Venezia, Teatro La Fenice: “Mefistofele”

Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2023-2024
MEFISTOFELE”
Opera in un prologo, quattro atti e un epilogo. Libretto e musica di Arrigo Boito, dal dramma in versi “Faust” di Johann Wolfgang von Goethe
Mefistofele ALEX ESPOSITO
Faust PIERO PRETTI
Margherita MARIA AGRESTA
Marta/Pantalis KAMELIA KADER
Elena MARIA TERESA LEVA
Wagner/Nereo ENRICO CASARI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Nicola Luisotti
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Piccoli Cantori Veneziani
Maestro del Coro Diana D’Alessio
Regia Moshe Leiser e Patrice Caurier
Scene Moshe Leiser
Costumi Agostino Cavalca
Light designer Christophe Forey
Video designer Étienne Guiol
Coreografia Beate Vollack
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 12 aprile 2024
Noi siamo i figli dei padri ammalati: / aquile al tempo di mutar le piume, / svolazziam muti, attoniti, affamati, / sull’agonia di un nume. […] // Casto poeta che l’Italia adora, / vegliardo in sante visïoni assorto, / tu puoi morir!… Degli anticristi è l’ora! / Cristo è rimorto!”: sono due strofe della poesia Preludio – manifesto della scapigliatura milanese – , dove Emilio Praga denuncia la crisi di valori, che colpì la generazione successiva alla stagione romantico-risorgimentale, annunciando l’avvento degli Anticristi, i nuovi intellettuali dissacratori. Tra essi una posizione di rilievo spetta al giovane Arrigo Boito, che militò fra gli “scapigliati” milanesi, assumendone gli atteggiamenti più anticonformisti. Risale al 1862 L’ Ode saffica col bicchiere alla mano, recitata dal poeta ventunenne, durante una cena, per brindareAlla salute dell’Arte Italiana! / Perché la scappi fuora un momentino / Dalla cerchia del vecchio e del cretino, / Giovane e sana. […] / Forse già nacque chi sovra l’altare / Rizzerà l’arte, verecondo e puro, / Su quell’altar bruttato, come un muro di lupanare”. Pubblicata su un periodico, suscitò la risentita reazione di Verdi: “Se anch’io fra gli altri ho sporcato l’altare, come dice Boito, egli lo netti, ed io sarò il primo a venire ad accendere un moccolo”, scrisse a Tito Ricordi. Animato da questa vis polemica l’autore concepì il Mefistofele: ne nacque un’opera sui generis, il cui libretto – con inserti di metrica “barbara” – è caratterizzato da una carica eversiva, dissacrante e innovatrice, nonché da un sottofondo di matrice massonica e gnostica, che glorifica l’Apocalisse dell’Anticristo, annunciata dai sette tuoni e dalle sette trombe del Prologo in Cielo. Rinnovando l’impianto e lo stile del libretto, Boito intendeva affrancare il melodramma dalla canonica suddivisione in pezzi chiusi, per giungere, valicando anche i tradizionali confini ritmici e armonici, a un rinnovamento del teatro musicale. Il primo Mefistofele (1868) era una monumentale provocazione di più di cinque ore con cui il battagliero scapigliato intendeva sfidare il pubblico. Il 5 marzo del ’68, al Teatro alla Scala, Boito fu fischiato, ma ricambiò gli spettatori con la stessa moneta, tramite il suo alter ego, Mefistofele, che nella Canzone “del fischio”, li investì col suo sibilante nichilismo, dopo aver ammesso nel Prologo in Cielo “il rischio / di buscar qualche fischio”. Questa prima, sfortunata versione fu poi sottoposta a successive revisioni – da quella rappresentata con successo nella “wagneriana” Bologna (1875) a quella proposta a Milano (1881) – dando origine all’opera che tutti conosciamo, in cui Faust, originariamente baritono, diviene tenore, mentre la durata si dimezza, in seguito a sostanziosi tagli. Un’opera dalla genesi così travagliata rappresenta una sfida per ogni regista. Ne erano consapevoli Moshe Leiser e Patrice Caurier, ideando la messinscena del capolavoro boitiano – tornato alla Fenice dopo cinquantacinque anni di assenza –, in cui Mefistofele, il personaggio principale, è l’alter ego dell’autore, che ne condivide lo sprezzante nichilismo. Un nichilismo, che si traduce visivamente, all’inizio dello spettacolo (Prologo in Cielo), in un palcoscenico pressoché vuoto, a parte una poltrona su cui il protagonista si siede, accendendo poi la televisione, ma – suprema ironia! – il telecomando difettoso gli consente di guardare esclusivamente una rete, CattoTv, non proprio a lui gradita. È un non-luogo, un teatro abbandonato, dove nulla viene rappresentato. Peraltro anche le scene successive – il giardino, il carnevale, i due sabba – non rappresentano luoghi reali, bensì allucinazioni provocate in Faust dalla droga, che Mefistofele gli inietta nel corso della stipula del patto demoniaco, a conclusione della domenica di Pasqua, dominata da una chiassosa partita di calcio. La Scena del giardino, in particolare, si svolge nello squallido scoperto di una Bier Stube, mentre il Sabba infernale è – come in altri allestimenti – una festa scatenata e sinistra. Originale il Sabba classico, grazie all’espediente del teatro nel teatro, con Elena primadonna accanto a un pianoforte senza pianista. Un po’ ingenua la simbologia dell’Epilogo, dove Faust attende la morte suonando il violoncello, a cercare nella musica l’estrema consolazione. All’efficacia dello spettacolo contribuiscono anche le scene dello stesso Leiser, le luci di Christophe Forey, i costumi di Agostino Cavalca, le proiezioni di Etienne Guiol e le coreografie di Beate Vollack. Quanto alla direzione musicale Nicola Luisotti, sorretto da un’orchestra sensibile e partecipe, ha offerto una lettura fondata su un’ampia gamma dinamica ed agogica, come richiede una partitura, in cui non mancano i contrasti, assecondando le scelte registiche come le esigenze dei cantanti, peraltro tutti in grado di confrontarsi anche con sonorità orchestrali ragguardevoli. Tra gli interpreti vocali, mattatore della serata è stato Alex Esposito – fattosi recentemente apprezzare alla Fenice nei Contes d’Hoffmann in apertura della corrente Stagione lirica – confermandosi interprete di riferimento nei ruoli diabolici. Anche come Mefistofele ha coniugato una notevole presenza scenica a eccellenti doti vocali e interpretative: brillantezza del timbro, potenza dell’emissione, chiarezza del fraseggio, intensa espressività. Si è fatto onore anche Piero Pretti, che con voce analogamente potente e timbrata ha offerto un Faust pacato anche nel gesto, brillando nelle espansioni liriche. Un po’ sotto tono nella scena della prigione (lieve défaillance in “L’altra notte in fondo al mare”) è apparsa Maria Agresta, che comunque ha tratteggiato una Margherita nel complesso credibile. Ottime prestazioni hanno offerto Maria Teresa Leva (Elena), Kamelia Kader (Marta/Pantalis) ed Enrico Casari (Wagner/Nereo). Ottimi i due Cori: quello feniceo, guidato da Alfonso Caiani e i Piccoli Cantori Veneziani istruiti da Diana d’Alessio. Entusiastico successo personale per Alex Esposito.