Parma, Teatro Regio, Stagione Lirica 2024
“TOSCA”
Melodramma in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa.
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca ERIKA GRIMALDI
Mario Cavaradossi BRIAN JAGDE
Scarpia LUCA SALSI
Cesare Angelotti LUCIANO LEONI
Il Sagrestano ROBERTO ABBONDANZA
Spoletta MARCELLO NARDIS
Sciarrone EUGENIO MARIA DEGIACOMI
Un carceriere LUCIO DI GIOVANNI
Un pastore SOFIA BUCARAM
Filarmonica Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
Coro di Voci Bianche del Teatro Regio di Parma
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro Martino Faggiani
Maestro del Coro di Voci Bianche Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Joseph Franconi Lee da un’idea di Alberto Fassini
Scene e costumi William Orlandi
Luci Andrea Borelli
Allestimento del Teatro Regio di Parma
Parma, 25 maggio 2024
Curioso: due baroni, uno siciliano, Vincenzo Speziale, e uno salernitano, Gerardo Curcio detto Lo Sciarpa, ispirano un personaggio, d’invenzione ma più di loro vero, e questo personaggio trova interpreti epocali in cantanti emiliani: dopo Ruggero Raimondi, Luca Salsi. Il suo Scarpia seguita a stupire per le impressionanti inventiva e varietà d’accenti, che continuamente rinnovano la tensione drammatica. Il trionfo della parola spazza via le scivolose patine dell’abitudine, quelle che soffocano i titoli più grandi, i più rappresentati. E allora vien da pensare che forse, talvolta, benché vestito come il solito Scarpia e dotato della più tipica attrezzeria scarpiana, insomma anche nel più (cosiddetto) tradizionale degli allestimenti, per far del teatro, e di alto livello, può bastare l’intelligenza d’un interprete. E di un direttore. Se altrove si possono ascoltare Tosche intellettualmente affascinanti d’un Puccini che sta fra Mahler e Strauss, qui, con Daniel Oren, nume tutelare della migliore tradizione italiana, l’impressione è quella di ascoltare la Tosca: quella rovente e romana, fervente e violenta. Il balsamo del canto la avvolge tutta, s’intende, e non è solo per via del magnifico legato: il fraseggio è vasto, ampio, aquilino, che sa leggere e svelare (o creare) rapporti, relazioni a largo raggio. Lo spettacolo, s’è già accennato, è classico di un classicismo che non può stancare mai e funziona sempre, creato da Alberto Fassini e qui ripreso da Joseph Franconi Lee. Il taglio visivo, scene e costumi di William Orlandi, è improntato ad una sobria eleganza, tutta novecentesca, fin scarna nell’uso del colore: popolata com’è di vaste riproduzioni di protagonisti della storia dell’Arte, ma a grisaglia. Gli elementi sono i più semplici del teatro: tela dipinta, tulle dipinto, scalinate, quinta specchiata. Ma utilizzati con veramente alta maestria. La coppia degli amanti è vocalmente gloriosa. Lui è Brian Jagde, per il quale un ritorno di indisposizione significa niente più che qualche piccola sbavatura a margine di una cascata di voce. Il volume è impressionante, la dizione resta newyorkese ma ha una sua cifra espressiva che rende vivo il fraseggio, e così pure sulla scena ha una sua efficacia. Lei è Erika Grimaldi, in sostituzione dell’annunciata Anastasia Bartoli. Sembra che desideri più sonorità nel registro grave, per risultare forse ancora più incisiva in quelle battute che potrebbero essere scambiate per concessioni al gusto verista e che invece sono solo concessioni al teatro di parola (vedi Salsi). Ecco, chi la ascolti non ha certo questo desiderio, la voce essendo perfetta così: timbratissima, morbidissima, rotonda, florida, sonora e ricca di armonici ma sempre dolce e squisitamente femminile, qualità quest’ultima tanto più preziosa dopo il “virileggiare” sopranile imperante nel secolo scorso in risposta al pigolare delle micette ottocentesche (luogo comune che cela la sua parte di verità). Arzillo e di gran classe il sagrestano esperto di Roberto Abbondanza. Luciano Leoni è un Angelotti saldo e sonoro. Completano degnamente il cast lo Spoletta di Marcello Nardis e lo Sciarrone di Eugenio Maria Degiacomi. Ovazioni e delirio più che giustificati per i protagonisti e per il mitico Oren.