Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino – LXXXVI Festival del Maggio Musicale Fiorentino
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Daniele Gatti
Soprano Eleonora Bellocci
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Goffredo Petrassi: “Magnificat” per soprano leggero, coro misto e orchestra; Dimitri Šostakovič: Sinfonia n.10 in mi minore op. 93
Firenze, 5 maggio 2024
Nell’assistere ad un concerto con musiche come il Magnificat di Petrassi e la Sinfonia op. 93 di Šostakovič si ha la sensazione di percepire quella ricchezza espressiva che viene da lontano in cui, grazie al riaffiorare di ‘echi’ e stilemi compositivi del passato, si ribadisce quanto il tener conto della tradizione per il compositore oltre che costituire un diritto sia anche un dovere. Se nella prima composizione emerge il raffinato artigianato musicale di Josquin des Près o le levigature e luminosità di Palestrina unitamente allo Stravinskij della Sinfonia dei salmi, con la Sinfonia del compositore sovietico il diritto di abitare il proprio tempo con la pluralità dei linguaggi del Novecento è ancor più accentuato. Il pensiero volge ad esperienze che aprono a procedimenti compositivi che risentono dei linguaggi di Hindemith, Messiaën e altri ancora in cui attriti dissonanti convivono con percorsi diversi che risalgono alla tradizione dei classici. Si è percepito tutto ciò durante il concerto del 5 maggio scorso al Festival del Maggio Musicale Fiorentino davanti ad un pubblico numeroso che ha vivamente apprezzato un programma significativo e ricercato. È bastato sentire intonare dal coro l’incipit Magnificat anima mea Dominum per rendersi conto che si entrava nella dimensione del sacro: un percorso di cui Petrassi si è avvalso nell’intera fase creativa con sicurezza, dal Salmo IX, al Coro dei morti, Noche oscura, Orationes Christi, ecc.
Il Magnificat (Vangelo secondo Luca [1,39-55] intonato dalla Vergine Maria dopo l’Annunciazione) è una partitura complessa che ha messo a dura prova Eleonora Bellocci, soprano leggero dall’interessante vocalità (evocatrice della Vergine Maria), districatasi con naturalezza nei diversi registri senza mai andare sopra le righe anche di fronte alle poche colorature, oltre a un coro abbastanza duttile con la funzione di esaltare la grandezza e la bontà dell’Onnipotente, e un’orchestra che prevede il quintetto d’archi, una coppia dei legni (anche 3 flauti con uno anche ottavino, corno inglese e clarinetto basso), ottoni (4 corni e altrettante trombe, 3 tromboni, basso tuba) e percussioni, il pianoforte, arpa e sassofono contralto. L’intera compagine è riuscita a restituire un idiomatismo così significativo tanto da valorizzare situazioni particolari come, per esempio, nell’affascinante passaggio in cui a fare da sfondo alla figura della viola sola basta una successione di accordi ribattuti all’unisono nel registro acuto dei flauti insieme al pianoforte. La suggestione del colore, oltre a coinvolgere l’aggregazione dei diversi complessi vocali e strumentali, poteva cogliersi anche da parte del pubblico in molte occasioni offerte dalla partitura in cui emergeva meraviglia mista a stupore come nel versetto «Suscepit Israel puerum suum», un grande ostinato politonale o il successivo mormorio dei legni azionato dalle note ribattute del pianoforte e dello xilofono tanto motorico e colmo di fermenti che trascinerà voce solista, arpa e in parte lo stesso coro. L’Amen finale, riconoscibile dai valori ritmici grandi e dal tono sussurrato, portava alla conclusione una partitura che per il suo deviare tonale rimanda a Stravinskij. La direzione di Daniele Gatti è risultata talmente esegetica ed ispirata che in molti tratti ha valorizzato l’orchestra e il coro sempre in perfetta simbiosi; quest’ultimo, ben preparato da Lorenzo Fratini, ha offerto momenti commoventi grazie anche ad un’ottima interpretazione del testo. Con la decima Sinfonia (1953) di Šostakovič, una delle più interessanti e grandiose della sua ricca produzione (ben quindici), si è potuto percepire un mondo fatto di valori, di ideali, idee musicali, forme e soprattutto una musica concepita per rifuggire dalla tirannia di Stalin. Pensando all’architettura della sinfonia colpisce l’inizio con il Moderato invece dell’Allegro, collocato invece in seconda posizione, con i suoni profondi dei violoncelli e contrabbassi per aprirsi gradualmente all’orchestra, prima con il solo inserimento del clarinetto, fino a coinvolgere tutti in un momento di drammaticità che allenta solo alla fine. Pur ravvisando la forma sonata emerge un certo disorientamento grazie a un linguaggio con cromatismi e conflitti tra tonalità e modalità. L’organico orchestrale, consistente, dagli intensi volumi sonori, nel secondo movimento (Allegro), dal ritmo frenetico e convulso, ha espresso una meticolosa attenzione verso la raffinatezza contrappuntistica esaltandone gli aspetti più figurali della partitura in cui le strutture a blocchi contribuivano ad evidenziare volume e potenza sonora. Nonostante la complessità della partitura, a restituire ogni elemento della scrittura è stata l’unità d’intenti dell’orchestra e la bella prestazione dei soli che, nelle intenzioni di Gatti, sembravano ‘voci’ autentiche alla ricerca di un’umanità aggregante anche quando il carattere coreutico può sembrare deviante. Il maestro è riuscito a proiettare l’orchestra verso un processo interpretativo e un unico principio esplicativo di ogni elemento, gesto, figura e potenza sonora. L’interpretazione, a tratti ironica, invitava alla serenità e godibilità dei vari interventi di un’orchestrazione sempre più virtuosistica, ma portava altresì alla riflessione, tanto che i vari sprazzi di luce preparavano le numerose zone d’ombra di questa sinfonia che non risparmia misteri. Il motto (re-mi bemolle-do-si, ovvero le iniziali di Dmitrij Šostakovič D – e S – C -H), ben presente nella Sinfonia, alla fine, suonato da tromboni e tuba, ricordava ancora la firma del compositore e restituiva l’inquietudine di un artista che amava la resurrezione del suo Paese, la stessa che è emersa, nella direzione di Gatti, insieme ad un’orchestra sfavillante, sempre alla continua ricerca del logos che al pubblico è arrivato come percezione interiore e profonda, decretandone così un grande successo.