Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino. Le Domeniche dell’Auditorium.
“No Name Quartet”
Pianoforte Andrea Rebaudengo, Valentina Messa
Percussioni Biagio Zoli, Emiliano Rossi
Béla Bartók: Sonata per due pianoforti e percussioni BB115, Sz110; Maurice Ravel: “La Valse” per due pianoforti e percussioni; Michael Daugherty: “Lounge Lizards” per due pianoforti e percussioni
Torino, 12 maggio 2024
Nell’Auditorium RAI i concerti delle serie RAI Nuova Musica e Le Domeniche dell’Auditorium si alternano con quelli della Stagione Sinfonica. La domenica mattina, per un’ora circa di durata, s’inizia alle 10,30, protagonisti sono alcuni membri dell’OSN RAI, che, in formazione cameristica inusuale, propongono programmi altrimenti introvabili e che a volte si ripropongono nei Concerti del Quirinale. In quest’ultima domenica si è schierato sul palco il “No Name Quartet” composto dai pianisti Valentina Messa e Andrea Rebaudengo e dai poliedrici, suonano di tutto, percussionisti Biagio Zoli ed Emiliano Rossi. Si inizia con la strepitosa Sonata per due pianoforti e percussioni di Béla Bartók. Vista la necessità (economica) che tutta la famiglia lavori, Bartók la concepisce per due pianoforti, uno per lui, l’altro per la moglie, la valentissima pianista Ditta Pasztory, associandovi poi due esecutori amici a cui affida una serie nutrita e varia di strumenti da martellare. A Basilea, il 16 gennaio del 1938, nell’ambito di una rassegna di musiche nuove, viene eseguita per la prima volta con i coniugi Bartok alle tastiere. All’Auditorium, per questo primo brano, Valentina Messa è al piano n.1 e Andrea Rebaudengo al n.2; Biagio Zoli alle prese di timpani e vario altro, altrettanto polivalente Emiliano Rossi con xilofono, cimbali sospesi e triangolo. Lo spartito prevede con scrupolo il posizionamento sul palco dei due pianoforti, tastiera verso il pubblico, e tra loro il ventaglio delle percussioni sparse in modo da garantire la spazialità stereofonica del suono e la funzionalità operativa dei due addetti. I temi nascono da una delle quattro fonti intonate, gerarchicamente paritarie, per poi imitarsi ed accoppiarsi polifonicamente con inseguimenti in fantasioso contrappunto. Le altre percussioni prolungano, potenziano e comunque caratterizzano timbricamente quanto lanciato nella trama sonora. L’effetto è magico e da favola anche quando si intravedono anfratti di cupo affanno. In tutte le favole e in tutti i boschi ci devono essere lupi e orchi; in quegli anni poi, in Europa, abbondavano. Un primo tempo che tutto si snoda in una selva immaginaria tra paure, sorprese, fughe e inseguimenti. Più notturna è l’atmosfera del gioco “a nascondino” del secondo tempo e finalmente giocolieri e burattini coronano la mini-rappresentazione di un Petruška magiaro. Echi di Mikrokosmos, di favole e di racconti ovunque avvolti da ritmi mobilissimi e capricciosi e da avventurose e brillanti cantilene popolari che i martelletti rendono scintillanti. Il pubblico che insperabilmente, visti ora giorno e bel tempo, quasi satura la platea, applaude con convinzione. I pianisti si scambiano posizione e strumento, le percussioni si diradano e si incupiscono, il clima da gioco dispettoso si muta in un languido rimpianto e attacca La Valse di Ravel nella versione originale per 2 pianoforti con l’aggiunta contingente di percussioni. Filologicamente Ravel si sarebbe limitato ai due pianoforti, Biagio Zoli ed Emiliano Rossi ci hanno messo del loro e, approfittando dell’opportunità che gli si presentava, attingendo alla versione orchestrale dell’opera, l’hanno arricchita di perentori interventi percussivi. Ravel prefigura un Valzer nostalgico e disperato in una Vienna sconfitta con l’impero al tracollo. Le percussioni, pur non pervasive come in Bartok, ne forniscono un ulteriore angolo prospettico, non per nulla sono gli anni del cubismo, ricordano che è la carneficina della guerra che ha dato origine al tracollo. Timpano e gran cassa amplificano perentoriamente gli accordi ultimativi che, nati dai pianoforti, sconvolgono il fluire di un Valzer Viennese a cui non ci si può più appassionatamente abbandonare. Sono come scoppi di granate e lontano tuonar di cannoni. Non si poteva trovare un’integrazione più appropriata ed efficace di queste immissioni percussive. Michael Daugherty, americano nato nel 1954 nell’Iowa, compositore pianista ed insegnante, compare solo saltuariamente nei nostri programmi di concerto, in specie lo si trova quando sul podio ci sono direttori americani. I suoi interessi si stabilizzano in un mix equilibrato di jazz, pop e musica colta. Chi ha compulsato le sue partiture assicura trattarsi di composizioni colte e di ardua esecuzione che pretendono strumentisti di valore come felicemente lo sono quelli del No Name Quartet. Lounge Lizards, che è il nome di una formazione jazz americana della seconda metà del ‘900, nasce nel 1994 su ordinazione di un’Orchestra del Minnesota ed è la summa degli anni di apprendistato dell’autore che vanno, in conservatorio, da Ligeti al jazz e al pop da intrattenimento. All’ascolto parrebbe di cogliere, su un tessuto di base pianistico, accostabile alla ripetitività del minimalismo, scoppi jazzistici di vivace brillantezza timbrica affidati alle spaziali tastiere di Rebaudengo e Messa e alle funamboliche mazzette di Zoli e Rossi. Emiliano Rossi, con quattro martelletti alzati tra le dita, si esibisce in velocissimi e spericolati slalom tra vibrafono e xilofono, sfornando, nel contempo, vibranti passi solistici da avvincente jam-session. Il pezzo piace e diverte, molti applausi e approvazioni vocali, peccati siano senza effetto le successive richieste di bis. Non crediamo che la RAI abbia videoregistrato il concerto, una spiacevole mancanza visto che i due percussionisti hanno fornito coi loro martelletti un formidabile spettacolo visivo; la ripresa audio sarà comunque ascoltabile Domenica 19 maggio alle 20,30 su RAI RADIO3 e quindi a seguire su RAIPLAY Sound.