Torino, Teatro Regio, Stagione d’opera e balletto 2023/24
“DER FLIEGENDE HOLLÄNDER”
Opera romantica in tre atti su libretto di Richard Wagner
Musica di Richard Wagner
Der Holländer BRIAN MULLIGAN
Senta JOHANNI VAN OOSTRUM
Daland GIDEON SAKS
Erik ROBERT WATSON
Mary ANNELY PEEBO
Der Steuermann MATTHEW SWENSEN
Orchestra e coro del Teatro Regio
Direttore Nathalie Stutzmann
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Ripresa di regia Riccardo Fracchia
Scene e costumi Wolfgang Gussmann
Luci Hans Tölstede
Torino, 19 maggio 2024
La maledizione dell’Olandese Voltante sembra aver accompagnato la ripresa dell’opera wagneriana a Torino. La valutazione del cast vocale risulta infatti alquanto complessa considerando le problematiche condizioni di salute di ben due degli interpreti principali. Annunciato indisposto già prima della recita Gidon Saks risolve Daland più con il mestiere che con l’effettiva qualità vocale. Si riconoscono una buona sintonia con il ruolo e un interessante approccio interpretativo nel tratteggiare un personaggio, particolarmente severo e autorevole nonostante la grettezza di fondo. Purtroppo il canto risultava tanto limitato dai problemi di salute da rendere impossibile una valutazione obbiettiva.
Situazione non dissimile per la Senta di Johanni Van Oostrum. Pur non annunciata indisposta la cantante sudafricana è apparsa subito in condizioni non ottimali confermate da voci raccolte in sala. Il materiale vocale è interessante e l’interprete mostra notevole sensibilità nel tratteggiare un personaggio – in questo perfettamente in linea con la regia – sostanzialmente isolato nel proprio mondo, chiuso nelle proprie ossessioni fino al limite della follia. Purtroppo la voce non era in grado di sostenerla al riguardo con un’emissione spesso faticosa che la spinge a rinunciare per sicurezza a quasi tutti gli acuti e a giocare gran parte del ruolo in difesa. Ha il merito di non farsi travolgere ma ovviamente risulta una prestazione fortemente condizionata. L’Olandese di Brian Mulligan non manca invece di brillantezza vocale è canta con sicurezza e proprietà. La voce ha buona proiezione e regge le difficoltà della parte senza eccessive difficoltà. Non convince troppo il timbro vocale, decisamente troppo chiaro e quasi tenorile incapace di rendere la tormentata natura dell’Olandese tanto più che come interprete appare abbastanza generico e superficiale. Vocalmente solido e ben centrato l’Erik di Robert Watson convincente in un ruolo in fondo molto lineare ma in cui evidenzia una piacevole vocalità tenorile. Decisamente ben riusciti lo squillante Timoniere di Matthew Swensen e la Mary precisa e mai sopra le righe di Annely Peebo. Molto attesa Nathalie Stutzmann deve modellare la direzione alla situazione contingente. Dopo un’ouverture abbastanza spiazzante per scelte ritmiche e dinamiche insolite e non sempre convincenti quello che si ascolta è una mediazione – e bisogna riconoscere alla Stutzmann la capacità di trovare un buon punto di sintesi – tra una visione cupa e corrusca, in cui solo lentamene e a fatica i temi della redenzione sembrano farsi strada e la necessità di sonorità più leggere e di un ritmo modellato a sostenere le difficoltà dei cantanti. La particolarità della situazione impedisce un giudizio netto anche per la sua prestazione cui comunque vanno riconosciute la capacità di adattarsi alle difficoltà riuscendo a mantenere una lettura nel complesso coerente. L’orchestra del Regio sembra un po’ risentire di questo clima di tensione – e anche di stanchezza visti i tempi estremamente ridotti delle prove che possono aver negativamente influito su tutte le componenti. Non si può dire che l’orchestra suoni male, anzi si sono sentite sonorità anche molto belle, ma qualche imprecisione maggiore del solito si è notata. Semplicemente sontuosa invece la prova del coro – sia nella sezione maschile sia in quella femminile – che hanno permesso alle pagine corali – tra le più note e trascinanti dell’opera – di emerge con tutta la loro forza. Sicura della qualità delle masse corali anche la Stutzmann in questi momenti sembra rompere gli indugi così che proprio dette pagine sono quelle maggiormente brillano in questa edizione.
Lo spettacolo di Willy Decker ha ormai più di vent’anni ma continua ad avere una sua efficacia. La lettura è di certo molto particolare, pur rispettando sostanzialmente le coordinate spazio-temporali del libretto lo spettacolo ne stravolge profondamente l’essenza. Decker guarda all’opera attraverso la letteratura – e soprattutto il teatro – nordico della fine secolo, quando ormai il romanticismo era alle spalle e si andava affermando una sensibilità nuova rosa dal senso di una inevitabile follia. Ambienti borghesi in cui il mare è limitato ai dipinti che decorano le pareti, luci nitide e fredde, e al centro un’eroina fin da subito sul crinale della follia. Il mondo è quello dei drammi di Ibsen dove gli spettri sono quelli che la mente costruisce in una casa di bambola da cui la morte nella sua tragica banalità – per quanto si cerchi di rivestirla di illusorie utopie salvifiche – rappresenta l’unica via di fuga. Quello che si vede è perennemente sospeso tra realtà e follia, tra spazio reale e proiezioni della mente di Senta cui non è dato comprendere i confini perché la realtà è come l’individuo la vede e la deforma. Uno spettacolo che nella sua visione estrema può legittimamente destare perplessità ma cui bisogna riconoscere una innegabile coerenza che gli anni trascorsi dall’ideazione non hanno minato.Sala non gremita ma buona presenza di pubblico e buon successo generale della produzione. Foto Daniele Ratti