una ieratica compostezza ha caratterizzato la figura del Commendatore, grazie alla voce timbrata e profonda di Gianluca Buratto. Di colore scuro anche la voce di di William Corrò, rivelatosi un Masetto alquanto naïf. Languida e patetica la Donna Anna offerta dal gesto e dalla voce di Zuzana Marková, tra morbide inflessioni. Ben delineato da Lucrezia Drei il personaggio di Zerlina, nel suo dibattersi tra le lusinghe della trasgressione e il non esaltante, ma rassicurante rapporto con Masetto. Tragica e passionale la Donna Elvira, proposta da Francesca Dotto con voce stentorea ed efficace gestualità. Ottima la prestazione del Coro. Lunghi applausi del pubblico dopo la fine dello spettacolo. Repliche fino al 25 maggio